Bollettino ADAPT 3 giugno 2019, n. 21
Il governatore della Banca d’Italia, nelle sue Considerazioni Conclusive, ha opportunamente sottolineato come il declino demografico rappresenti causa fondamentale della bassa crescita italiana proponendo ai decisori pubblici di alzare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto per giovani e donne, e i livelli di produttività. Negli stessi giorni Altagamma, l’associazione che riunisce le imprese più rappresentative del Made in Italy, ha calcolato una significativa dimensione delle carenze professionali nei prossimi anni. Sia la partecipazione al mercato del lavoro, sia la produttività e competitività delle nostre imprese sono influenzate dai livelli di formazione (integrale) delle persone.
Ma qui si ripropone la debolezza del nostro sistema educativo e formativo nel momento in cui il salto tecnologico consuma molta parte dei tradizionali mestieri ripetitivi e sollecita competenze ibride per accompagnare la trasformazione digitale delle imprese, elevarne la produttività, generare occupabilità. Più che una riforma legislativa dell’istruzione servirebbe un radicale cambio di passo attraverso una profonda rivisitazione dei contenuti e dei metodi pedagogici. Tra questi ultimi si evidenzia, in particolare, la necessità di integrare apprendimento teorico e pratico attraverso il valore educativo del lavoro e la capacità formativa delle imprese. E qui torniamo all’importanza dei patti territoriali tripartiti per costruire ecosistemi formativi locali attraverso progetti di collaborazione tra imprese, scuole, università, servizi pubblici e privati per l’impiego, enti bilaterali. Così come lo sviluppo delle professionalità richiede una diffusa contrattazione aziendale e interaziendale tanto per declinarlo in percorsi efficaci di apprendimento quanto per incentivarlo attraverso la rivisitazione delle qualifiche e degli inquadramenti nonché il riconoscimento di incrementi retributivi collegati alle maggiori competenze acquisite.
Sono tutte considerazioni che evidenziano i limiti del contratto nazionale che dovrebbe avere solo i residui contenuti per i quali i lavoratori e le imprese sono uguali: i principi generali (e generici), il salario minimo, le prestazioni sociali complementari, un eventuale clausola di salvaguardia per le imprese che non hanno provveduto ad incrementi retributivi. Per tutto il resto dovrebbero provvedere gli accordi di prossimità anche attraverso l’accompagnamento delle piccole imprese a contratti di filiera, di distretto o di territorio con organizzazioni sindacali non necessariamente presenti in ciascuna di esse. Un incoraggiamento allo spostamento del baricentro contrattuale potrebbe venire dalla ipotesi di una flat tax “secca” al 5% su tutti gli incrementi retributivi decisi in azienda o nel territorio.
Il differenziale con la tassazione piena degli aumenti su base nazionale potrebbe accelerare gli scambi virtuosi tra salari, competenze, produttività.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi