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Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad un progressivo aumento degli accordi di lavoro agile, altrimenti detti di smart working, diffusi da qualche tempo nel panorama nazionale a partire dal contratto Nestlé Italia del 2012. Questo sicuramente anche grazie alla l. n. 81 del 22 maggio 2017 con cui il legislatore ha inteso normare e dunque promuovere un fenomeno in linea con l’evoluzione tecnologica e in grado di impattare radicalmente sulla dimensione spazio-temporale di svolgimento della prestazione lavorativa. Con tale impianto, il legislatore intende rispondere alle esigenze, sempre più avvertite da aziende e lavoratori, di utilizzare al meglio le opportunità concesse dalle nuove tecnologie favorendo il c.d. “lavoro da remoto” che, in molti casi, potrebbe anche agevolare la conciliazione vita-lavoro mirando ad alimentare un sistema produttivo più efficiente e competitivo.
Molto si è già detto, tra operatori ed esperti, in merito allo smart working. In particolare che non si tratta di una nuova tipologia contrattuale ma, bensì, una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro e con la possibilità di utilizzare strumenti tecnologici per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Pochi ancora hanno tuttavia valutato attentamente la circostanza che, per essere operativo, il lavoro agile impone oggi un preciso accordo tra le parti che tocca punti nevralgici della normativa di tutela del prestatore di lavoro in merito a controlli, orari, potere direttivo e sanzioni disciplinari.
Eppure non poche sono le criticità sottese agli accordi individuali di lavoro agile: dalla questione qualificatoria (in particolar modo la distinzione tra lavoro agile e telelavoro) alla regolazione dei poteri in capo al datore di lavoro in ragione della stretta relazione tra le modalità e gli strumenti tecnologici utilizzati per l’esecuzione della prestazione e le principali modifiche apportate all’art. 4 Stat. lav. Ancora, un ruolo centrale ma altrettanto complesso è rivestito dall’innovazione concernente il diritto alla disconnessione e dalle molteplici zone d’ombra che questa modalità di lavoro apporta rispetto alla applicazione del Testo Unico di sicurezza e salute sul lavoro una volta venuto meno il controllo spazio-temporale della prestazione lavorativa ma, certamente, non l’obbligo di sicurezza e le relative responsabilità stabilite dal diritto civile e penale in capo dal datore di lavoro.
Nella Guida pratica al lavoro agile dopo la legge n. 81/2017 curata da un gruppo di ricercatori di ADAPT si è evidenziata l’importanza di individuare e comprendere gli spazi di effettiva “agilità” concessi dal legislatore alle parti negoziali, soprattutto là dove si pensi alla dubbia differenziazione rispetto alla fattispecie del telelavoro con cui si registrano non poche similitudini e, certamente, blocchi inderogabili di disciplina di derivazione comunitaria come la normativa di salute e sicurezza anche in relazione alla regolazione dei tempi di lavoro.
Da qui l’importanza di una gestione consapevole e attenta della autonomia negoziale privata al fine di organizzare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Autonomia privata avvalorata dal fatto che il legislatore non affida alcun ruolo privilegiato o alcuna funzione di mediazione alla contrattazione collettiva, nonostante le origini dell’istituto. La circostanza risulta ancora più chiara dalla lettura degli artt. 19 e 21 della l. n. 81/2017, i quali rimandano all’accordo individuale la possibilità di disciplinare le modalità di esercizio del potere direttivo e del potere di controllo, così come la tipizzazione delle condotte «che danno luogo alla applicazione di sanzioni disciplinari», l’individuazione dei tempi di riposo e delle modalità tecniche ed organizzative che assicurano il diritto alla disconnessione.
Tra i diritti e i doveri affidati al datore di lavoro di concerto con il lavoratore nella regolamentazione dell’accordo di lavoro agile rimane facilmente intuibile la probabilità di insorgenza di rilevanti contenziosi tra le parti. Ed è qui che sembra possa inserirsi l’istituto della certificazione dei contratti di cui agli artt. 75 ss. del d.lgs. n. 276/2003, quale affidabile strumento di assistenza alla autonomia individuale delle parti previsto dal nostro ordinamento giuslavoristico. Al fine di evitare l’insorgenza di contenziosi tra le parti le Commissioni di Certificazione, attraverso l’attività di assistenza e consulenza da un lato e la volontaria certificazione dell’accordo di smart working dall’altro, potrebbero svolgere un ruolo notevole di ausilio alle parti, in termini di certezza, rispetto a quanto disciplinato dalle stesse e con riferimento ai profili sopra richiamati.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
*Articolo pubblicato in Bollettino certificazione DEAL – UNIMORE, n. 3/2018