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Bollettino ADAPT 23 marzo 2020, n. 12
I contesti organizzativi hanno subito nel tempo notevoli cambiamenti fino a divenire oggi dei luoghi in cui si trovano a collaborare soggetti che presentano molteplici profili di diversità. Nel corso degli anni si è assistito ad un processo di cambiamento che ha portato da una composizione della forza lavoro omogenea per genere e provenienza all’emersione di profili di diversità che riguardano non soltanto aspetti personali come età, genere, etnia, abilità fisiche ma anche talento, aspettative ed esigenze. Questi elementi, necessariamente, si intrecciano con le dimensioni organizzative in cui sono immersi. La gestione integrata di queste diversità, che può diventare un punto di forza dell’organizzazione aumentando la produttività ed il senso di appartenenza, ha portato all’emersione di nuove posizioni all’interno delle organizzazioni e di un nuovo profilo professionale: il Diversity Manager.
Secondo la definizione che ne è stata data da Barabino, Jacobs e Maggio (2001) in “Il Diversity Management. Lo sviluppo delle risorse umane attraverso la valorizzazione delle differenze” quest’ultimo è un “approccio diversificato alla gestione delle risorse umane, finalizzato alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi”.
Nel tentativo di abbinare questo obiettivo del diversity management alle posizioni lavorative che ne gestiscono l’attuazione, in modo tale da meglio definirne i contorni, si sono prese in considerazioni diverse fonti, in modo tale da individuare gli elementi che la contraddistinguono e di collocarla all’interno di un contesto lavorativo individuandone capacità, competenze ed abilità al fine di aver un quadro chiaro e reale di quali siano gli ambiti di operatività di questo profilo professionale.
Una prima dimensione di analisi ha preso in considerazione i repertori pubblici. Da questa prima ricognizione è stato possibile verificare come la formalizzazione del profilo professionale del Diversity Manager, si riscontri unicamente nel quadro degli standard professionali di Regione Lombardia, in cui viene inquadrato nel settore di Area Comune come “il responsabile di tutte quell’insieme strutturale di pratiche innovative di gestione delle risorse umane nell’ottica di valorizzazione della diversità̀ di ciascuno, promuovendo la cultura dell’inclusione ai fini strategici dell’impresa”. In quella sede si identificano, altresì, le aree di azione in una posizione di interazione con le strutture/funzioni aziendali coinvolte nel processo organizzativo d’impresa intervenendo nei processi di reclutamento e selezione, sistema di compensation, piani di formazione, servizi interni, comunicazione aziendale, ambiente di lavoro, riconnettendo poi le relative competenze: “Presidiare le attività di reclutamento e selezione del personale in ottica di valorizzazione delle differenze (di genere, età, orientamento sessuale, origini etniche, abilità fisiche, religione…) e in funzione del profilo professionale ricercato” e Progettare e gestire iniziative e strategie di inclusione per la valorizzazione delle singole persone contrastando potenziali discriminazioni (di genere, età, orientamento sessuale, origini etniche, abilità fisiche, religione…). All’interno del medesimo documento, si differenzia inoltre da un altro profilo professionale che è quello del Disability Manager, che si occupa in modo diretto di disabilità nei contesti lavorativi, esaurendo così tutte le altre diversità emergenti in questi ultimi decenni, a causa di una repentina globalizzazione multiculturale.
Per tutti gli altri repertori regionali delle professioni non esiste una definizione così dettagliata ma l’ambito di attività proprio di tale professionista è al più riferibile nella maggioranza dei casi ad una figura più generica quale quella del “Tecnico della gestione delle risorse umane”, che possiamo individuare anche nell’Atlante del lavoro in cui più precisamente vengono delineate le sue aree di operatività in sviluppo e gestione risorse umane, programmazione risorse umane, valutando le possibilità di miglioramento e razionalizzazione del personale presente sulla base dei loro fabbisogni nei differenti contesti organizzativi, in funzione dell’esigenza rilevata e rappresentazione del sistema professionale.
Declinando la ricerca all’interno della contrattazione collettiva nazionale ed analizzando all’interno del CCNL più rappresentativi le varie declaratorie, si riscontra similmente che la figura del Diversity Manager non è identificata in una sua specifica categoria ma può essere ricondotta, in termini di specialità dell’attività, alle diverse figure che incarnano anche sotto diverse etichette le principali attività nell’area della gestione delle risorse umane.
Come descritto dalla figura inserita nel repertorio regionale dei quadri professionali della Lombardia citato prima, il DM si posizionerebbe al di sotto delle cariche dei quadri e dei dirigenti, assumendo quando possibile un ruolo di coordinamento, controllo e gestione delle risorse umane, collocandosi a livello di sistemi di classificazione,all’interno delle categorie dotate di compiti specifici cui corrisponde una parziale autonomia, nel rispetto delle direttive del Responsabile delle Risorse Umane ([1]).
Il ritardo che dimostrano i repertori pubblici e la contrattazione collettiva si ricollega con ogni probabilità ad una ancora scarsa diffusione di posizioni lavorative espressamente dedicate al diversity management.
Sono poche le risorse che attualmente si occupano nello specifico di esercitare il ruolo di Diversity Manager nelle organizzazioni, in opposizione agli Stati Uniti, che implementano nella classificazione del personale questo ruolo da circa 20 anni con una maggiore diffusione, dovuto anche alla diversità del tessuto nazionale italiano costellato da piccole e medie imprese. In realtà è stato provato da numerosi studi che la gestione integrata delle diversità e quindi un’attenzione volta a promuovere equità e non uguaglianza di trattamento nei confronti dei lavoratori di una determinata organizzazione, aiuta ad incrementare senso di appartenenza e clima favorevole, questo comporterebbe anche a livello personale un senso di empowerment in grado di aumentare il proprio impegno nel raggiungimento di obiettivi comuni.
Viviamo in una società che comincia a tenere conto della dimensione individuale dei lavoratori, e l’effettiva presenza di questa professione (che può essere abilitata come vedremo da specifici percorsi formativi o assunta direttamente all’esterno) crea la possibilità di rimuovere qualsiasi barriera culturale, permettendo così un’integrazione massima e una conoscenza più approfondita dei propri colleghi, con le proprie diversità e i propri talenti. Da non sottovalutare la necessità delle multinazionali, ma anche delle piccole e medie imprese, di migliorare la stessa immagine aziendale, in grado di produrre nei consumatori un valore aggiunto.
Pur in assenza di tale riconoscimento, attualmente esistono molti corsi di formazione, sia pubblici che privati nel campo dell’Alta Formazione, destinati alla costruzione delle competenze e conoscenze di un Diversity Manager, contribuendo nel processo di emersione del relativo profilo professionale ([2]).
Dall’analisi di tali percorsi e delle figure professionali previste in uscita dagli stessi possono trarsi alcune considerazioni interessanti. In particolare, rispetto a quanto precedentemente osservato, si può constatare che laddove il diversity manager non ha trovato riconoscimento all’interno dei repertori regionali, la figura è stata ricondotta a quella di un “Tecnico nella gestione e sviluppo delle risorse umane” in grado di realizzare in maniera diversificata e personalizzata gli interventi di programmazione del personale, percorsi di sviluppo professionale ed organizzativo, la gestione delle risorse umane, con particolare attenzione alle “diversità”.
I percorsi formativi già presenti distinguono per moduli le varie competenze in uscita per avere un quadro più completo di quali siano i reali campi di attività ed in merito ad essi costruire il proprio ambito di operatività, consentono di potersi specializzare nell’enorme settore delle risorse umane in modo da assicurarsi una competitività maggiore nella ricerca di offerte di lavoro e propongono una serie di strumenti utili ai quali potersi affidare per il proprio operato.
A fronte di questi primi riconoscimenti, emerge dunque la necessità di far comprendere a dirigenti e manager le principali abilità, conoscenze e competenze che un profilo generico di “Specialista delle risorse umane” non è in grado di gestire, spesso investito di ruoli e mansioni che non rientrano nei suoi studi e nella sua formazione. Un processo di emersione di questa figura professionale con le sue specificità potrebbe contribuire alla sua diffusione, in risposta anche alle specifiche esigenze che emergono nei contesti aziendali.
Elena Di Marco
ADAPT Junior Fellow
Federico Vannini
ADAPT Junior Fellow
[1] Al fine di questa analisi abbiamo considerato i seguenti CCNL: Industria Metalmeccanica (Federmeccanica); CCNL Terziario Distribuzione e Servizi; CCNL Credito; CCNL Energia e Petrolio; CCNL Elettrici; CCNL Gommaplastica; CCNL Tessile; CCNL Telecomunicazioni, CCNL Federculture; CCNL Alimentari.
[2] A scopo esemplificativo si vedano: Master in Disability e Diversity Manager, Roma Tor Vergata;
Università di Siena, Multicultural Diversity Management (Master Executive);