Bollettino ADAPT 25 maggio 2020, n. 21
Ogni mezzo di comunicazione ha il suo linguaggio. Quello televisivo deve sfidare lo zapping ed esprimersi con concetti semplici, evitando i tecnicismi (altrimenti il conduttore toglie la parola all’ospite loquace “perché si va troppo sul piano tecnico”) e liquidando questioni che comportano intrecci con varie discipline tutte complicate (si pensi ad un tema tra i più controversi come le pensioni) con quattro battute. Ma c’è una sostanziale differenza tra la semplificazione e la falsificazione delle notizie. Ormai le fake news sono la regola e non solo sui c.d. social, ma anche nelle trasmissioni più paludate. Tutto è diventato un’opinione e come tale viene trattata anche quando qualcuno si permette di sostenere che gli asini volano. Di solito, in casi analoghi, il conduttore si rivolge ad un altro interlocutore con queste parole: “Ha sentito come la pensa il suo contraddittore sugli asini? Lei come replica?”
Di questo andazzo – che ha contribuito a sfasciare il Paese e a concimare il populismo – si potrebbero fare esempi a centinaia. Anche recenti. Prendiamo il caso del prestito, di 6,3 miliardi, che Fca ha chiesto a Banca Intesa, col proposito di avvalersi della garanzia dello Stato attraverso la Sace, come previsto dal decreto Liquidità. Come viene spiegata questa operazione? Una multinazionale che ha sede in un Paradiso fiscale (in Olanda quella legale e a Londra quella fiscale), chiede un sacco di soldi dei contribuenti e pretende persino di pagare i dividendi agli azionisti. Poi se questa multinazionale fino a pochi anni or sono si chiamava Fiat scattano di riflesso gli odi pubblici (che si celano dietro gli amori privati) che gli italiani riservano al gruppo di Torino che li ha motorizzati nell’arco di un secolo.
In verità questa rappresentazione della realtà è un falso grossolano. Poiché non tutti i giornalisti hanno la vocazione di “èpater le bourgeois” vediamo come ha commentato, correttamente, la vicenda Nunzia Penelope sul quotidiano on line Il Diario del Lavoro: “C’è qualcosa di vagamente surreale nella polemica infuocata che ha accolto la notizia del prestito chiesto da Fca. Ricapitolando in breve: il gruppo che fa capo alla famiglia Agnelli, ricorrendo alle norme previste dal decreto liquidità, ha chiesto a Banca Intesa un prestito da 6,3 miliardi di euro, utilizzando la garanzia pubblica offerta da Sace, società collegata a Cassa depositi e prestiti. La somma è necessaria, secondo Fca, a retribuire direttamente i propri fornitori, vale a dire altre 5.500 imprese del settore automotive, ma con le spalle un po’ meno larghe di Fca e, dunque, affamate di denaro liquido. Il prestito verrebbe ripagato in tre anni, interessi compresi, e compresi anche gli interessi con quali si “paga” la garanzia pubblica, che non è ovviamente gratuita. Nelle casse di Sace dovrebbero entrare quindi alcune centinaia di milioni di euro, in percentuale che oscilla, a seconda della durata dei prestiti, da circa 200 fino a un massimo di 500 milioni (se durasse tutti i sei anni previsti dal decreto Liquidità)”. Quest’ultima circostanza è confermata – ipse dixit – dal ministro Roberto Gualtieri, il quale, in un’intervista ha dichiarato: “Ogni garanzia” sui prestiti alle grandi imprese “viene remunerata. Se si finalizzasse questa operazione, come immagino che avverrà, lo Stato guadagnerebbe 150 milioni di euro essendo una operazione di grandi dimensioni”.
Il ministro ha poi ribadito che l’eventuale via libera alla garanzia sarà subordinata a condizioni stringenti. “Per i grandi prestiti – ha spiegato Gualtieri – è possibile rafforzare le garanzie e chiedere condizioni aggiuntive, e noi intendiamo esercitare questa possibilità nel modo più efficace […] La garanzia, dunque, sarà legata a condizioni molto stringenti sugli investimenti programmati e implica il no a ogni delocalizzazione produttiva. Un insieme di cose che è giusto un governo richieda quando dà una garanzia”.
Occorre poi aggiungere che l’industria dell’auto è stata la più colpita dal crollo dei mercati e che ha un indotto di 300mila dipendenti, ma che nei provvedimenti del governo, nonostante lo svolazzare di miliardi promessi a destra e a manca, la parola auto pare scomparsa nelle quasi 500 pagine dell’opera omnia del governo Conte 2 con il titolo di “decreto Rilancio”.
Non sembra aver valore che il prestito è chiesto da Fca Italia per gli stabilimenti e l’indotto distribuiti nella Penisola e in particolare nel Mezzogiorno. Torniamo nuovamente a quanto ha scritto Gualtieri su Facebook: “È bene a questo proposito ricordare che il soggetto richiedente il prestito garantito è Fca Italy, che rientra nei requisiti di legge del decreto liquidità e che ha sede e paga le tasse nel nostro paese (e grazie alla nuova direttiva europea Dac, le autorità fiscali italiane hanno accesso alle informazioni contenute nel country by country reporting della capogruppo Fca Nv). Fca – ha proseguito il ministro – si è impegnata a utilizzare le risorse per sostenere la liquidità della filiera automotive, il che è utile e apprezzabile. Tuttavia, nelle interlocuzioni informali che hanno preceduto la richiesta di finanziamento a Intesa San Paolo, il governo ha chiarito che sarebbero state necessarie condizioni aggiuntive: la conferma e il potenziamento del piano di investimenti anche nelle nuove condizioni determinate dal Coronavirus, l’impegno alla non delocalizzazione della produzione, la conferma dei livelli occupazionali, la puntuale rendicontazione degli investimenti concordati”.
C’è poi la questione dei dividendi agli azionisti, la cui sospensione costituisce una delle condizioni per ottenere la garanzia dello Stato sul prestito (con risorse che non sono pubbliche come quelle ulteriormente destinate ad Alitalia, ma provengono dalle casse di Banca Intesa e quindi dai risparmiatori). Nel caso specifico si tratta di un dividendo straordinario previsto in caso di fusione con Peugeot. È dubbio che la condizione di non distribuire dividendi riguardi anche una fattispecie come questa. Fca non distribuisce utili, restituisce capitale, per pareggiare i conti nella fusione con Peugeot.
Infine, che l’equivoco dei “soldi dello Stato” sia molto radicato lo conferma anche il leader della Cgil quando chiede che lo Stato entri nel capitale Fca, almeno fino alla completa restituzione del prestito. Mandiamo nel cda un generale della GdF?
Membro del Comitato scientifico ADAPT