Rapporto di lavoro e valore probatorio della busta paga: le ultime pronunce della Cassazione

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Bollettino ADAPT 31 agosto 2020, n. 31

 

Di recente, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul valore probatorio delle c.d. buste paga, o per meglio dire prospetti paga, che indicano la retribuzione che il lavoratore percepisce per un determinato periodo di lavoro, come previsto dalla legge 5 gennaio 1953, n. 4.

 

Una recente ordinanza della Corte (6 luglio 2020, n. 13781) ha stabilito che le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite dei requisiti previsti dall’art. 1, comma 2 della legge n. 4 del 1953, e cioè contenenti la firma, la sigla o il timbro di quest’ultimo, hanno piena efficacia probatoria in relazione al credito che il dipendente ha intenzione di far valere nella procedura fallimentare del datore di lavoro. Ciò in virtù del fatto che il contenuto delle buste paga è obbligatorio e sanzionato dall’ordinamento (grazie al combinato disposto dell’art. 39 del D.L. n. 112 del 2008 e degli artt. 1,2, e 5 della L. n. 4 del 1953), e come tale, è di per sé sufficiente a provare il credito maturato dal dipendente.

 

Le buste paga, come riporta la Suprema Corte, devono trovare corrispondenza nel libro unico del lavoro (LUL), ivi compreso il calendario delle presenze del singolo lavoratore, per ciò che attiene agli elementi che compongono la retribuzione. Perciò le indicazioni in esso contenute, comprese le voci a titolo di ferie, permessi ed ex festività non godute contribuiscono a comporre la base probatoria necessaria a dimostrare il fatto costitutivo del relativo credito che il lavoratore intende insinuare al passivo.

 

Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 2709 cod. civ., i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore. Pertanto, le indicazioni contenute nei prospetti paga riportati saranno poi valutate insieme alle eventuali contestazioni del curatore in merito alla regolare tenuta del LUL sulla base del quale le buste paga erano state formate, ed altri eventuali mezzi di prova contrari (v. Cass. 15 maggio 2019, n. 13006). Allo stesso modo, con sentenza n. 16656 del 12 giugno 2019, la Suprema Corte ha ritenuto che la busta paga possa essere utilizzata dal lavoratore come prova documentale del mancato godimento delle ferie annuali nella misura prevista dal CCNL di riferimento.

 

Posta l’efficacia probatoria del contenuto delle buste paga, regolarmente firmate, siglate o timbrate, e fermo restando la possibilità di confutarne la validità con dimostrata divergenza con le scritture datoriali correttamente redatte, occorre poi discernere tale prova da quella del pagamento delle somme al lavoratore. A tal proposito la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21699 del 6 settembre 2018, ha stabilito che le buste paga sottoscritte dal lavoratore attestano soltanto la loro consegna e non l’effettivo pagamento delle somme in esse contenute, il cui onere della prova è del datore di lavoro. In questo caso, infatti, ci si trova innanzi ad una firma per ricevuta e non per quietanza (in tal senso anche Cass. 2 novembre 2018, n. 28029; Cass. 14 novembre 2018, n. 29367).

 

Oltre all’efficacia probatoria nella procedura fallimentare del datore di lavoro, la busta paga è utile anche per la promozione dei procedimenti monitori (per ottenere un decreto ingiuntivo) atti a recuperare il credito del lavoratore. Secondo la Cassazione (30 gennaio 2017, n. 2239) le buste paga costituiscono una piena prova dei dati che in esse sono indicati, in ragione della loro specifica normativa (legge n. 4 del 1953), che, come già detto, prevede la obbligatorietà del loro contenuto e la corrispondenza di esso alle registrazioni eseguite. Invero, dalla attribuzione ai prospetti paga della natura di confessione stragiudiziale deriva, in applicazione degli artt. 2734 e 2735 cod. civ., la piena efficacia di prova legale.

 

Della dimostrazione dell’effettivo pagamento della retribuzione è sempre onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, il quale, a sua volta, può provare l’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte sui documenti riportati dal datore di lavoro.

 

Occorre, però, rammentare che l’accettazione senza riserve della liquidazione da parte del lavoratore al momento della risoluzione del rapporto può assumere significato negoziale e quindi probatoria, stante la necessaria compresenza di altre circostanze precise, concordanti ed obiettivamente concludenti dell’intenzione di accettare l’atto risolutivo (Cass. n. 13150/2016).

 

La ricca giurisprudenza della Corte di Cassazione conferma il rilevante valore della busta paga, che non serve meramente a determinare la retribuzione che spetta al lavoratore per un determinato periodo di lavoro svolto, ma può essere utilizzata ai fini probatori nel corso di azioni legali.

 

Francesco Lombardo

ADAPT Junior Fellow

@franc_lombardo

 

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