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Bollettino ADAPT 7 ottobre 2019, n. 35
Non è facile far comprendere a giovani studenti il valore della parola “lavoro” e il senso che essa ricopre nel linguaggio mediatico, o quanto questo differisca dal sentimento collettivo e dal significato che ha nel linguaggio giuridico ed economico.
Un docente di diritto del lavoro, giurista chiamato ad insegnare il diritto in una facoltà di economia, inizia la sua lezione (#Dirlav2019) chiedendo ai suoi studenti di cercare la definizione del termine “mercato”.
Il mercato fisico, quello che in una città bellissima come Modena, popola il parco adiacente al Dipartimento di Economia “Marco Biagi” ogni lunedì mattina. Il mercato delle cose, degli oggetti, dello scambio.
Esistono poi mercati non tangibili, che non si vedono, che non si realizzano in luoghi reali ma si compiono in altri modi. Il mercato finanziario, immobiliare, virtuale, e così via.
E poi c’è il mercato del lavoro, un mercato speciale che implica la persona che presta la sua attività lavorativa, il suo tempo, le sue energie e le sue competenze.
Dentro il mercato del lavoro c’è l’uomo.
La Dichiarazione di Filadelfia del 1944 sugli scopi e sugli obiettivi dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, stabiliva che il lavoro non è una merce (Labor is not a commodity), intendendo proprio la specialità del valore del lavoro nella prospettiva dello scambio prestazione – retribuzione (compenso).
Spiegare questo concetto a persone giovanissime, nate e cresciute in una epoca in cui questa fondamentale e affatto scontata conquista di civiltà è (o meglio pare che sia) insita nella quotidianità e nel sentire comune, può diventare difficile. C’è però un suggerimento che ci deriva dalla vita reale, dalla cronaca dei nostri giorni a regalarci una immagine.
24 settembre, Mestre. Il paese si sveglia con un nuovo netturbino che non ha nessun contratto con il Comune per poter svolgere la sua attività di pulizia. Un giovane straniero, dal nome così stranamente denso di un significato profondo, Monday, decide di rendersi utile e pulire le strade di una città che è diventata la sua. A modo suo Monday ha deciso così di abitare il nuovo luogo in cui lo ha condotto la sua vita.
Non vale qui capire quali effetti possano derivare da una prestazione di lavoro non sorretta da un contratto, quali sanzioni possano scattare e valutare la bontà, l’equità e la giustizia dell’attività e delle reazioni che essa ha comportato.
Quello che ci aiuta, per capire la specialità del valore del lavoro è il cartello che Monday ha scritto, mostrando anche un uso corretto della lingua italiana, che è la lingua che parlano i suoi nuovi concittadini.
Monday parla di un desiderio, quello di sentirsi utile, di integrarsi nel contesto in cui vive, di sentirsi uomo. Monday solo alla fine chiede un contributo, e solo per ricompensare una attività di fatto già svolta.
Per questo il lavoro non è una merce, perché dietro ad esso esiste un afflato, che è proprio di tutti gli uomini, indipendentemente dal luogo in cui sono nati, da come sono cresciuti, dal colore della loro pelle, dal loro credo religioso e politico. Questo desiderio è il bisogno di partecipare a qualcosa di più grande, di essere inseriti in un contesto in cui sentirsi utili, apprezzati e, in fin dei conti, provare ad essere felici.
Monday ha iniziato la sua settimana nel migliore dei modi, ricordandoci sempre che dietro all’economia, ai contratti, agli scambi, esistono le persone. Una lezione (di vita, e di lavoro) anche questa.
ADAPT Senior Research Fellow