Le relazioni industriali alla prova di maturità: politica o contrattazione?

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Bollettino ADAPT 12 ottobre 2020, n. 37

 

Le derive conflittuali alle quali si è arrivati contemporaneamente nelle trattative per il rinnovo del ccnl metalmeccanici e degli alimentaristi vanno oltre uno scenario, caro solo alla rappresentazione mediatica, di un “autunno caldo” post-covid. Esse sono la conseguenza di trasformazioni profonde che interessando da tempo il mondo della produzione e che gli attuali assetti dei sistemi di relazioni industriali faticano a comprendere prima ancora che rappresentare e governare.

 

Il clima di incertezza e le difficoltà finanziarie derivate dalla crisi sanitaria da Covid-19, giungono quindi solo a rendere più complessa la soluzione del nodo comune noto già da tempo, ossia quello del salario. Nodo che aveva prodotto un muro contro muro al tavolo dei metalmeccanici, mentre una breccia era stata faticosamente aperta per gli alimentaristi con la firma il 31 luglio scorso del rinnovo da parte solo delle aziende associate a Unionfood (ossia le grandi dell’industria alimentare), Ancit e AssoBirra. I sindacati del settore alimentare, che hanno indetto lo stato di agitazione già dal 24 agosto scorso, annunciando anche la volontà di proseguire eventualmente la mobilitazione con un nuovo sciopero il 9 novembre, puntano a convincere ad aderire al Ccnl siglato il 31 luglio le associazioni che non l’hanno già fatto (giovedì scorso per esempio ASSICA -carni e salumi- ha comunicato la sua adesione).

 

D’altro canto Confindustria e associate potrebbero puntare ad estendere il blocco degli aumenti dei minimi agli altri contratti in scadenza. Ma a ben vedere il nodo del salario non riguarda solo i minimi e implica un’interpretazione della sua composizione. I sindacati non vogliono aumenti legati solo all’inflazione, Confindustria avanza il principio della remunerazione della produttività laddove si verifica, con la diffusione dei premi di risultato, e quello del welfare come elemento del salario. Lo ha chiarito il presidente di Federmeccanica Alberto Dal Poz in un’intervista a La Stampa affermando che sia « riduttivo non considerare come questi elementi concorrano alla determinazione di tutta la componente economica».

 

Insomma, se queste vicende sono il segno di una tendenza in corso, questa va cercata non tanto nella dinamica salariale (altri contratti sono già stati chiusi post-covid affrontando questo nodo, si pensi al ccnl gomma-plastica, al vetro, alla sanità privata), quanto ai perimetri intrasettoriali che sembrano emergere fenomenologicamente dalle reazioni di alcune tipologie di aziende. Anche se queste fossero accomunate innanzitutto dal criterio dimensionale, o almeno da performance economiche che permettono risposte diverse e più agevoli di fronte alle rivendicazioni salariali. Lo ha sottolineato anche Dario Di Vico Sul Corriere Economia. Più che individuare quindi una correlazione diretta tra le recenti parole del presidente di Confindustria e la scelta di Federmeccanica di far saltare il tavolo dei metalmeccanici (Carlo Bonomi ha chiarito di fronte al segretario della Cgil Maurizio Landini che “è impensabile rinnovare i contratti chiedendo aumenti sul salario minimo”), è interessante notare come la posizione di Confindustria e di Union Food sul contratto degli alimentaristi firmato il 31 luglio sia vicina a riconoscere questa dinamica, prefigurando la possibilità di un contratto che coinvolga solo alcune aziende. Indipendentemente dal fatto che poi una soluzione tecnicamente possibile nell’attuale assetto organizzativo esista.

 

A fianco della dimensione contrattuale, corre anche la strategia politica. Sindacati e Confindustria stanno cioè tentando di aumentare la loro pressione sul governo in vista di alcuni obiettivi  imminenti. In vista c’è infatti una manovra economica che deve trovare il modo di erigere un ponte verso l’arrivo dei primi fondi Ue del Next Generation Eu. Su questo aspetto (sul quale dai tempi di Renzi in avanti si misura l’intensità dei tentativi di disintermediazione) è stata chiara la segretaria della CISL Annamaria Furlan chiedendo al governo un confronto proprio sulla legge di bilancio. Inoltre, chiusa la partita della conversione in legge del decreto agosto (nella quale Confindustria e Assolavoro hanno ottenuto almeno il risultato dell’abrogazione della norma che prevedeva la proroga automatica dei contratti a termine e in somministrazione) si potrebbe aprire una partita per una possibile riforma che vada ad intervenire sugli undici punti contenuti nel piano per l’occupazione presentato dal Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo (compreso il salario minimo sul quale sindacati e datoriali si trovano d’accordo costituendo un fronte del no).

 

Insomma, la contesa contrattuale costituisce in questo momento anche una leva per quella politica. E la segretaria della Fiom Re David e il segretario della Uilm Palombella lo hanno espresso chiaramente dicendo rispettivamente che «devono essere coinvolti tutti i partiti» e che ancora non si capisce da che parte stia il governo. Aggiungendo che sarà messa in campo comunque «qualsiasi azione a disposizione del sindacato per far cambiare idea alle imprese».

 

Diversa sembra essere la preoccupazione della Fim-Cisl, che punta a salvaguardare l’immagine di un sindacato innovativo, in grado di perseguire soluzioni contrattuali pertinenti rispetto alla realtà del mondo produttivo. «Guai a pensare che c’è un sindacato che viaggia nei suoi riti. Questo è un sindacato perfettamente consapevole di cosa significhi fare impresa nell’incertezza e per i lavoratori avere posti sicuri» dice il segretario Roberto Benaglia spiegando la scelta di ricorrere allo sciopero.

 

Quel che è evidente a tutti, è però che che arrivare allo sciopero e alla sospensione degli incontri in programma significa avere azzerato gli spazi per il confronto negoziale e aver spostato il confronto sulla misurare dei rapporti di forza conflittuale. In questa condizione non ci sono idee che possano cambiare, ma solo cedimenti di una delle parti. Segno che probabilmente non esistono altre idee attorno alle quali verificare la possibilità di nuove convergenze. Oppure non esistono le condizioni per riproporre quelle individuate già nell’ultimo rinnovo dei metalmeccanici basato sulla combinazione tra aumenti ex-post dei minimi e welfare.

 

Sarebbe allora auspicabile che, a fianco degli appelli  ai vari patti sociali o patti per la nazione che da mesi circolano nelle interviste di alcuni dei protagonisti della vita e politica e sindacale e che ancora di recente sono stati accolti dalla stampa come una novità assoluta, venissero presto individuate delle soluzioni che davvero siano in grado di avvicinare le parti. Il rischio altrimenti è quello di riprodurre un mantra volto solo ad assicurare le migliori intenzioni.

 

Francesco Nespoli

Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Franznespoli

 

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