Bollettino ADAPT 18 febbraio 2019, n. 7
Il confronto politico e istituzionale sulla autonomia differenziata ha il merito di mettere in luce due ordini di problemi non risolti nel nostro disordinato assetto delle competenze e nel nostro profondo dualismo territoriale. Veneto e Lombardia, ad esempio, chiedono di riunire, pur nel quadro del necessario coordinamento nazionale, tutte le politiche per l’occupabilità.
Istruzione, formazione, lavoro non sono più fasi successive della vita ma si devono integrare continuamente nella specificità di ogni contesto territoriale affinché ciascuno abbia l’opportunità di transitare a nuove competenze spendibili e le imprese possano crescere concorrendo alla preparazione delle capacità umane che servono. Le stesse politiche passive devono poter essere gestite secondo coerenza con il primario obiettivo di includere nella vita attiva.
La prossimità diventa un criterio necessario nel momento in cui l’omologazione cede il passo alle diversità. Si sperimentino quindi soluzioni avanzate li dove vi sono le condizioni per produrle affinché diventino buone pratiche da imitare ovunque. Ma qui sorge il secondo ordine di problemi che potremmo ricondurre al principio dell’unità economica e sociale della Repubblica. È ben vero che se qualcuno resta indietro la soluzione non può consistere nel vincolo per gli altri di rimanere fermi ad aspettarlo. Il federalismo a geometria variabile deve quindi risultare un modo per garantire a tutti i livelli essenziali delle prestazioni a prescindere dalla capacità fiscale di partenza. Il che non può significare la continua erogazione agli amministratori incapaci delle risorse eternamente aggiuntive per non raggiungere mai questi livelli. Se alcune istituzioni regionali o locali sono oggi nella condizione di avere una autonomia potenziata, altre devono subire una limitazione della loro capacità fino al commissariamento proprio a tutela dei loro cittadini spesso intrappolati nel circolo vizioso che unisce livelli crescenti di tassazione e qualità decrescente dei servizi.
Tocca allo Stato subentrare nella gestione quando non sono rispettati i costi o fabbisogni standard, le prestazioni sono carenti, il prelievo tributario supera una soglia prefissata. Lo squilibrio dei bilanci deve essere tempestivamente identificato, ben prima del verificarsi di uno stato di dissesto pressoché irreversibile. I piani di rientro devono avere come presupposto il “fallimento politico” e le dimissioni di chi ne ha prodotto la necessità. Se al centro delle decisioni si pongono le persone, ovunque residenti, sono solo i cattivi amministratori a dover temere il passaggio, finalmente, ad un federalismo responsabile.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi