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Bollettino ADAPT 26 ottobre 2020, n. 39
Le reazioni seguite alle nuove misure adottate dal governo per contenere la nuova ondata del contagio da Sars-cov2 mettono in controluce l’importanza del ruolo che le parti sociali stanno svolgendo nella gestione della nuova crisi che si prefigura.
Negli ultimi tre giorni si sono susseguite le cronache di proteste e rimostranze di piazza da sette città italiane (non solo quindi a Napoli e Roma) ed è quindi evidente che, rispetto a quanto registrato durante i tre mesi di lockdown, ad essere a rischio non sia solo l’equilibrio funzionale del sistema ospedaliero, bensì anche la coesione sociale. Se si tiene conto di ciò, si comprende come le scelte strategiche che le parti sociali stanno sostenendo, e che in linea di principio sarebbe facile criticare, interpretino una funzione di raccolta e di intermediazione di una grossa fetta del disagio sociale legato all’emergenza. E di come queste scelte risultino in una certa misura forzate dalla mancanza di alternative.
Non è infatti colpa innanzitutto di sindacati e associazioni datoriali se, come ha detto ieri il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, si è arrivati a questa nuova ondata di contagi, ampiamente prevista, impreparati – anche sul piano delle politiche del lavoro. Se troppo poco si è mosso, le responsabilità sono da attribuire soprattutto alla politica. Beninteso, nemmeno si poteva realisticamente immaginare che si sarebbe recuperato in soli sei mesi il ritardo pluriennale accumulato nell’entrata a regime delle varie leve delle politiche attive e nel completamento in senso universalistico del sistema di ammortizzatori sociali. Lo stesso dicasi per l’inadeguatezza o l’assenza di piani di sviluppo industriale.
Basti pensare che di fronte alle ripetute richieste delle parti sociali di avviare un dibattito su questi temi (la segretaria della Cisl ha detto esplicitamente: «Bisogna tranquillizzare le persone senza contribuire a creare drammi sociali. Prima di parlare di sblocco dei licenziamenti, il governo convochi le parti per spiegare quando partirà la riforma degli ammortizzatori sociali, con l’avvio delle politiche attive».) il governo si è limitato a parlare di «un pacchetto di misure per potenziare gli strumenti di politiche attive». Di fronte quindi alla solitudine del tentativo di avviare il Fondo nuove competenze (si veda l’articolo di E. Massagli, G. Impellizzieri, Fondo Nuove Competenze: una scommessa che la contrattazione saprà vincere? in Bollettino ADAPT 12 ottobre 2020, n. 37), il cui decreto attuativo è stato pubblicato solo questa settimana, e al dislocamento dell’assegno di ricollocazione verso i percettori di reddito di cittadinanza (solo per stare agli esempi più evidenti), quali valide alternative restano al sindacato rispetto alla proroga del blocco dei licenziamenti per dare risposte concrete al bisogno di protezione sociale che milioni di lavoratori avvertono ora come probabilmente mai prima dal Dopoguerra?
Forse proprio consapevole di ciò, Confindustria non si è stracciata le vesti di fronte all’apertura del governo che porterà, con tutta probabilità, all’estensione del blocco dei licenziamenti almeno fino al 31 gennaio. E di fronte all’assenza di politiche volte a sgravare le imprese dalle incertezze della ripartenza, si comprende anche il comportamento delle associazioni di categoria che nelle scorse settimane hanno preferito raggiungere la firma dei rinnovi contrattuali in vari settori, spesso con aumenti dei minimi retributivi, piuttosto che rischiare di arroventare il clima nelle fabbriche e nei territori già interessati da scioperi e mobilitazioni.
Certo, la rappresentanza non è esente da responsabilità ed il fatto che si agisca ora in una situazione che, dopo circa dieci mesi dall’avvento della Covid-19 ha tutto dell’emergenziale e poco della ripartenza, non significa che sia superfluo domandarsi fino a che punto la soluzione del blocco dei licenziamenti e del rifinanziamento della Cassa Covid sia sostenibile. Nel frattempo le relazioni industriali possono giocare un ruolo fondamentale nel perimetro dalle eccezioni al blocco dei licenziamenti previste dal c.d. Decreto agosto, ossia con accordi sindacali di riorganizzazione aziendale. Si tratta di una via per ridurre progressivamente e in maniere socialmente compatibile la spesa che altrimenti verrebbe impiegata per gli ammortizzatori sociali, oggi enorme (basti pensare che dalla nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza emerge che il deficit previsto per il 2020 è del 10,5 % del PIL, contro 1,5% del 2019). Per il resto, nello “stallo magamtico” in corso, questa riflessione si volge necessariamente nel momento stesso in cui si tenta di individuare le misure che possano realizzare l’equilibrio tra tutela della salute e continuità della vita economica. Equilibrio al quale già a marzo scorso le parti sociali hanno dato un fondamentale contributo.
Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia