Didattica a distanza e professionalità docente. La pandemia ha insegnato qualcosa alla scuola italiana?

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Bollettino ADAPT 8 giugno 2020, n. 23

 

Mentre l’anno scolastico volge al termine, viene da chiedersi se l’esperienza, assolutamente inedita, della didattica a distanza obbligatoria sia davvero servita. Non tanto all’apprendimento degli studenti, ma al sistema scolastico nel suo complesso, per ripensare se stesso e, soprattutto, il proprio modo di intendere il profilo professionale dei docenti.

 

Si tratta di capire, insomma, se, una volta ripristinata la normalità, la scuola italiana tornerà ad essere quella di prima, come se questo tempo straordinario fosse stato solo una parentesi, oppure se «l’uscita da questa emergenza […] deve diventare una straordinaria spinta per migliorare il sistema di Istruzione e per promuovere l’innovazione didattica» (così, la Ministra Azzolina in un comunicato del 28 maggio scorso).

 

Che la didattica a distanza non sia stata solo un surrogato della lezione in presenza – magari reso nelle stesse modalità dell’insegnamento frontale – ma al contrario l’occasione per sperimentare le metodologie innovative dell’e-learning, è difficile dirlo.

Infatti, se, da un lato, gli sforzi fatti in questi mesi da moltissimi insegnanti e dirigenti per garantire ai propri alunni il diritto all’istruzione e formazione sono stati, per certi versi, sorprendenti, dall’altro, la dura reazione avuta da tutti i sindacati firmatari del CCNL del comparto scuola all’indomani della pubblicazione della nota ministeriale contenente le «Prime indicazioni operative per le attività di didattica a distanza» (Nota prot. 388 del 17 marzo 2020), denota il persistere nel mondo della scuola di una visione della professionalità docente ancora legata alla didattica tradizionale.

 

Eppure, non pochi pedagogisti ritengono che l’e-learning rappresenti una grande opportunità per ampliare stimoli e occasioni di apprendimento (si pensi agli studi condotti in Italia da Pier Cesare Rivoltella).

Basta un esempio semplice e già noto nell’ambito dell’educational technology per dimostrarlo. Un tempo gli studenti facevano le ricerche in biblioteca consultando enciclopedie e manuali, senza mettere in discussione l’autorevolezza scientifica di queste fonti. Oggi si potrebbe invece proporre un WebQuest, dove si chiede agli alunni di analizzare, sintetizzare e valutare in modo critico le informazioni su un determinato argomento che hanno trovato su Internet attingendo da molteplici fonti indicate dal professore. In questo caso la funzione del docente non è più quella di verificare la correttezza delle sintesi prodotte dagli alunni, ma di insegnare loro un metodo di ricerca. Pertanto, il suo intervento non si concentrerà nell’istruzione iniziale o la correzione finale degli elaborati, bensì sul tutoraggio passo dopo passo degli studenti, magari attraverso l’assegnazione di compiti graduali da svolgere in parte a scuola e in parte a casa.

 

Inoltre, la logica che dovrebbe ispirare queste ricerche multimediali è quella dell’integrazione dei saperi, oltre che delle fonti e dei formati (testi, immagini, video ecc): per studiare un problema sociale, ad esempio, gli studenti dovranno condurre indagini di storia, diritto, geografia, biologia ecc. Dunque, non ha senso che sia un solo docente a valutarle dal punto di vista metodologico e contenutistico, bensì i docenti di varie materie. Questo mette ovviamente in discussione la tradizionale suddivisione dell’orario scolastico in lezioni disciplinari (storia, matematica, italiano e così via).

 

Infine, il modo migliore per coinvolgere gli studenti in questo genere di attività sono i lavori di gruppo. Non solo perché la costruzione collettiva dell’output, rispecchia maggiormente gli odierni processi di produzione del sapere, che rispondono ad una logica collaborativa, da “intelligenza distribuita”, più che individuale. Ma soprattutto perché sollecitano lo sviluppo delle c.d. competenze trasversali (team work, leadership, empatia, gestione del tempo e organizzazione ecc.), oltre che favorire l’apprendimento tra pari.

Nei lavori di gruppo, che si prolungano necessariamente oltre l’orario di scuola e possono avvenire anche a distanza grazie all’utilizzo delle innumerevoli piattaforme oggi disponibili, il ruolo del docente è quello di stimolare, coordinare, guidare i ragazzi, interagendo con loro durante la settimana con un ritmo che difficilmente coincide con quello delle lezioni programmate in presenza. In ogni caso, la valutazione non può concentrarsi su una performance puntuale, come le interrogazioni o le prove di verifica somministrate normalmente a scuola, ma sul processo di apprendimento e l’agire del discente che si dispiegano in un lasso di tempo disteso.

 

Esempi analoghi si potrebbero moltiplicare per riferimento alle varie metodologie dell’e-learning, le quali – sia chiaro – non aboliscono l’incontro in presenza fra alunno, compagni e professore, che resta comunque fondamentale e insostituibile per la relazione educativa e l’apprendimento. Il passaggio al nuovo paradigma raccomanda piuttosto un’integrazione fra attività in presenza e attività a distanza, secondo un tipo di progettazione didattica che oggi spesso si riconduce al principio metodologico della classe capovolta.

È evidente, però, che tutto questo chiede di superare l’idea secondo cui l’impegno didattico del docente si esaurisce nelle ore di lezione, oltre che nel lavoro di preparazione e di eventuale correzione dei compiti. I tempi dell’attività didattica si dilatano, la separazione rigida fra lezione e compito a casa salta. Lo stesso concetto di luogo di studio, apprendimento e insegnamento cambia.

 

Con questo non si vuol dire che la didattica a distanza implichi necessariamente la disponibilità illimitata dei docenti, quasi che questi debbano animare costantemente gli spazi virtuali allestiti per l’apprendimento da remoto o rispondere ad ogni ora del giorno alle chat dei propri studenti – come forse è capitato in questi mesi caotici a molti insegnanti volenterosi. Semplicemente si tratta di accogliere un nuovo modo di interagire con gli alunni, di supportarli, valutarli che richiede una diversa flessibilità dei tempi e una nuova concezione degli spazi di lavoro.

 

Era questo il problema sotteso alla polemica fra sindacati e Ministero sulla didattica a distanza. I primi chiedevano il ritiro immediato della nota ministeriale del 17 marzo, «perché contenente modalità di organizzazione del lavoro che sono oggetto di relazioni sindacali» (cfr. lettera del 18 marzo indirizzata alla Ministra dell’Istruzione). La doglianza era, da un punto di vista formale, fondata: poiché la didattica a distanza non era una pratica regolata dal contratto collettivo né dalla normativa scolastica, non costituiva materia su cui il Ministero potesse intervenire prima di avere definito, in dialogo coi sindacati, le modalità della sua realizzazione. I termini della questione sono cambiati dopo che il Legislatore ha stabilito che la didattica a distanza costituisce prestazione obbligatoria del personale docente (D.P.C.M. n. 22 dell’8 aprile 2020, art. 2 c. 3, attualmente in fase di conversione), ma il problema di fondo rimane.

 

È chiaro infatti che la didattica a distanza richiede di andare un po’ oltre gli adempimenti obbligatori attualmente previsti dal contratto collettivo degli insegnanti: le lezioni stabilite nell’orario settimanale, la partecipazione alle riunioni collegiali e agli scrutini, la programmazione, la correzione delle verifiche e i colloqui coi genitori (artt. 28-29 del CCNL). D’altra parte, o si torna al vecchio modo di fare scuola, vincolato a limiti spazio-temporali dell’aula e della rigida divisione dell’orario in lezioni disciplinari, oppure, se si vogliono esplorare le modalità di insegnamento e apprendimento rese possibili dall’e-learning, bisogna ricontrattare in un’ottica di flessibilità gli obblighi di servizio dei docenti. Chi durante l’emergenza ha preso sul serio la sfida della didattica a distanza, avrà sicuramente percepito la necessità di questo cambiamento.

 

La scuola italiana, nel suo complesso, avrà imparato la lezione?

 

Paolo Bertuletti

Assegnista di ricerca

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@PaoloBertuletti

 

Tomaso Tiraboschi

Knowledge Manager, ADAPT Senior Research Fellow
@tomtir

 

Didattica a distanza e professionalità docente. La pandemia ha insegnato qualcosa alla scuola italiana?
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