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Bollettino ADAPT 26 ottobre 2020, n. 39
L’articolo 3 comma 3 del DPCM del 13 ottobre 2020 sancisce che nelle Pubbliche Amministrazioni sia incentivato il lavoro agile, con le modalità stabilite da uno o più decreti del Ministro competente, di modo che sia garantito quanto stabilito dall’articolo 263 comma 1 del Decreto 34/2020, il cosiddetto “Decreto Rilancio”, il quale infatti prevede che le amministrazioni “organizzino il lavoro dei propri dipendenti e l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro, rivedendone l’articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza, applicando il lavoro agile”.
Il 19 ottobre 2020 il Ministro per la Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone ha firmato di conseguenza un decreto che regola il lavoro agile nel pubblico impiego nella presente fase di emergenza sanitaria.
Il primo articolo di tale decreto in primo luogo ribadisce come, fino al 31 dicembre 2020, rimanga in vigore la versione “semplificata” del lavoro agile messa in atto con il decreto legge n. 18/2020 (art. 87, comma 1, lett. b), la quale prevede che, durante il periodo emergenziale, per accedere al tale modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative non sia necessaria la stipula dell’accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente prevista dall’articolo 19 della legge n°81 del 22 maggio 2017.
In seguito, vengono specificati i precisi contenuti della prestazione che dovrà essere svolta dal lavoratore agile: l’articolo 1 comma 3 infatti prevede che il lavoro agile possa avere ad oggetto sia “le attività ordinariamente svolte in presenza” che “attività progettuali specificamente individuate tenuto conto della possibilità del loro svolgimento da remoto”: una previsione che sembra adattare, e quindi variare leggermente, le attività della Pubblica Amministrazione in ragione della diversa organizzazione del lavoro prevista dal decreto.
I processi di lavoro che possono essere svolti in modalità agile sono individuati, ai sensi dell’articolo 3, comma 1 del decreto in oggetto, dai dirigenti delle pubbliche amministrazioni attraverso un’apposita “mappatura delle attività”, da svolgersi in maniera strutturata e soggetta ad aggiornamento periodico.
Sulla base di tale mappatura, i dirigenti dovranno poi “organizzare il proprio ufficio assicurando, su base giornaliera, settimanale o plurisettimanale, lo svolgimento del lavoro agile almeno al cinquanta per cento del personale preposto alle attività che possono essere svolte secondo tale modalità”: con tale previsione, si intende che la metà dei lavoratori che svolge mansioni potenzialmente “smartabili” (per utilizzare un’espressione coniata proprio dal ministro Dadone), dovrà svolgere la propria prestazione lavorativa in parte nei locali della pubblica amministrazione e in parte all’esterno degli stessi.
Tale chiarificazione, avvalorata dalla lettera d) del primo comma dell’articolo 3 del decreto, il quale infatti prescrive una “rotazione del personale […] tesa ad assicurare […] un’equilibrata alternanza nello svolgimento dell‘attività in modalità agile e di quella in presenza”, risulta necessaria in ragione della recente diffusione, nel dibattito pubblico, di un’impropria concezione di lavoro agile.
Soprattutto in seguito al periodo del lockdown, infatti, numerosi attori non specializzati tendono a identificare il lavoro agile con una modalità di organizzazione del lavoro che prevede l’esecuzione della prestazione interamente da remoto, quando invece la definizione normativa, contenuta all’articolo 18 della legge 81/2017, afferma esplicitamente che la prestazione debba essere svolta “in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno”.
In chiusura dell’articolo 3, il decreto afferma infine che “le pubbliche amministrazioni, tenuto conto dell’evolversi della situazione epidemiologica, assicurano in ogni caso le percentuali più elevate possibili di lavoro agile, compatibili con le potenzialità organizzative e con la qualità e l’effettività del servizio erogato”, sancendo di fatto la possibilità per i dirigenti degli uffici pubblici di applicare il lavoro agile anche a una percentuale superiore al 50% del proprio personale.
In merito al concreto numero dei lavoratori pubblici che potrebbero essere destinatari dello Smart Working, è opportuno notare come alcuni commentatori segnalino che, al momento, solo il 10% svolgerebbe mansioni compatibili con il lavoro da remoto (una stima peraltro non ufficiale, data la mancanza di una precisa mappatura ministeriale) e che, durante i mesi estivi, non siano inoltre state messe in atto misure volte ad eliminare gli ostacoli per aumentare tale platea.
Nel definire le linee guida per la rotazione dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, il decreto ministeriale del 19 ottobre 2020, alla lettera e) del primo comma dell’articolo 3, individua poi come criteri di priorità per l’accesso al lavoro agile “le condizioni di salute del dipendente e dei componenti del nucleo familiare di questi, la presenza nel medesimo nucleo di figli minori di quattordici anni, la distanza tra la zona di residenza o di domicilio e la sede di lavoro e il numero e della tipologia dei mezzi di trasporto utilizzati e dei relativi tempi di percorrenza”: tali criteri sono evidentemente accomunati dalle finalità di prevenire il contagio e di garantire la protezione dei lavoratori con condizioni di salute precarie, ma possono, come nel caso dei genitori di infraquattordicenni, anche essere interpretati come finalizzati alla soddisfazione di esigenze di conciliazione vita-lavoro.
Si segnala come tale impostazione sia stata recentemente criticata dall’UNADIS (Unione Nazionale dei Dirigenti dello Stato) in un comunicato del 22 ottobre 2020: secondo tale organizzazione, infatti “il decreto confonde la funzione organizzativa dello smart working con la funzione socio sanitaria di ammortizzatore, quasi strumento di welfare”, approccio che però viene ritenuto “quasi inevitabile” data l’emergenza sanitaria in corso.
Per quanto riguarda i cosiddetti “lavoratori fragili” si specifica poi che il dirigente dell’ufficio dovrà adottare “ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento di attività in modalità agile anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento come definite dai contratti collettivi vigenti e lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale”.
L’articolo 4 del decreto ministeriale, rubricato “flessibilità del lavoro” afferma poi che “il lavoro agile si svolge ordinariamente in assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro”, in coerenza con la già citata definizione di lavoro agile contenuta all’articolo 18 della legge 81/2017.
Tale previsione regola unicamente le prestazioni fornite da remoto, ma è previsto un certo grado di flessibilità anche per i lavoratori che svolgono la propria prestazione in sede: l’articolo infatti sancisce che l’amministrazione debba individuare “fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita”, al fine di “evitare di concentrare l’accesso al luogo di lavoro dei lavoratori in presenza nella stessa fascia oraria”.
Sempre connessa alla flessibilità oraria del lavoro è poi la previsione, contenuta all’articolo 5, secondo la quale “in ragione della natura delle attività svolte dal dipendente o di puntuali esigenze organizzative individuate dal dirigente, il lavoro agile può essere organizzato per specifiche fasce di contattabilità”.
Tale articolo sembra implicare che, nel caso in cui le giornate di lavoro svolte da remoto siano organizzate con tale modalità, il diritto alla disconnessione del lavoratore risulti comunque salvaguardato: il comma successivo, infatti, prevede al contrario che “nei casi di prestazione lavorativa in modalità agile, svolta senza l’individuazione di fasce di contattabilità, al lavoratore sono garantiti i tempi di riposo e la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
In ultimo, il decreto prevede che le amministrazioni “adeguino i sistemi di misurazione e valutazione della performance alle specificità del lavoro agile, rafforzando, ove necessario, i metodi di valutazione improntati al raggiungimento dei risultati”, facendo così riferimento al concetto di Smart Working come modalità di esecuzione della prestazione non più tanto legata al “tempo di lavoro” ma al perseguimento di specifici obiettivi, alla quale i tradizionali sistemi di monitoraggio e controllo si devono di conseguenza adattare.
Il quasi totale affidamento della gestione dell’organizzazione delle prestazioni in lavoro agile ai dirigenti degli uffici della Pubblica Amministrazione sembra quindi essere coerente con la definizione di Smart Working come “filosofia manageriale”, improntata sulla responsabilizzazione dei dipendenti e sul rapporto di fiducia con gli stessi instaurato.
Le reazioni delle parti sociali a tale impostazione è stata variegata: se nel comunicato dell’UNADIS citato nei precedenti paragrafi si accoglie positivamente il ruolo affidato dal decreto alla dirigenza, la quale infatti dovrà “utilizzare anche la leva del lavoro agile per una gestione delle risorse umane assegnate nell’ottica del maggior benessere organizzativo e della efficacia dell’azione amministrativa”, le parti sindacali si scagliano contro l’aumento della discrezionalità dei dirigenti pubblici su materie tradizionalmente oggetto della contrattazione collettiva, come la flessibilità degli orari e lo stesso lavoro agile.
Al di là delle connotazioni positive o negative assegnate dalle parti sociali, il decreto ministeriale in esame, nel prevedere un rinnovato ruolo della dirigenza pubblica, un’ampia flessibilità degli orari di lavoro e la parziale trasformazione delle attività della PA in attività “progettuali” compatibili con la modalità di svolgimento della prestazione da remoto, sembra disegnare un quadro di potenziale innovazione del pubblico impiego, stimolato indubbiamente dalla situazione emergenziale, ma che potrebbe dare origine a trasformazioni durature.
ADAPT Junior Fellow