Bollettino ADAPT 7 settembre 2020, n. 32
Preoccupa la discussione in corso sullo smartworking in quanto orientata solo ad individuare maggiori tutele rispetto alle esperienze di questi mesi. In realtà, sono queste stesse modalità di lavoro a dover essere oggetto di riconsiderazione se vogliamo promuovere occupazione sostenibile nella faticosa ripresa. Abbiamo impropriamente ricondotto al lavoro agile di cui alla recente legislazione il repentino confinamento nelle mura domestiche di molti lavoratori costretto dalla crisi pandemica. Come ben sappiamo, datori di lavoro pubblici e privati, per lo più impreparati a gestire il lavoro da remoto, hanno chiesto al lavoratore prestazioni tradizionali e spesso ripetitive da casa. Si è così prodotto una sorta di telelavoro dalla postazione domestica secondo una moderata relativizzazione dell’orario. Solo una minoranza di prestatori, già in precedenza dotati di una robusta autonomia e richiesti di garantire risultati predeterminati, hanno accentuato questa caratteristica lavorando senza orario e senza disconnessione.
Il lavoro agile o “intelligente” dovrebbe invece, secondo la stessa definizione normativa, caratterizzarsi per il passaggio dall’orario agli obiettivi (e quindi ai risultati) quale misura della prestazione. Questo significa collocare il lavoro in nuovi modelli organizzativi di impresa che qualcuno è arrivato a definire “olocratici”, ovvero non più gerarchici ma orizzontali e a potere distribuito. In questi contesti non sarebbe quindi immaginabile una relazionalita’ tutta e solo virtuale. Il superamento del vincolo dell’orario elimina concetti come i permessi o lo straordinario ma non esclude, anzi implica, la presenza fisica nella sede direzionale o in quelle dei clienti secondo esigenze flessibili o periodiche.
La confusione crescente tra subordinazione e autonomia dovrebbe dare luogo non alla rigida omologazione della seconda alla prima ma alla individuazione di una base comune di diritti e doveri, a partire da una disciplina della salute e sicurezza coerente con la possibilità per il prestatore di scegliere e di spostare frequentemente il luogo di lavoro. Il che non significa meno regole ma, al contrario, un rafforzamento dell’attività prevenzionistica a tutela della persona nella sua integralità, dalla formazione per gli stili di vita agli screening periodici.
La migliore conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di famiglia è un gradito effetto collaterale ma non può dare luogo a rigidi obblighi, soprattutto quando i contesti produttivi non si sono ancora trasformati o potuti trasformare. Solo la contrattazione, dalle linee di cornice alla regolazione personalizzata, può accompagnare i nuovi percorsi con la duttilità necessaria. La legge può essere strumento utile proprio per l’adattamento degli obblighi in materia di salute e sicurezza data la oggettiva incompatibilità di molte disposizioni vigenti con le nuove modalità di lavoro.
In premessa si impone tuttavia un chiarimento politico sul futuro del lavoro. Se la visione dei decisori consiste nell’auspicio della progressiva “fine del lavoro” e nella speranza di una nuova dimensione dell’“ozio creativo”, lo smartworking diventa un modo per favorire queste prospettive. Auguriamoci, al contrario, che prevalga il desiderio di aumentare l’intelligenza del lavoro nella concorrenza con le nuove macchine, così da generare crescita con occupazione.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi