Non chiamatelo smartworking. Su questo, sindacati e giuslavoristi concordano: con poche eccezioni, i milioni di dipendenti pubblici e privati che nelle settimane di lockdown hanno acceso ogni mattina il computer di casa (spesso condiviso con i familiari) per fare quello che prima facevano in ufficio è solo il vecchio telelavoro. Senza una vera possibilità di gestione del tempo, quasi sempre con gli strumenti che avevano a disposizione e una connessione a internet pagata di tasca propria, con poche certezze sulle tutele in materia di salute e sicurezza e sui limiti al potere di controllo dell’azienda. Che a sua volta, del resto, ha spesso dovuto fidarsi del senso di responsabilità del lavoratore. Passato il picco dell’emergenza, occorre fare il punto e ripensare regole e diritti: il 7 maggio la ministra Nunzia Catalfo ha spiegato che intende “avviare un tavolo di confronto finalizzato a rivedere la disciplina del lavoro agile come strumento idoneo ad affrontare la graduale riapertura delle attività”…
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