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Bollettino ADAPT 15 luglio 2019, n. 27
Dinnanzi alla riforma della disciplina dei controlli a distanza sull’attività dei lavoratori (art. 4 Statuto dei lavoratori) operata nel contesto del c.d. Jobs Act, in letteratura e da parte degli stessi sindacati si è posta particolare attenzione alla valutazione e alla analisi delle due innovazioni principali della riforma: da un lato, la limitazione dell’ambito di applicazione della procedura concertativo-autorizzativa a fronte della labile distinzione operata tra strumenti «dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori» e strumenti «utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa»; dall’altro l’apertura all’utilizzabilità dei dati ottenuti tramite tali strumenti per fini connessi al rapporto di lavoro. Mentre l’attenzione si è concentrata sulla individuazione e denuncia dei possibili rischi connessi alla nuova disciplina o sulle sue inefficienze, scarsa è stata la riflessione su quale impatto la stessa potesse avere sulle modalità e sui contenuti dell’azione sindacale in questo ambito, soprattutto a fronte delle nuove modalità di trattamento dei dati all’epoca dei big data e delle nuove possibilità offerte dagli strumenti della analytics. Si tratta, invece, di un aspetto di fondamentale importanza per comprendere quale possa essere il ruolo della rappresentanza collettiva nella gestione delle sempre più incisive dinamiche di trattamento dei dati proprie della c.d. data-driven economy.
In questo senso, occorre osservare come la nuova formulazione dell’art. 4 Stat. lav. nel legittimare l’utilizzo delle informazioni ottenute dagli strumenti utilizzati nel contesto lavorativo per finalità ulteriori apre un inedito campo di negoziazione relativo proprio alla individuazione delle finalità del trattamento. Se prima della riforma, infatti, l’inutilizzabilità di tali informazioni circoscriveva l’ambito di interesse alle modalità di effettuazione dei controlli con riferimento agli strumenti utilizzati e ai soggetti che alle informazioni avessero accesso, oggi risulta di centrale importanza la vita successiva di tali informazioni, le quali potrebbero entrare in processi decisionali particolarmente incisivi relativamente al lavoratore come singolo, ma anche come membro di un gruppo. Ciò a maggior ragione se si considera la quantità e la eterogeneità dei dati prodotti nei contesti lavorativi e quanto più facile risulti oggi l’aggregazione e l’analisi di tali informazioni al fine di creare nuove conoscenze su cui basare le decisioni aziendali.
Pur nel nuovo limitato ambito di intervento (e, quindi, ad esclusione degli strumenti di lavoro), è all’interno degli accordi ex art. 4 Stat. lav. che i rappresentanti dei lavoratori possono tentare di gestire l’utilizzabilità dei dati al fine di conformarne i trattamenti ad un corretto bilanciamento tra gli interessi datoriali e quelli dei lavoratori. In questo contesto, al di fuori di qualsiasi demonizzazione delle nuove possibilità di trattamento dei dati, è nostro avviso che il miglior interesse di entrambe le parti non possa essere raggiunto attraverso una opzione interpretativa del ruolo sindacale come meramente difensivo – teso ad escludere alcune finalità (in particolare quella disciplinare) – ma richieda ai rappresentanti dei lavoratori la capacità di sfruttare proattivamente le informazioni raccolte dalle nuove tecnologie al fine di migliorare le condizioni di lavoro.
L’analisi svolta su un insieme di 1161 contratti collettivi aziendali contenuti nella banca dati ADAPT e conclusi tra il 23 settembre 2015 (data di entrata in vigore del d.lgs. 151/2015 che ha modificato l’art. 4 Stat. lav.) e il 31 dicembre 2018, rivela che la gestione dei dati prodotti dalle nuove tecnologie resta tuttora un tema poco esplorato dalla contrattazione collettiva di secondo livello (solo il 6,6% degli accordi analizzati menziona o tratta la questione[1]) e che anche nei casi in cui viene fatto, le parti tendono ad intervenire in ottica difensiva con clausole che pongono limiti alle ulteriori possibilità di impiego delle informazioni raccolte. In particolare, tra gli accordi analizzati, si rileva il divieto esplicito di utilizzo delle informazioni per scopi disciplinari, di profilazione e di marketing. In questo contesto, sono rare le esperienze negoziali che allungano il ciclo di vita dei dati raccolti, riconoscendone la rilevanza nei moderni contesti lavorativi per meglio rispondere alle esigenze di imprese e lavoratori. L’accordo Almaviva del 16 febbraio 2017 è un esempio in tal senso, poiché prevede che i dati ottenuti da strumenti per la misurazione della produttività di team, possano essere utilizzati anche per la programmazione di adeguati percorsi formativi. L’accordo Partesa del 7 giugno 2018, invece, ammette l’utilizzo in forma aggregata di informazioni relative ai comportamenti di guida, rilevate da un’applicazione installata negli automezzi aziendali, per ulteriori analisi sulla sicurezza. A suscitare interesse verso queste intese non è soltanto l’apertura delle rappresentanze sindacali all’impiego dei dati nelle moderne relazioni di lavoro, ma sono anche le opportunità di partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione dei dati, connesse proprio a queste ulteriori finalità. I comportamenti di guida dei lavoratori Partesa e i trend di miglioramento sono, infatti, restituiti in forma aggregata agli stessi lavoratori che, divisi in gruppi durante riunioni periodiche, si occupano di analizzarli per mettere in luce i principali rischi e proporre condotte meno pericolose.
Senza voler sottostimare l’entità dei processi di trattamento dei dati che, derivando dagli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, sfuggono alla procedura concertativo-autorizzativa, l’analisi dei contratti collettivi aziendali ex art. 4 Stat. lav. dimostra che proprio la nuova disciplina sui controlli a distanza, ammettendo l’utilizzabilità delle informazioni raccolte a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, abbia già lanciato una sfida e insieme una opportunità alle organizzazioni sindacali. E in particolare, a quella parte della rappresentanza che non intende circoscrivere la propria azione alla mera difesa dei lavoratori contro l’impatto sempre più pervasivo delle nuove tecnologie, ma vuole entrare nelle moderne dinamiche di utilizzo e trattamento dei dati. È del resto proprio da questa prospettiva di azione sindacale che come evidenziano le esperienze riportate, pare possibile realizzare la sintesi più efficace tra le spinte alla competitività e digitalizzazione delle imprese e la promozione e tutela degli interessi dei lavoratori.
ADAPT Research Fellow
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
[1] Per fare un confronto, in Germania, dove però vige il diritto di codeterminazione sull’introduzione e utilizzo di strumenti tecnologici per diverse finalità (come il monitoraggio delle performance e della condotta dei lavoratori, la predisposizione di misure per la prevenzione dei rischi e la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, le modalità di funzionamento degli stabilimenti), il 70% degli accordi tra aziende e consigli di fabbrica sottoscritti nel 2017 e contenuti nell’archivio della Fondazione Hans Böckler, ha riguardato il trattamento dei dati.
*Il presente contributo sintetizza alcuni dei contenuti dell’articolo dei due autori “A Seat at the Table: Negotiating Data Processing in the Workplace. A National Case Study and Comparative Insights” in corso di pubblicazione all’interno del numero speciale della rivista Comparative Labor Law & Policy Journal su “Automation, Artificial Intelligence, and Labour Protection”, curato da Valerio De Stefano. Una versione pre-pubblicazione dell’articolo è disponibile qui.