Bollettino ADAPT 14 aprile 2020, n. 15
L’eterogenesi dei fini è il principio filosofico secondo il quale le azioni umane possono riuscire a fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l’azione; in particolare, ciò avverrebbe per il sommarsi delle conseguenze e degli effetti secondari dell’agire, che modificherebbe gli scopi originari, o farebbero nascere nuove motivazioni, di carattere non intenzionale. Mettendo tutto in prosa – come quel personaggio di Moliére – è bene che le opinioni si formino su dati di fatto e che, se cambiano questi ultimi, anche le prime si sforzino di non restare immutate. E se questi adeguamenti alle nuove realtà non si verificano, vuol dire che il pensiero è fortemente condizionato, non già da convinzioni coerenti, ma da una vera e propria ideologia.
Venendo al dunque – in materia di pensioni – da anni si discute, ai fini della sostenibilità e dell’equità del sistema, sulla questione centrale dell’età effettiva di pensionamento (in rapporto al costante incremento della aspettativa di vita e al conseguente beneficio che riceve la generazione dei baby boomers – che ha potuto accumulare una appropriata anzianità di servizio già in età non particolarmente anziana – dalla possibilità di poter accedere alla quiescenza in anticipo di alcuni anni senza dover subire un taglio consistente della prestazione maturata.
La partita si gioca da decenni sul campo del c.d. pensionamento di anzianità (per conseguire il quale occorre aver maturato un elevato requisito contributivo a prescindere dall’età anagrafica). Per tante ragioni questo istituto è stato difeso strenuamente dalle organizzazioni sindacali contro i tentativi dei vari governi di rendere più severi i requisiti di un’uscita dal lavoro che ha consentito – come vedremo – a milioni di lavoratori di varcare la soglia del pensionamento ad un’età effettiva inversamente proporzionale al periodo crescente in cui l’incremento dell’attesa di vita avrebbe consentito loro di percepire l’agognata prestazione.
In sostanza si andava in pensione prima e ci si rimaneva più a lungo senza dover subire penalizzazioni economiche. Tanto che, come ha certificato la Corte dei Conti, le pensioni anticipate di anzianità vigenti il 1° gennaio 2019 (comprendendo tutti i settori del lavoro privato e pubblico) superavano di circa un milione di unità i trattamenti di vecchiaia (6.065.445 contro 5.026.394). A fare una differenza netta era il settore pubblico (1.663.069 pensioni anticipate contro 400.543 di vecchiaia); ma anche i settori privati (Inps) reggevano gagliardamente il confronto (4,4 milioni di prestazioni di anzianità contro 4,6 milioni di vecchiaia). I provvedimenti anticipatori del pensionamento di cui al dl n.4/2019 (ovvero quota 100 – 62 +38 – fino a tutto il 2021 e il blocco dei requisiti per il trattamento ordinario di anzianità a prescindere dall’età anagrafica fino a tutto il 2026) sono stati pensati per agevolare ancor di più l’esodo.
Va subito detto che gli aderenti sono stati in numero inferiore del previsto (anche se nel pubblico impiego si sono prodotti disservizi in taluni settori critici come la scuola e soprattutto nella sanità alla luce di quanto è accaduto quest’anno). Anche gli effetti del ricambio generazionale sono risultati modesti (si stima che su 100 anziani usciti siano entrati 42 giovani). Il governo Conti 2 – nonostante alcune sollecitazioni in tal senso all’interno della nuova maggioranza – non ha ritenuto di modificare le deroghe sperimentali ereditate dal precedente esecutivo.
Nel frattempo, il ministro del Lavoro aveva avviato un negoziato con le organizzazioni sindacali per definire la disciplina che avrebbe dovuto ‘’superare’’ in modo strutturale la riforma Fornero. Il negoziato si era incamminato lungo un percorso che avrebbe riportato il sistema pensionistico a prima del 2011. Ovviamente, il Coronavirus ha spazzato via la trattativa come ogni altro problema.
Ma ad avviso di chi scrive – ecco l’eterogenesi dei fini – l’epidemia ha rivalutato quota 100 e dintorni. Questi provvedimenti non hanno mantenuto la promessa di creare nuova occupazione, ma in vista della terribile crisi che si è aperta, potranno offrire un approdo facilitato al conseguimento della pensione, a tanti lavoratori che altrimenti finirebbero a far parte delle liste di riduzione di personale. Meglio quindi prendere tempo e proseguire con le deroghe che, con una sorta di staffetta tra le diverse misure, portano il regime transitorio fino a conclusione del 2026. La transizione può essere diversamente modulata in rapporto all’evolversi della situazione. Ma per adesso è meglio che si accantonino le proposte che erano state depositate sui tavoli tecnici del negoziato. Di virus basta già quello che abbiamo.
Membro del Comitato scientifico ADAPT