Legge n. 4/2013 e professioni emergenti: le articolate vicende della proposta di norma UNI sulla figura del counselor

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Bollettino ADAPT 7 dicembre 2020, n. 45

 

Da oltre dieci anni è in corso un intenso dibattito sul counselor, professione sino ad oggi non regolamentata dalla normativa italiana. La mancata regolamentazione comporta per forza di cose anche una difficoltà di carattere definitorio dell’attività propria di questa figura professionale. Tra le molteplici descrizioni presenti, quelle più affine alle definizione di carattere internazionale dell’OMS, viene fornita dall’Osservatorio Nazionale Professioni 2018, realizzato da CNA Professioni, laddove, il counselor viene identificato come  “il professionista che, mediante ascolto attivo, dialogo ed orientamento, affianca il cliente, aiutandolo ad affrontare problematiche riguardanti i momenti della vita che comportano cambiamenti e scelte”.

 

L’attività professionale di counseling nasce negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso e solo successivamente è possibile riscontrare professioni di carattere affine anche nel vecchio continente, Italia compresa. Le difficoltà ricostruttive della genealogia, sedimentazione e riconoscimento sociale della professione sono molteplici e dovute alla sostanziale informalità e mancata regolamentazione con cui l’attività veniva e viene tuttora esercitata. È a partire dagli anni novanta del secolo scorso che il mondo del counseling sembrerebbe iniziare a prendere coscienza e contezza del fenomeno tramite spontaneistici movimenti aggregativi e associativi. Nel 2000 il Quarto Rapporto di Monitoraggio sulle associazioni rappresentative delle professioni non regolamentate del CNEL, censisce per la prima volta due associazioni di counseling: Sico (Società Italiana Counseling) e Aico (Associazione Internazionale Counseling). Successivamente fioriranno molteplici compagini associazionistiche afferenti al mondo del counseling, segno di istanze di rappresentanza e bisogni emergenti, che mai hanno trovato però una piena regolamentazione nel mercato se non nell’autoregolamentazione.

 

Uno dei problemi principali dell’attività di counseling è rappresentato dalle possibili sovrapposizioni con la regolamentata professione di psicologo. Questa ha trovato un suo pieno ed ufficiale riconoscimento abbastanza recentemente rispetto alle tradizionali professioni liberali, essendo stata istituita nel 1989 con la l. 18 febbraio 1989, n.56. Si è giunti alla costituzione di un Ordine degli psicologi dopo una lunga e accesa dialettica tra mondo accademico delle professioni mediche, associazioni sindacali, ordine dei medici, docenti universitari.

 

Per contro invece la figura professionale di counselor non ha trovato una sua specifica regolamentazione, sia sul fronte del percorso formativo, sia sul fronte della natura dell’attività professionale esercitata. L’unico riferimento normativo attualmente presente in Italia è rappresentato dalla l. 14 gennaio 2013, n.4  sulle professioni non organizzate in ordini e collegi che ha permesso ai singoli professionisti di “costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza”. Le associazioni e le forme aggregative di counselor sono cresciute nel corso del tempo e molte sono quelle presenti nell’elenco del Ministero dello sviluppo economico così come stabilito dall’art. 2, comma 7, l. 4/2013.

 

La l. 4/2013, all’art. 9, ha stabilito inoltre che le associazioni professionali costituite possano collaborare alla elaborazione della norma tecnica UNI per le singole attività professionali, partecipando ai lavori degli specifici organi tecnici o inviando all’ente di normazione i propri contributi nella fase dell’inchiesta pubblica. Sempre l’art. 9 della medesima legge stabilisce la possibilità per le associazioni di promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità per i settori di competenza, nel rispetto dei requisiti di indipendenza, imparzialità e professionalità previsti dalla normativa vigente e garantiti dall’accreditamento ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008. Questi organismi possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alla norma tecnica UNI definita per la singola professione.

 

È stata pertanto costituita in sede UNI, nel 2011, prima dell’approvazione definitiva della l. 4/2013, una commissione sulle attività professionali non regolamentate in cui da tempo diversi stakeholder e soggetti interessati stanno tentando di dare una cornice regolatoria all’attività professionale non regolamentata di counselor.

 

È in questa sede che da diversi anni è sorto un contenzioso finito anche nelle aule di tribunale, che vede da un lato i counselor continuare a difendere la possibilità di esercitare la propria professione, e, dall’altro, gli psicologi accusarli di esercizio abusivo della professione, a causa della mancanza di un percorso formativo e di un titolo per esercitare l’attività. Si vuole in questa sede tentare di riassumere l’articolata e aggrovigliata vicenda nei termini più asettici possibile.

 

Nel 2010  l’Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte, a seguito di numerose segnalazioni di counselor operanti con aziende o enti pubblici, ha pubblicato una nota dove stigmatizzava questa attività come esercitata abusivamente. Veniva inoltre dimostrato che la sola iscrizione nell’elenco CNEL non comportasse automaticamente la legittimità ad operare del counselor. Pertanto veniva esortata la Regione, gli enti e le aziende pubbliche ad affidare a psicologi e non a figure professionali differenti i predetti incarichi. Casi simili si sono registrati in altre aziende pubbliche locali su tutto il territorio italiano.

 

Nel 2015 il TAR del Lazio con sentenza 13020/2015 ha stabilito che il disagio psicologico anche al di fuori dei contesti clinici, rientri nelle competenze dello psicologo e la valutazione della gradazione del disagio psichico presupponga una competenza diagnostica propria dello psicologo e non del counselor.

 

In ambito UNI nel 2014 l’Ordine Psicologi del Lazio, presente nella commissione sulle attività professionali non regolamentate, aveva segnalato al CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi) l’urgenza di attivarsi in UNI rispetto al tavolo di lavori sulla professione di counselor relazionale. Su impulso dell’ordine del Lazio il CNOP stabiliva di conferire un incarico professionale per l’assistenza e il patrocinio processuale ai fini dell’impugnazione dinanzi al TAR del provvedimento di inserimento di una nota associazione di counselor (Assocounseling) nell’elenco delle associazioni ex l. 4/2013. Sempre il CNOP decideva di inviare al Ministero della salute competente una serie di osservazioni sul progetto di norma in ambito UNI sul counseling relazionale, evidenziando le sovrapposizioni potenziali tra professione sanitaria regolamentata dello psicologo e professione del counselor. Il Ministero della salute accoglieva la richiesta chiedendo all’UNI di sospendere il tavolo sul counselor relazionale e nel 5 giugno 2015 il CNOP emanava un documento, “La professione di psicologo: declaratoria, elementi tipici e caratterizzanti”, inviato poi al Ministero della salute, dove veniva ribadito che tra le attività caratterizzanti la figura dello psicologo vi fosse anche quella di counseling.

 

La sentenza 13020/2015 del TAR del Lazio ha stabilito che la pratica del counselor sia un atto tipico e proprio dello psicologo poiché nonostante il legislatore ”nella l. n. 56 del 1989, abbia usato il termine “comprende”, anziché la locuzione “riserva”, non esclude che si tratti di attività per la quale è competente lo psicologo ed equivale ad una riserva, nei limiti in cui la definizione di tale ambito sia idonea ad identificare l’oggetto della attività professionale”. Sempre la stessa sentenza ha disposto la cancellazione di Assocounseling dall’elenco delle attività non regolamentate di cui alla l. 4/2013.

In commissione UNI/CT 006 sulle attività professionali non regolamentate, nonostante la sospensione del precedente tavolo operata dal Ministero della salute, è ripreso, su impulso di molte associazioni, un gruppo di lavoro (GL 07) per la normazione tecnica della figura professionale di counselor, che esiste nella realtà e continua ad operare in una cornice regolatoria e in un mercato privo di disciplina e di riferimenti. Anche in tal caso si è potuto constatare un forte interventismo del Ministero della salute che tramite istanza indirizzata ad UNI intimava nuovamente la sospensione delle operazioni sul progetto di norma sulla figura del counselor. Ciononostante la maggioranza dei componenti del tavolo ha votato per il proseguimento dei lavori e i vari ordini territoriali degli psicologi hanno cercato da un lato di coinvolgere nuovamente i ministeri competenti, e, dall’altro di iscriversi in massa al Gruppo di Lavoro UNI/CT006/GL07, rinnovando l’iscrizione all’UNI (come mostrato da diversi atti degli ordini del Lazio, Umbria, Emilia Romagna)1.

 

Nel frattempo la vicenda amministrativa del TAR del Lazio, cui si è fatto cenno in precedenza, è proseguita. Con le sentenze n. 00545/2019 e n.00546/2019 del Consiglio di Stato si è stabilito il reinserimento di Assocounseling all’interno degli elenchi del Ministero dello sviluppo economico ex l. 4/2013.  Il giudice di Palazzo Spada ha ritenuto errata la constatazione del TAR del Lazio secondo cui il MISE “avrebbe dovuto svolgere una istruttoria maggiormente approfondita, fino a doversi sincerare se, effettivamente e concretamente, sotto ogni sfaccettatura della caleidoscopica attività di counseling (per come emerge dalla lettura degli atti prodotti nei due gradi di giudizio), si potesse assolutamente escludere l’emersione di tratti di sovrapposizione tra l’attività svolte dal counselor e quella dispiegata dallo psicologo professionista, laddove tale compito non era ad esso attribuito dal legislatore”.

 

All’interno della stessa sentenza il giudice esprime una serie di considerazioni sull’intervento del legislatore del 2013 sulle professioni non organizzate in ordini o collegi. Sono considerazioni, emerse sì nell’ambito del contenzioso, ma importanti ai fini di una ricostruzione in continuo ed incessante divenire di un intervento legislativo piuttosto recente su cui sia la dottrina che il diritto vivente finora raramente si sono espressi. Viene infatti affermato che il provvedimento sia caratterizzato da una “non limpida ed immediata percepibilità degli obiettivi che il legislatore si è voluto porre con il varo della Legge 4/2013”. Prosegue il giudice affermando che “la formulazione dell’art. 2, comma 7, l. 4/2013 si presenta inidonea a considerare esistente, per previsione normativa, la necessità che l’iscrizione alla quale aspirano le associazioni in questione sia preceduta dalla verifica del possesso di taluni requisiti ritenuti indispensabili per ottenere l’inserimento nell’elenco. Addirittura i requisiti per l’iscrizione nell’elenco non sono affatto indicati in modo dettagliato…. Pertanto non traspare nessun obbligo di accentuazione indaginistica a carico del ministero procedente”.

 

Il Consiglio di Stato ha ribadito però che della l. 4/2013 vada data una lettura costituzionalmente orientata, poiché lo svolgimento di una attività professionale lecita è libero e il sistema degli ordinamenti professionali di cui all’art. 33 Cost., comma 5, deve essere ispirato al principio della concorrenza e della interdisciplinarietà e, per giunta vengono menzionate le ripercussioni del principio di concorrenzialità nell’ambito dei paesi europei, definito come regolatore delle normazioni dei singoli ordinamenti statali in materia di servizi.

 

La situazione regolamentare della figura del counselor è quindi ancor in via di definizione e non ha trovato ancora un punto fermo su cui costruire un mercato della professione non collidente con altre attività professionali regolamentate quali la figura dello psicologo (come previsto d’altronde dai criteri definitori di cui all’art. 1, comma 2, l. 4/2013). L’attività di counseling esiste però nella realtà da molto tempo e continua ad essere esercitata in modo più o meno formale. Adottare soluzioni massimaliste miranti ad una preclusione della stessa potrebbero apparire come battaglie di retroguardia.

 

Probabilmente il tavolo UNI, per la sua capacità “ecumenica/collegiale”, in grado di coinvolgere tutti gli stakeholder e gli attori coinvolti può essere la sede adatta, a differenza delle aule di tribunale, per cercare di trovare una quadra, una mediazione e un confronto tra associazioni di counseling, Ministeri coinvolti, ordini professionali ed enti di certificazione e formazione. Il tutto tenendo in debita considerazione – da un lato la corretta implementazione dei principi posti alla base dell’attività di normazione – e, dall’altro, le recenti evoluzioni del quadro regolatorio delle professioni con la direttiva sul test di proporzionalità (direttiva europea 2018/958), attualmente in fase di recepimento nell’ordinamento italiano.

 

Andrea Zoppo

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

Università degli Studi di Siena

@AndreaZoppo

 

1La normazione tecnica in ambito UNI è infatti ispirata a principi di democraticità, trasparenza, consensualità, volontarietà, massima partecipazione ai lavori, imparzialità, efficienza e aderenza alle esigenze del mercato. Per permettere la partecipazione ai lavori delle commissioni UNI, ente privato riconosciuto, qualsiasi attore interessato può diventare socio versando una quota di adesione. L’attività di normazione è rigidamente proceduralizzata al fine di garantire ai diversi attori coinvolti di intervenire, formulare osservazioni, ed avere uguale peso nelle decisioni, finanche bloccando il processo di normazione qualora vengano lesi gli interessi di stakeholder significativi.

 

Legge n. 4/2013 e professioni emergenti: le articolate vicende della proposta di norma UNI sulla figura del counselor