Cessazione dell’attività e potere di licenziamento: serve qualche chiarimento?

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Bollettino ADAPT 2 novembre 2020, n. 40

 

Le disposizioni sulle preclusioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, inizialmente introdotte dal D.L. n. 18/2020 e successivamente prorogate e modificate dal D.L. n. 104/2020, sono ormai diventati una costante della normativa emergenziale. Infatti, l’art. 12, comma 9, 10 e 11 del D.L. n. 137/2020 (c.d. Decreto Ristori) ha confermato fino al 31 gennaio il divieto di licenziare per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966 e di avviare le procedure di licenziamento collettivo di cui agli artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991.

 

A differenza delle precedenti disposizioni emergenziali in materia, però, sia l’art. 14, comma 3 del D.L. n. 104/2020 che l’art. 12, comma 11 del D.L. n. 137/2020, hanno previsto dei casi di esclusione dal “divieto di licenziamento”. Dal 18 agosto, infatti, vi è possibilità di licenziare, oltreché nelle ipotesi di cessazione attività, anche nei casi in cui le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale stipulino con il datore di lavoro un accordo collettivo aziendale d’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro e nell’ipotesi di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa.

 

In relazione all’ipotesi di cessazione dell’attività, sembrerebbe che la ratio della modifica della norma ad opera del c.d. Decreto Agosto – tesa in via generale a mantenere i livelli occupazionali durante il periodo di crisi generata dal Covid-19 – debba rinvenirsi nell’idea di consentire, aldilà dell’emergenza pandemica, all’imprenditore di sciogliere legittimatamene il vincolo contrattuale quando l’attività produttiva è destinata in ogni caso a cessare. E pertanto la finalità generale della norma non può essere perseguita; diversamente una collisione con l’art. 41, comma 1 Cost. sarebbe inevitabile.

 

Tale norma è stata riportata integralmente anche all’art. 12, co. 11 del D.L. n. 137/2020. La disposizione evidenzia che non si applica il divieto nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione dell’attività dell’impresa.

 

Dal punto di vista giuridico il concetto di impresa ha una connotazione ben precisa, rintracciabile nell’art. 2082 cod. civ. che identifica la figura dell’imprenditore commerciale, quale soggetto che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Stando al tenore letterale della norma, pertanto, dovrebbero continuare a sottostare al divieto di licenziamento coloro che cessano un’attività non riferibile al campo di applicazione dell’art. 2082 cod. civ. Ad esempio, non sarebbe concessa la possibilità di licenziamento ad enti del c.d. terzo settore (o no profit) che intendono cessare definitivamente la propria attività.

 

Nel medesimo art. 14, comma 3 del D.L. n. 104/2020 (e nell’analogo art. 12, comma 11 del D.L. n. 137/2020), poi, si fa riferimento alla messa in liquidazione della società. Con tale termine giuridico, ci si riferisce ad una forma di esercizio collettivo dell’impresa, rinvenibile anch’esso nel codice civile, all’art. 2247, secondo cui “con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.

 

Attraverso un’interpretazione letterale della norma, si dovrebbe, pertanto, desumere che sono escluse dal campo di applicazione dell’eccezione le imprese individuali e pertanto queste ultime continuerebbero a soggiacere al divieto di licenziamento, anche in ipotesi di liquidazione. Se così fosse, non si comprenderebbe il motivo di differenziare l’attività societaria da quella individuale, stante il requisito cardine della norma, ovvero che l’attività cessi definitivamente senza continuazione della stessa, nemmeno parziale. È tuttavia chiaro che la chiusura di una unità produttiva di per sé non porta alla sospensione del blocco.

 

Da quanto esposto emerge che una interpretazione rigida delle disposizioni ridurrebbe drasticamente la platea dei destinatari della norma. Purtroppo, sia in sede di conversione del D.L. n. 104/2020 che nella stesura dell’art. 12, comma 11 del D.L. n. 137/2020 non sono stati forniti chiarimenti al riguardo.

 

Atteso che si voglia permettere di licenziare per giustificato motivo oggettivo soltanto a chi si appresta una chiusura definitiva dell’attività, non si comprende l’utilizzo di termini giuridici specifici che invece circoscriverebbero tale possibilità alle sole attività di impresa in forma societaria. Un chiarimento del Ministero del Lavoro su tale tema potrebbe essere dirimente per sciogliere i dubbi di molti operatori alle prese con tale fattispecie.

 

Infine, escluso che la deroga al divieto di licenziamento trovi applicazione nei casi di esercizio provvisorio dell’impresa (cfr. art. 2487 cod. civ.), resta da capire come interpretare l’assenza della continuazione dell’attività giacché nella prassi non è riscontrabile il caso in cui una volta che l’assemblea dei soci abbia deliberato la cessazione dell’attività, questa automaticamente si fermi in quanto ogni procedura liquidatoria presuppone una fisiologica prosecuzione parziale dell’attività d’impresa, propedeutica alla conservazione dei beni e alla soddisfazione dei creditori. Infatti, la procedura liquidatoria si sviluppa tendenzialmente in un lasso temporale medio-lungo, nel corso del quale l’azienda si trova a porre in essere delle attività̀ che, pur rientrando nel novero di quelle tipiche dell’oggetto sociale dell’impresa, costituiscono atti utili per la liquidazione e sono preordinate alla stessa e pertanto alla cessazione dell’attività di impresa. Una strada utile potrebbe essere quella di riuscire a distinguere le attività di lavoro prodromiche alla messa in liquidazione della società (che consentirebbero di sostenere l’assenza del divieto in parola; es. un impiegato che segua la chiusura dei contratti, il pagamento dei creditori e dei fornitori etc.) da quelle ordinarie, cioè che non hanno un collegamento funzionale con le attività conclusive mirate a condurre alla cessazione l’attività d’impresa (sul punto, v. D. Ceccato, S. Carrà, Licenziamenti, liquidazione e prosecuzione parziale dell’attività, in GLav, 2020, n. 38, p. 37 e ss.). In questa prospettiva, il divieto generale di cui all’art. 14, comma 1 del D.L. n. 104/2020 troverebbe applicazione solo nel secondo caso.

 

Francesco Lombardo

ADAPT Junior Fellow

@franc_lombardo

 

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