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Welfare bilaterale, dall’ente al lavoratore passando per l’azienda. La posizione (problematica) dell’Agenzia delle Entrate (Risposta n. 24/2018)

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L’attenzione da rivolgere al tema del welfare degli enti bilaterali non è sicuramente secondaria nell’evoluzione del panorama della disciplina del welfare integrativo e contrattuale. Come sottolineato da P. Tomassetti, Il lavoro autonomo tra legge e contrattazione collettiva Self-employment between the law and collective bargaining, Variazioni di temi di Diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, Fascicolo 3/2018, questi possono avere un ruolo di assoluto rilievo nel creare un’effettiva tutela tanto per lavoratori autonomi quanto per i dipendenti, specie in settori caratterizzati da forte stagionalità che difficilmente riescono a trovare tutele efficaci negli schemi di welfare contrattuale tipici.

 

Rispetto proprio al welfare bilaterale, in riferimento al lavoro dipendente, merita dunque particolare interesse la Risposta n. 24 del 4 ottobre 2018 con cui l’Agenzia dell’Entrate si è espressa sul regime fiscale delle prestazioni degli enti bilaterali corrisposte al lavoratore tramite l’azienda. Nell’interpello l’azienda chiedeva chiarimenti circa l’imponibilità (ai sensi del comma 1 dell’art. 51 del TUIR) delle somme a sostegno del reddito che venissero erogate dall’ente bilaterale al datore di lavoro, con l’onere per quest’ultimo di corrisponderle ai dipendenti in busta paga. Nel caso in oggetto tali somme si sostanziavano in un premio per la nascita del figlio, nel contributo per malattia o per infortunio, nell’iscrizione al nido/materna e alla scuola secondaria di primo grado e nel permesso per legge n. 104/1992.

 

Per quanto riguarda le prestazioni erogate dagli enti bilaterali, l’Agenzia afferma che non è rilevante che queste siano o meno corrisposte ai lavoratori direttamente o mediante l’azienda, ritenendo tale aspetto una mera modalità organizzativa. Dunque, a prescindere dalla modalità, per valutare il trattamento fiscale delle misure erogate dall’ente bilaterale si dovrà considerare l’applicazione dei principi generali sulla tassazione dei redditi. Da qui l’assoggettabilità a tassazione delle sole prestazioni inquadrabili in una delle categorie reddituali previste dall’art. 6 del TUIR, comprese quelle che costituiscono erogazioni corrisposte in sostituzione di detti redditi. In particolare, trattandosi nel caso specifico di un’azienda, la discriminante sul trattamento fiscale si collega alla inquadrabilità, o meno, delle misure erogate dall’ente come redditi di lavoro dipendente, o assimilabili, e alla relativa disciplina.

 

Entrando dunque nel merito delle singole misure oggetto dell’interpello, l’Agenzia sostiene che le somme per il premio per la nascita del figlio, per il contributo per malattia o per infortunio e per il permesso per la legge n. 104 del 1992 non hanno rilevanza ai fini fiscali in quanto non sono ritenute inquadrabili nelle categorie reddituali di cui al citato articolo 6 del TUIR.

 

Discorso diverso invece per le somme erogate dall’ente per l’iscrizione al nido/materna e alla scuola secondaria di primo grado che essendo configurabili come “borse di studio”[1] (secondo la definizione di “borsa di studio” espressa dalla stessa Agenzia delle Entrate anche nella Circolare 28/E del 15 giugno 2018) risulterebbero assimilate ai redditi da lavoro dipendente ai sensi dell’art. 50, comma 1, lettera c), del TUIR[2]. Hanno dunque secondo l’Agenzia rilevanza fiscale e concorrono alla formazione del reddito proprio perché erogate da un soggetto (l’ente bilaterale) con cui la persona non è legato da rapporti di lavoro dipendente.

 

Tuttavia rispetto, a quest’ultimo punto emerge, la problematicità della posizione dell’Agenzia tanto da un punto di vista logico che da un punto di vista tecnico.

 

Da un punto di vista logico, alla luce delle modifiche anche normative che a partire dal 2016 hanno ampliato e ridefinito la disciplina del welfare aziendale, sembra quanto meno stridente che le somme per l’iscrizione al nido/materna e alla scuola secondaria di primo grado siano considerate a tutti gli effetti reddito da lavoro dipendente a differenza delle altre oggetto dell’interpello. Questa forzatura logica appare evidente proprio considerando che invece tale misura, tra le quattro, è quella più assimilabile a una prestazione di welfare aziendale (tanto che se la stessa misura venisse erogata, non dall’ente ma dall’azienda, alle condizioni previste dell’art. 51, comma 2, lett. f-bis, risulterebbe pienamente deducibile).

 

Ma è in particolare da un punto di vista tecnico che emergono alcune perplessità al riguardo, in riferimento a quanto precisato proprio dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 326/E del 1997, paragrafo 2.1 «Componenti che concorrono a formare il reddito»: “[…] costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori (intendendo con tale espressione la quantificazione dei beni e dei servizi) che il dipendente percepisce nel periodo d’imposta, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro, e, quindi, tutti quelli che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro”.

 

Posto che, a monte, è l’azienda a versare un contributo all’ente bilaterale affinché il lavoratore possa fruire delle prestazioni al momento opportuno, quanto richiamato permetterebbe di ricollegare comunque le somme erogate dall’ente al rapporto di lavoro. Verrebbe meno dunque la fattispecie dell’art. 50 del TUIR a favore di quella dell’art. 51, che a certe condizioni, potrebbe riconoscere alle somme per l’iscrizione al nido/materna e alla scuola secondaria di primo grado l’eccezione al principio di omni-comprensività del reddito di lavoro dipendente secondo la previsione di cui al comma 2 lett. f) dello stesso art. 51.

 

Per contro, proprio per la stessa ragione, le altre misure oggetto dell’interpello risulterebbero altresì assimilabili al reddito da lavoro dipendente. Invero, per quanto riguarda le somme per il contributo malattia o per infortunio e il permesso per legge n. 104 proprio la motivazione addotta nella Risposta n. 24 dall’Agenzia delle Entrate (della non assoggettabilità all’art. 6 del TUIR), appare già di per sé problematica. Infatti, prima ancora degli ulteriori elementi di complessità presentati in relazione alle indicazioni della Circolare 326/E del 1997, considerando la disposizione dell’art. 6, comma 2 del TUIR[3] risulta difficile non ritenerla applicabile visto che tali somme sono erogate proprio a fronte di una mancata percezione di redditi di lavoro dipendente. In tal senso appare quanto meno peculiare la posizione dell’Agenzia nel sostenere la non rilevanza fiscale.

 

A margine, si ricorda che i contributi versati dall’azienda all’ente bilaterale, non obbligatori per legge, concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente in quanto non rientrano nell’ipotesi di esclusione dal reddito previste dall’art. 51, comma 2, lett. a), del TUIR[4].

 

Anche in considerazione di quest’ultimo punto, almeno per certi tipi prestazioni, si noti come, sul piano fiscale, il welfare bilaterale non sia sostenuto e incentivato quanto quello aziendale. Eppure a oggi nella bilateralità, come sottolineato da M. Tiraboschi, Bilateralismo e enti bilaterali: la nuova frontiera delle relazioni industriali in Italia, in R. Caragnano, E. Massagli (a cura di), Regole, conflitto, partecipazione. Letture di diritto delle relazioni industriali, Giuffrè, Milano, Collana ADAPT-Centro Studi “Marco Biagi”, 2013, n. 8, 645-658 e da M. Faioli., Gli enti bilaterali tra obbligo e libertà nel sistema normativo italiano, Fondazione Brodolini, WP n. 13/2018, si rintraccia lo strumento principale di co-gestione e innovazione del welfare attraverso le relazioni industriali. Pur risultando una materia complessa ed eterogenea, è quindi auspicabile una maggiore armonizzazione anche rispetto alle previsioni sul welfare di matrice aziendale e contrattuale e una maggiore chiarezza di alcune disposizioni in materia, anche rispetto ai cambiamenti in atto.

 

Maria Sole Ferrieri Caputi

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@mariasole_fc

 

[1] Circolare 28/E del 15 giugno 2018, con “borsa di studio” si intende: «La menzione delle borse di studio a favore dei familiari dei dipendenti, presente anche nella precedente disposizione, completa la gamma dei benefit con finalità didattiche e di istruzione, per la cui definizione possono tornare utili i chiarimenti forniti con la circolare n. 238 del 2000, con la quale è stato precisato che rientrano nella lettera f-bis) le erogazioni di somme corrisposte al dipendente per assegni, premi di merito e sussidi per fini di studio a favore di familiari di cui all’articolo 12. In tale nozione possono essere ricompresi i contributi versati dal datore di lavoro per rimborsare al lavoratore le spese sostenute per le rette scolastiche, tasse universitarie, libri di testo scolastici, nonché gli incentivi economici agli studenti che conseguono livelli di eccellenza nell’ambito scolastico».

[2] Art. 50, comma 1, lettera c), del TUIR: […] «sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente, le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante».

[3] Art. 6, comma 2 del TUIR: «I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati»

[4] Art. 51, comma 2, lett. a), del TUIR[4] dispone la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente per i “contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge”.

 

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Welfare bilaterale, dall’ente al lavoratore passando per l’azienda. La posizione (problematica) dell’Agenzia delle Entrate (Risposta n. 24/2018)