ADAPT - Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it
Una testimonianza personale. Correvano i primi anni ’90, pressappoco in questo stesso periodo dell’anno. Il governo aveva predisposto la legge finanziaria e i sindacati – come al solito – avevano espresso un giudizio negativo. Allora era in uso presentare una contro-finanziaria di Cgil, Cisl e Uil con tutti i crismi, inclusa la conferenza stampa d’illustrazione. Si assumevano i medesimi saldi della manovra, ma si proponevano, per realizzarli, misure differenti, più “eque”. Riuscivamo anche a farci prendere sul serio, perché ci sforzavamo di mettere in campo delle idee (magari sostituendo qualche taglio di spesa con maggiori entrate). Del resto, allora i sindacati godevano ancora di una certa considerazione, anche perché erano in grado di contestare le scelte dei governi e sostenere le proprie rivendicazioni a suon di scioperi più o meno generali. Se non volevano forzare troppo la mano, Cgil, Cisl e Uil proclamavano qualche astensione dal lavoro, in genere per grandi settori (pubblici e privati) o per gruppi di regioni. In questo modo riuscivano a cancellare qualche ticket nella sanità e ottenevano dei miglioramenti degli assegni al nucleo familiare o altri benefici per i lavoratori.
Così era andata anche in quell’anno. Eravamo ormai arrivati alle battute finali e Cisl e Uil avevano tirato – giustamente – i remi in barca, mentre i comunisti della Cgil spingevano – noblesse oblige – per fare ancora qualche sciopero visto che non si era ottenuto tutto ciò che si era chiesto e che la manovra rimaneva “iniqua”. Fu proprio in quella riunione in cui si esprimevano gli ardori della maggioranza della confederazione che ad Ottaviano Del Turco (allora “aggiunto’’ di Bruno Trentin) venne un’idea. Si presentò alla tribuna e propose di adottare un’altra forma di lotta: fare lobbying. In sostanza, le segreterie confederali avrebbero dovuto dare mandato a tre plenipotenziari (uno per organizzazione) affinché si recassero alla Camera durante le votazioni (in corso) sulla Finanziaria, consultassero i testi, elaborassero degli emendamenti da passare ai tutti i gruppi. Non avrebbe importato – aggiunse – che fossero votati dall’opposizione di sinistra. Il sindacato non avrebbe guardato in faccia nessuno ed apprezzato l’aiuto di tutti. Ascoltando le parole del mio grande amico e leader socialista pensai fra me e me: “questa non se la bevono”. Invece, la decisione fu presa in quel senso. Ho sempre avuto il sospetto che Trentin (che peraltro era stato anche deputato) se la ridesse sotto i baffi, ma che avesse deciso di lasciar correre per salvare capra e cavoli, essendo pienamente consapevole che ormai il tempo era finito, ma che, tutto sommato, era utile dare un contentino ai più assatanati dei suoi compagni.
Il sottoscritto fu indicato come plenipotenziario della Cgil. La mattina dopo, insieme ai due colleghi delle altre organizzazioni (non ricordo chi fossero), mi recai di buon ora nella sede del gruppo del Pci (preventivamente avvertito), scelto perché si trovava sullo stesso piano dell’Aula; e quindi saremmo stati agevolati nella nostra azione di lobbying. Quando entrammo, ci accolse il segretario del gruppo il quale ci annunciò che la Finanziaria era stata già votata durante la notte. Poi ci fece capire, gentilmente, che la predisposizione degli emendamenti e il loro voto non sono mai un arrembaggio dell’ultima ora, ma rispondono ad una procedura organizzata, tra Commissioni ed Aula (mi sono reso conto di tali procedure nella XVI legislatura, quando sono stato eletto alla Camera). Sconsolati, tornammo sui nostri passi. Ci sarebbe voluto il Generale Cambronne per commentare la nostra figura. Fuori ci aspettavano i giornalisti, anche loro incuriositi per l’esito della nuova “forma di lotta’’. Io pensai che fosse arrivato il momento dell’autoironia. E raccontai come erano andate davvero le cose. Il giorno dopo i quotidiani intitolavano – più o meno così – i commenti sulla nostra disavventura: “Siamo andati a fare lobbying, ma era già tutto finito”.
Qualcuno si chiederà per quale motivo ho voluto rinvangare, da un passato morto e sepolto, questa vicenda. Semplice. Nel caso della legge di bilancio per il 2019, Cgil, Cisl e Uil stanno facendo una lobbying tardiva, quando tutto è ormai finito. Solo che non si limitano a mandare, a Montecitorio, tre segretari confederali un po’ sprovveduti (veri pifferi di montagna che, invece di suonare, furono suonati). No. Gli attuali gruppi dirigenti fanno le cose in grande. Con migliaia di lobbisti a loro insaputa. Hanno convocato, per il 19 dicembre, tre attivi unitari, rispettivamente a Milano, a Roma e a Napoli. Per quella data i giochi saranno già conclusi; nella sostanza se non ancora nella forma (perché il disegno di legge dovrà comunque tornare alla Camera per l’approvazione definitiva del testo varato dal Senato). In breve: Cgil, Cisl e Uil non hanno svolto alcun ruolo nel corso di una vicenda che ha tenuto in fibrillazione tutto il Paese. Ecco perché la situazione comica di quel giorno lontano si è ripetuta oggi con le stimmate della tragedia. Se i sindacati non contano più nulla è la democrazia stessa ad essere malata. Ma è ancora peggio se – come temo – la loro inerzia nasconde un sostanziale apprezzamento per le misure di questo governo.
Membro del Comitato scientifico ADAPT