L’outsourcing: una strategia priva di rischi? Il contributo della commissione di certificazione DEAL dell’Università di Modena e Reggio Emilia*

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Bollettino ADAPT 11 novembre 2019, n. 40

 

Nel lontano 1997 Marco Biagi scriveva: «Il titolo di questo intervento può, a prima vista, sembrare provocatorio se non addirittura contraddittorio. Come si può infatti affermare che l’outsourcing – e cioè l’esternalizzazione del lavoro nelle sue varie formulazioni – possa costituire, dal punto di vista della gestione del personale, una strategia rischiosa e non invece una opportunità? (…) Eppure possono darsi situazioni di obsolescenza del quadro normativo da trasformare l’opportunità in un rischio e quindi in un vincolo. Tante sono le difficoltà, così molteplici appaiono i rischi di ordine legale, che la valenza strategica dell’outsourcing può in alcuni casi vacillare. In questo contributo vorremmo sviluppare la tesi secondo cui le pratiche di esternalizzazione del lavoro si scontrano nel caso italiano con normative non pensate per favorirle, o anche solo governarle, al fine di assicurare correttezza di competizione fra le imprese. In tale quadro l’impresa può essere indotta ad adottare comportamenti “a rischio”» (M. Biagi, L’outsourcing: una strategia priva di rischi?, in Guida lav., 1997, 3, ora in L. Montuschi, M. Tiraboschi, T. Treu, Marco Biagi. Un giurista progettuale. Scritti scelti, Giuffrè, pp. 271-272).

 

La più recente evoluzione del quadro legale non solo conferma lo spunto, come sempre lucido e puntuale, di Marco Biagi ma anzi ci consegna oggi, col c.d. decreto fiscale (d.l. n. 124/2019) – con particolare riferimento al sistema degli appalti – un quadro legale ancora più farraginoso e complesso che, nel rallentare i processi di modernizzazione del sistema produttivo, solleva non poche problematiche in punto di responsabilità contrattuale in capo agli imprenditori che ricorrono a queste strategie presenti in tutto il mondo. Le istanze di tutela del lavoro sono, ovviamente, centrali nel discorso giuslavoristico e non si possono negare situazioni di abuso come la cronaca ciclicamente indica. E pur tuttavia l’obiettivo di tutela del lavoro non può essere affidato a prassi normative che penalizzano lo sviluppo delle imprese da cui dipendono i tassi di occupazione e le opportunità di lavoro.

 

In questa prospettiva il cd. decreto fiscale (d.l. n. 124/2019), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 ottobre, ripone alle imprese e ai loro consulenti legali il problema della responsabilità giuridica e dei controlli formali rispetto alle filiere produttive nei casi di esternalizzazione di parte delle proprie attività verso soggetti terzi.

 

È da tempo che il legislatore interviene in materia con misure che sono chiare (e anche condivisibili) negli obiettivi e che tuttavia, nella loro applicazione pratica, danno poi luogo a complicazioni burocratiche e normative che frenano l’evoluzione dei modelli organizzativi del lavoro. In attesa di una modifica dell’indirizzo legislativo, già proposta da Marco Biagi che richiamava, negli scritti poc’anzi citati, «la necessità di un ripensamento della legislazione sul lavoro dipendente, al fine di porla in consonanza con le mutate pratiche aziendali, mirando a non penalizzare la posizione delle aziende italiane nel confronto globalizzato», le commissioni di certificazioni possono farsi promotori dei processi di modernizzazione vigilando, al contempo, sul regime delle tutele del lavoro.

 

Con lo sguardo rivolto alla progettazione di buone prassi e soluzioni alternative si inserisce, in tale contesto, il tentativo della commissione di certificazione DEAL-UNIMORE diretto a privilegiare l’ingresso – nel mercato del lavoro – di operatori capaci di rendere una prestazione di qualità, con una idonea organizzazione e in modo da garantire, al contempo, la sicurezza del lavoro e il ruolo centrale della prevenzione. Ponendo infatti l’attenzione sulle problematiche legate all’organizzazione nel suo complesso e alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, si aprono – a fronte di un impianto legislativo rigido e improntato su modelli organizzativi di stampo fordista che tradizionalmente hanno garantito la lineare connessione fra imprenditore-ambiente-prestazione lavorativa – nuove sfide sul campo della prevenzione.

 

A tal proposito è stato delineato un sistema di “qualificazione delle imprese” in grado di realizzare la necessaria correlazione tra un’efficace prevenzione, una organizzazione qualitativamente apprezzabile e un solido sistema contrattuale. Non solo. Un sistema di qualificazione su base volontaria, tramite una “certificazione di qualità” rilasciata da un ente terzo istituito presso l’Università, potrebbe ben soddisfare altre esigenze a beneficio degli operatori del mercato del lavoro.

 

In primis, come sancito anche dall’art. 27, d.lgs. n. 81/2008, la qualificazione proposta dovrebbe essere intesa come “fattore organizzativo”, sulla base dell’adozione di funzionali modelli di organizzazione e gestione della salute e sicurezza sul lavoro, condivisa dall’azienda durante l’arco dell’intero ciclo di vita. A tal proposito merita ricordare che l’art. 27, d.lgs. n. 81/2008 (come modificato dal d.lgs. n. 106/2009), prevede l’introduzione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che intendono operare in alcuni specifici settori, demandando al Committente l’onere di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice e/o del lavoratore autonomo a cui affida l’esecuzione dei lavori oggetto del contratto. È questo il caso, a mero titolo esemplificativo, degli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento, settore disciplinato dal D.P.R. n. 177/2011 con il quale si prevede espressamente che le attività in questione possono essere svolte soltanto dagli operatori (imprese o lavoratori autonomi) in possesso di determinati requisiti. Infatti, il contesto delineato dall’art. 27, d.lgs. n. 81/2008 è caratterizzato da una logica premiale in favore delle aziende più diligenti, organizzate ed esperte in materia di salute e sicurezza al fine di promuovere l’adozione di buone pratiche aziendali nonché un meccanismo di selezione ex ante basato non solo su criteri meramente formali, bensì sul possesso di requisiti sostanziali, la cui qualità viene attestata mediante procedimenti di certificazione ai sensi degli artt. 75 e seguenti del d.lgs. n. 276/2003. Tuttavia, merita segnalare che il legislatore del 2009 sembra aver perso l’occasione per rafforzare ulteriormente la connessione tra qualificazione e organizzazione, non recependo, in sede di intervento correttivo, l’incentivo della presunzione di conformità per le imprese che adottano specifici modelli di organizzazione e gestione e, parallelamente, la possibilità di certificare (ad opera delle Commissioni di certificazione istituite presso Università ed Enti Bilaterali) l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli organizzativi di cui all’art. 30, d.lgs. n. 81/2008. Connessione che ben potrebbe essere recuperata tramite l’attuazione di un sistema di qualificazione volontario volto alla puntuale analisi del modello organizzativo adottato, di volta in volta, da singole imprese e sottoposto al vaglio della Commissione di certificazione.

 

In secondo luogo, il sistema di qualificazione potrebbe essere identificato come strumento di preselezione degli operatori sul mercato al fine di creare un circuito virtuoso all’interno del quale le imprese selezionate possono distinguersi sul mercato di riferimento nonché accedere a molteplici benefici: dal diritto di preferenza nelle gare di appalto ad una maggiore spendibilità reputazionale sul mercato nei confronti dei vari stakeholders con conseguenti ricadute positive in termini di produttività e competitività. In tal modo sarà possibile offrire maggiori garanzie anche alle imprese Committenti che avranno la possibilità di intercettare facilmente nonché rivolgersi, all’interno di un determinato settore, ad aziende qualificate. La selezione degli operatori dovrà basarsi dunque sull’effettivo possesso di requisiti sostanziali, da parte degli appaltatori/subappaltatori, inerenti all’affidabilità in termini organizzativi (tramite la predisposizione di idonei modelli di organizzazione e gestione ex art. 30, d.lgs. n. 81/2008), alla genuinità del sistema contrattuale posto in essere (dai contratti di lavoro ai contratti di appalto utilizzati) e, ancora, al rispetto degli standard di responsabilità sociale d’impresa.

 

In terzo luogo, grazie all’adozione di un sistema di qualificazione delle imprese come strumento di garanzia della salute e sicurezza sul lavoro, sarà possibile valorizzare il ruolo della prevenzione garantendo al contempo maggiori tutele delle condizioni lavorative nei (nuovi) luoghi di lavoro.

In questa prospettiva si rende necessario, a fronte dell’attuale disciplina prevenzionistica costruita sul modello della fabbrica fordista di grandi dimensioni, ripensare le tradizionali categorie giuridiche, tramite l’assistenza progettuale della Commissione di certificazione, da applicare ai nuovi modelli organizzativi e ai nuovi ambienti di lavoro.

 

La “certificazione di qualità”, rilasciata dalla Commissione di certificazione DEAL-UNIMORE tramite protocolli di verifica costruiti ad hoc in base al contesto operativo di riferimento, attesta la bontà dei processi organizzativi e dell’assetto contrattuale delle aziende in un determinato settore, garantendo al contempo un standard minimo di reputazione necessario per stare, oggi, sul mercato del lavoro.

 

In questa prospettiva, infatti, merita segnalare il ruolo che l’istituto della certificazione dei contratti (ai sensi degli artt. 75 e seguenti., d.lgs. 276/2003) ha nel nostro ordinamento e, altresì, l’estensione che potrebbe avere creando lo spazio per rendere massima la sua applicazione in scenari ancora inesplorati. In chiave evolutiva sembra possibile ripensare l’istituto della certificazione dei contratti come strumento non solo di regolazione (rafforzata) del mercato del lavoro bensì di “controllo” e qualità – di natura volontaria – dell’attività di impresa (attraverso un percorso di crescita, consolidamento e posizionamento aziendale sul mercato del lavoro) in vista di una utilità generale da ricercarsi non solo nel vantaggio competitivo e reputazionale aziendale, ma anche nella riduzione del contenzioso in materia di lavoro (e dunque riduzione dei costi). In questa ottica la certificazione dei contratti e la promozione di buone prassi, come il percorso di qualificazione d’impresa nel senso qui richiamato, dovrebbe fungere da “garanzia presso terzi”, generando affidabilità dell’impresa che decide di sottoporsi al vaglio della Commissione la quale, nel corso del tempo, è stata chiamata ad approfondire non solo gli aspetti formali, ma anche quelli organizzativi e gestionali delle diverse realtà imprenditoriali.

 

In conclusione, buone prassi – grazie alle quali è possibile creare progresso nel contesto socio-economico – certificabili tramite un protocollo di verifica e finalizzate al controllo sostanziale (e non meramente formale) della qualità delle scelte aziendali tenendo conto, altresì, delle loro ricadute in termini pratici sul benessere dei lavoratori, sulla produttività-competitività e sulla qualità del lavoro. Il percorso ipotizzato, attraverso una attestazione rilasciata da un ente terzo al fine di verificare l’idoneità di un soggetto rispetto agli standard richiesti e alla complessità della propria organizzazione nel settore produttivo di riferimento, potrà fungere da leva strategica per la selezione degli operatori tramite una nuova forma di certificazione (volontaria) per migliorare la gestione dell’ambiente di lavoro in senso lato. Dunque, un percorso di certificazione graduale e progressivo teso al raggiungimento di standard elevati di qualità attraverso la composizione degli interessi fra lavoratori, azienda e ambiente (sempre più frammentato e disomogeneo) nel quale quotidianamente viene svolta l’attività lavorativa.

 

Giada Benincasa

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@BenincasaGiada

 

*Articolo pubblicato in Bollettino certificazione DEAL – UNIMORE, n. 3/2019

 

L’outsourcing: una strategia priva di rischi? Il contributo della commissione di certificazione DEAL dell’Università di Modena e Reggio Emilia*
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