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Bollettino ADAPT 28 gennaio 2019, n. 4
“Mala tempora currunt, sed peiora parantur”, ripeterebbero i latini a fronte dell’attuale e turbolento, soprattutto in Italia, contesto politico e socio-economico: a temperare tale verità, tuttavia, concorrono alcuni virtuosi esempi di sistemi di relazioni industriali, abili nel superare, attraverso un costruttivo confronto, anche le eventuali divergenze, ponendo le basi per un modello produttivo che tenti di rispettare tanto le istanze dei lavoratori quanto gli interessi dell’azienda.
L’ultima esperienza che offre spunti utili in tal senso è quella che deriva dai rapporti industriali sviluppatisi nella società Dalmine S.p.A., azienda del settore siderurgico avviata nel 1909 nel comune bergamasco di Dalmine e, oggi, sottoposta al controllo del leader mondiale nella produzione di tubi senza saldatura, ovvero la holding Tenaris S.A., col cui nome spesso si fonde (Tenaris Dalmine) nell’individuare il bacino di attività condotte nel territorio italiano.
L’accordo di secondo livello, siglato nel comune di Dalmine il 9 gennaio scorso con l’assistenza di Confindustria Bergamo e delle segreterie territoriali di Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil, ratificato poi dai lavoratori nella serata di venerdì 18 gennaio, conferma il sistema di relazioni industriali inaugurato dall’accordo del 20 luglio 1998 e poi riconfermato, seppur con delle modifiche, dai successivi interventi, succedutisi a cadenza solitamente quinquennale.
Il sistema che ne deriva pare fortemente orientato al futuro, consapevole che le trasformazioni attualmente in atto nel mondo del lavoro spingono verso modelli maggiormente flessibili nell’organizzazione del lavoro nonché, nell’ambito delle relazioni industriali, verso modelli meno conflittuali e più collaborativi, che sappiano valorizzare, con adeguati sistemi premiali e ampie offerte di welfare, l’impegno e la professionalità dei lavoratori.
Relazioni industriali e diritti sindacali
Il rafforzamento delle relazioni tra le parti in causa e, dunque, lavoratori da una parte e azienda dall’altra, passa dal maggior coinvolgimento dei dipendenti stessi e delle RSU nei processi decisionali aziendali: ne è conferma, al di là dell’ampliamento dei diritti sindacali di informazione, la massiccia infrastruttura di commissioni paritetiche già esistente e ulteriormente ampliata, capace di ospitarne fino a sette, ciascuna con uno o più specifici campi di indagine e con puntuali missioni da raggiungere. Tra queste, in particolare, meritano di essere segnalate la Commissione ODL, incaricata, oltre che dello studio delle migliori soluzioni possibili in termini organizzativi, dell’arduo compito di investigare gli impatti sul lavoro delle trasformazioni dettate dall’avvento dell’Industry 4.0; la Commissione Ambiente e Sicurezza, presente in ogni sito e chiamata a radunarsi con cadenza mensile al fine di monitorare fattivamente i modelli di prevenzione da rischi sul lavoro, onde favorire il perseguimento dell’obiettivo “zero infortuni”; la Commissione Diversity, depositaria della piena attuazione del principio delle pari opportunità, peraltro esteso oltre le differenze di genere a ogni genere di differenza (età, cultura, ecc.); e la ripristinanda Commissione Professionalità Espressa, funzionale alla valorizzazione della professionalità del personale, tramite l’aggiornamento del sistema adottato dall’azienda più di vent’anni fa.
Il clima di reciproca fiducia che lega le parti in causa, poi, pare essere testimoniato, da un lato, dall’inquadramento, per i soli fini retributivi, delle assemblee sindacali fuori orario di lavoro in termini di prestazioni straordinarie, con conseguente diritto alla maggiorazione e, dall’altro, dal preavviso di 48 ore che deve precedere necessariamente le astensioni collettive dal lavoro, onde favorire la minimizzazione degli effetti nocivi dell’azione rivendicativa.
Flessibilità organizzativa
Al fine di garantire la continuità produttiva e, al contempo, favorire un morigerato utilizzo degli impianti e dei tempi di lavoro, vengono confermate le modalità flessibili di prestazione del lavoro già previste fin dall’accordo del ’98 e poi rimodulate dal c.d. “Accordo ponte” del 10 marzo 2017, analizzato in questo bollettino e incaricato di mediare tra gli interessi delle parti fino al rinnovo dell’integrativo del 2012, scaduto il 31 gennaio 2014 e riformato appunto in gennaio. L’adesione da parte del personale, invece, è stimolata dal riconoscimento di diverse indennità che, oltre a compensare adeguatamente il lavoro prestato nelle giornate festive, attutiscono il disagio derivante da un sistema non predeterminato dell’orario di lavoro; il riferimento, in particolare, è alle indennità “variazione turni” e “recuperi produttivi”.
Consce dell’anacronismo in cui incappa una rigida predeterminazione temporale del lavoro, soprattutto a fronte del carattere congiunturale dell’attuale economia, l’accordo del 9 gennaio ritocca l’articolato regime flessibile di turnistica, introdotto dall’accordo del 14 giugno 2014 e commentato in questo bollettino, cui si abbina una altrettanto complessa “banca del tempo”, suddivisa in quattro distinti conti: ferma restando la media oraria delle 40 ore settimanali, si ammette che il carico orario di lavoro possa variare di settimana in settimana, purché nel rispetto del limite minimo delle 32 ore settimanali e di quello massimo di 48 ore. Tale programma di flessibilità si svilupperà lungo l’arco di un biennio ed entro gli ulteriori tetti delle 136 e delle 120 ore rispettivamente nel biennio e in un singolo anno: interessante notare, inoltre, come, superato il limite delle otto ore quotidiane, ogni ora di flessibilità positiva determina l’assegnazione non soltanto della maggiorazione prevista per i recuperi produttivi ma, altresì, di un importo orario pari a 10 € lordi a titolo di “indennità flessibilità”.
È proprio nell’ambito dei cc.dd. “sistemi di turnistica secondo modelli flessibili”, appena delineato, che si registra una significativa presenza delle RSU, più volte chiamate in causa tanto in fase previa rispetto alla definizione di determinati turni, quanto a consuntivo nella gestione delle ore accumulate: un incontro specifico tra le parti, infatti, scandito secondo rigide tempistiche, produrrà un verbale operativo che determinerà tutti gli aspetti relativi al regime di flessibilità di volta in volta instauratosi, come il carattere positivo o negativo, la durata, le aree coinvolte o la collocazione cronologica, mentre l’innalzamento del tetto massimo della flessibilità negativa dalle 40 alle 80 ore, sarà lecito soltanto qualora dall’incontro con le RSU non risultino rischi per la continuità produttiva. Le rappresentanze sindacali, inoltre, riceveranno anche il riepilogo complessivo del quantum di flessibilità accumulato e poi convogliato nel “Conto D” della banca ore.
L’abbondante conferimento di indennità riconosciute a vario titolo spiega i propri effetti non soltanto in un’ottica di incentivazione all’aderenza a sistemi flessibili di organizzazione del lavoro ma, al contempo, in vista della valorizzazione della professionalità del personale: in questa prospettiva sembrano spiegarsi i diversi compensi addizionali dipendenti dalla qualifica ricoperta, e che variano dai 70 € lordi riconosciuti ai Leader Senior ai 55 € che spettano invece a chi esercita la funzione di Leader Junior o altre (di tale importo sono infatti le Indennità GMB, Indennità gru colaggio ACC, Indennità TRA/SEM, Indennità PDE e Indennità MGP). Una considerazione a parte, invece, merita la conferma di quanto previsto dall’accordo del 26 novembre 2012 relativamente alla c.d. “Indennità formazione fuori orario”, che denota la sensibilità delle parti contrattuali rispetto all’impellente esigenza di long-life learning indotta dalla Quarta Rivoluzione Industriale.
Nell’ambito del perseguimento di modelli flessibili dell’organizzazione produttiva si colloca anche la disciplina inerente al c.d. Smart Working o Lavoro Agile, istituto che viene espressamente classificato come «una prestazione di lavoro, svolto anche fuori dai locali aziendali, supportato dall’uso della tecnologia, con orari flessibili, che consente di rispondere ad esigenze personali e contemporaneamente ad esigenze organizzative». Il regime delineato dalle parti contrattuali pare piuttosto restrittivo: fermo restando il consueto divieto di prestazioni straordinarie, si prevede che l’attività lavorativa debba coincidere con almeno il 70% dell’ordinario orario di lavoro, con obbligo di comunicare al proprio responsabile l’orario prescelto qualora non esattamente coincidente con la normale durata della giornata lavorativa, al fine di garantire la propria disponibilità in occasione delle fasce orarie comunicate, le c.d. “Fasce di Reperibilità”.
Retribuzione variabile e welfare aziendale
Ugualmente composito è il sistema premiante dell’Azienda che, basato sulle tre fondamentali dimensioni “operativa di area”, “economica di azienda” e “comportamentale individuale”, conferma l’impianto già vigente, fondato su sei diversi indicatori premiali: tra questi figurano, innanzitutto, il “Premio della qualità e produttività del processo produttivo” (PQP), il “Premio di redditività aziendale” (PRA, subordinato al valore annuo del “Risultato Ante Imposte”, c.d. RAI), e, poi, il “Premio assiduità”, che dimostrano, nel loro insieme, la volontà di perseguire il costante miglioramento dell’organizzazione produttiva. Nella determinazione dei primi due valori, la c.d. “Procedura di visibilità e partecipazione” rivela l’intento delle parti di assicurare trasparenza al relativo processo, attraverso la partecipazione dei lavoratori, spesso filtrata per il tramite delle rappresentanze sindacali in sede di commissioni paritetiche.
Un discorso a parte, invece, si rende opportuno per l’analisi degli altri 3 indicatori premiali, battezzati come “Premi sulla professionalità”, “Premio prevenzione per la sicurezza” (PPS) e “Premio prevenzione ambientale” (PPA): se il primo conferma la sensibilità delle parti in causa rispetto alla valorizzazione della professionalità dei dipendenti, che assurge a unità di misura di parte del premio di risultato, i secondi sembrano piuttosto configurarsi quali parametri di Responsabilità Sociale d’Impresa (Corporate Social Responsibility), composti da ulteriori sotto indicatori, tra i quali spicca, in entrambi i casi, la formazione del personale.
Il regime contrattato in materia di premio di risultato, infine, ha la fortuna di non vivere in una condizione di isolamento rispetto agli altri istituti negoziali ma, anzi, interagisce vivacemente con loro, come visto in tema di professionalità e formazione del personale, ma come, soprattutto, evidenziato dalle profonde connessioni con il sistema di welfare aziendale. La possibilità di convertire il premio di risultato in misure di welfare, nella misura del 25%, 50%, 75% o 100% della ricompensa, è fortemente caldeggiata dal riconoscimento di un incentivo pari al 10% di quanto convertito, nonché da una sterminata offerta di servizi, costruiti prevalentemente in termini di rimborsi delle spese effettuate a vario titolo: dall’acquisto di libri di testo all’iscrizione a qualunque corso formativo, dall’asilo nido a un master, dall’abbonamento a forme pubbliche di trasporto fino alla restituzione delle spese sostenute per la frequenza di campus extrascolastici e per le spese di assistenza e cura presso ludoteche o baby sitting, o presso familiari anziani e/o disabili.
L’elenco diventa poi infinito con il riconoscimento di buoni-voucher da utilizzare presso strutture convenzionate e per una svariata serie di prestazioni, come viaggi, eventi, spettacoli e attività ricreative, abbonamenti presso palestre, centri wellness e per altre attività sportive o, ancora, per prestazioni di check-up medico e visite specialistiche. Chiudono il quadro il versamento di una quota a titolo di previdenza integrativa e il rimborso degli interessi passivi derivanti dall’attivazione di mutui necessari per l’acquisto della prima o seconda casa, nonché per lavori di ristrutturazione.
La visione ottimistica che connota l’intero accordo e la proiezione verso un miglioramento complessivo dell’Azienda nel prossimo biennio, dunque, sembrano reggersi sulla solidità che caratterizza il sistema di relazioni industriali in Tenaris Dalmine, complici, da un lato, una spiccata e persistente sensibilità delle parti contrattuali rispetto alle esigenze di valorizzazione del personale, come testimoniato dalle rassicuranti e trasversali discipline in materia di professionalità e formazione e, dall’altro, dalla meticolosa ricerca di innovativi modelli di organizzazione industriale, capaci di coniugare le istanze dei lavoratori con gli interessi dell’Azienda.
Andrea Tundo
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo