Politically (in)correct – L’economia della terza età

Bollettino ADAPT 10 febbraio 2020, n. 6

 

“Nel 2018 la popolazione mondiale ha raggiunto i 7,6 miliardi di persone. L’80% degli over 65 vive nelle 20 economie maggiormente sviluppate che producono l’85% del PIL mondiale. Entro il 2030 ci saranno circa 8,5 miliardi di persone e l’età mediana raggiungerà i 33 anni, dai 30 anni del 2018 (24 anni nel 1950, stime Banca mondiale). Il numero degli over 65 da 674 milioni nel 2018 raggiungerà nel 2030 il miliardo, vale a dire oltre 1 over 65 ogni 10 abitanti”.

 

Questo brano è l’incipit di una nota del Centro Studi Confindustria a cura di Massimo Rodà e Francesca G.M. Sica: L’economia della terza età: consumi, ricchezza e nuove opportunità per le imprese’’. Lo studio è particolarmente interessante perché “dà vita agli anni’’, nel senso che affronta il tema epocale dell’invecchiamento (che è una caratteristica dell’emisfero sviluppato) non solo sul terreno consueto del pensionamento  – dove l’opinione pubblica e con essa la politica, prigioniera del presente, si ostina  a non tener conto dei vincoli demografici – ma su quello di un’esistenza ancora attiva, in grado di creare ricchezza attraverso standard di lavoro e di vita compatibili con l’età, senza rassegnarsi a dedicarsi al volontariato, nel migliore dei casi, o ad accompagnare il cane a passeggio nei giardini pubblici, se si invecchia non solo nel fisico  ma anche nell’anima.

 

In premessa, tuttavia, chi scrive non può esimersi – per quelli che sono i suoi interessi – dal sottolineare le trasformazioni profonde nella struttura della popolazione che i trend demografici già determinano e ancor più determineranno nei prossimi decenni. Senza considerare questi aspetti si rimane prigionieri – per quanto riguarda i grandi sistemi di welfare che “fanno la differenza” tra le diverse aree del mondo – di una visione della società che non esiste più. Come se si volesse indossare il vestito da marinaretto usato da bambini anche quando saremo accomodati nella bara.

 

L’Italia – prosegue la nota – si caratterizza per avere una popolazione mediamente molto longeva (81 anni gli uomini e 85 le donne) e con una quota di over 65 tra le più alte al mondo: nel 2018 erano 13,6 milioni (22,8% del totale), in aumento dell’11% dal 2012. Sono previsti crescere ininterrottamente fino al 2047, quando – prosegue la nota – saranno quasi 20 milioni (34%). Nel 2018 l’indice di vecchiaia ha raggiunto il suo massimo storico di 173,1: ogni 100 giovani ci sono dunque 173 anziani; erano 130 nel 2000 e 58 nel 1980 (nota bene: sono triplicati in 40 anni, ndr). L’indice di dipendenza degli anziani ha raggiunto il 35,7%, ciò significa che in Italia ogni tre persone attive ve n’é una over 65. Si tratta del valore più elevato in Europa (31%) e il secondo al mondo dopo il Giappone (46%)”.

 

Vi è poi, soprattutto in Italia, una narrazione infondata della condizione dell’anziano che viene comunemente declinata insieme all’idea di povertà. Tanto che – come abbiamo già accennato –  tradizionalmente il perimetro della cosiddetta Silver Economy è identificato dalla quota di spesa pubblica per il capitolo “vecchiaia” (che vale circa il 27% del totale). Ma non si tiene conto della spesa privata per domanda di servizi domestici di assistenza e cura che è a carico delle famiglie e che da occupazione a circa 1,6 milioni di persone (nella veste di badanti e personale domestico).

 

In realtà gli ambiti che compongono l’economia della terza età sono più numerosi e rappresentano una fonte importante di domanda potenziale e quindi un’opportunità per il sistema economico. Secondo la nota del CSC, gli over 65 si caratterizzano per: un consumo pro-capite medio annuo più elevato, 15,7mila euro (contro i 12,5 per gli under 35); un reddito medio più alto, 20mila euro (a fronte di 16mila degli under 35); una maggiore ricchezza reale pro-capite, 232mila euro (vs 110mila); una solidità finanziaria superiore, con 1 anziano su 10 indebitato (a fronte di quasi 1 su 3 tra gli under 40); un’incidenza della povertà inferiore della metà rispetto agli under 35 (13% vs 30%); una resilienza al ciclo economico in quanto il reddito medio annuo degli over 65, tra le diverse fasce d’età, è l’unico ad avere superato i livelli pre-crisi. La domanda generata direttamente dagli over 65 in Italia è rilevante: in euro correnti, il valore complessivo della spesa realizzata da questa fascia della popolazione è di circa 200 miliardi di euro, quasi un quinto dell’intero ammontare dei consumi delle famiglie residenti. Si stima che nel 2030 la quota varrà circa il 25% del totale e nel 2050 il 30%. Gli anziani in salute rappresentano un segmento di consumatori appetibile per le imprese. Diverse aziende stanno ritarando i propri prodotti, beni o servizi, a misura di anziano.

 

Il punto cruciale, dunque, non è tanto invecchiare, ma invecchiare “bene”. In Italia, da questo punto di vista la situazione è favorevole: l’indicatore “speranza di vita a 65 anni” è di 21 anni, mentre secondo quello “senza limitazioni nelle attività”, un sessantacinquenne avrebbe in media davanti a sé 9,9 anni di vita in salute. Il profilo dell’italiano ultrasessantacinquenne – segnala la nota – è quello di una persona che vive in una casa di proprietà, ha mezzi economici e tempo a disposizione per aiutare anche economicamente i familiari (30% dei casi), ha una vita sociale più ricca e frequenta più spesso gli amici, fa sport (il 14,4% tra i 65 e i 74 anni), va in vacanza e si dedica sempre di più ad attività di volontariato. Genera una domanda di beni e servizi crescente, diversificata e sempre più significativa, differente da quella che le statistiche coglievano solo un decennio fa.

 

Eppure i talk show pensano di “fare notizia” quando intervistano persone che dichiarano di vivere avendo a disposizione poche centinaia di euro di una magra pensione. Sono purtroppo casi reali. Ma non costituiscono una rappresentazione esaustiva. Anzi. I dati relativi al consumo, alla ricchezza e al reddito per tipologia familiare identificata dall’età del capofamiglia indicano che i rispettivi livelli aumentano al crescere dell’età (consumi) per poi decrescere (ricchezza) o stabilizzarsi (reddito) in corrispondenza della fascia di età più avanzata. Anche gli indicatori di povertà e fragilità finanziaria mostrano una maggiore solidità delle famiglie over 65 rispetto alle altre tipologie familiari.

 

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

Politically (in)correct – L’economia della terza età