La Cgil non merita la rappresentazione che ne stanno dando i giornali. Il più grande sindacato italiano e i suoi massimi dirigenti hanno sempre salvaguardato prima di tutto l’unità dell’organizzazione. Nella pluralità delle diverse esperienze e culture ma con la consapevolezza che una sintesi unitaria sia indispensabile per pesare e poter rappresentare adeguatamente il mondo del lavoro. Una sintesi, non una tesi che prevale sulle altre. Non siamo un qualunque partito sconfitto alle elezioni che litiga al suo interno su chi ne abbia la colpa. Non siamo un movimento che mobilita la gente per ottenere un consenso a breve, indipendentemente dai risultati che può garantire. Non lo siamo mai stati: nemmeno quando in Cgil c’erano le componenti di partito e la sintesi era difficile. Nemmeno negli anni più duri delle repressioni antioperaie, del terrorismo, di tangentopoli, del trionfo del pensiero liberista, della recente crisi economica e sociale. In Cgil ci si confronta su diverse posizioni programmatiche e si eleggono dirigenti che sappiano interpretare al meglio la sintesi unitaria che ne scaturisce. Non siamo un’organizzazione divisa in fazioni in cerca di un leader e di leader in cerca di poltrone. Non siamo un’organizzazione in cui il capo indiscusso parla direttamente al popolo. Siamo una macchina diffusa e complessa. La nostra vita, la nostra attività quotidiana è più ricca delle diatribe: nelle categorie come nelle strutture confederali, a Roma come nei territori. Un lavoro svolto da centinaia di quadri che produce migliaia di trattative e accordi unitari, e servizi erogati quotidianamente a migliaia di persone sole. No, la Cgil non merita la rappresentazione che ne stanno dando i giornali…
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