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Bollettino ADAPT 1 febbraio 2021, n. 4
Il divieto di licenziamento è contrario al Diritto dell’Unione Europea: dalla Spagna arriva un’importante pronuncia giurisprudenziale su un tema tanto dibattuto quanto attuale, di fondamentale importanza per la sopravvivenza delle imprese in un periodo storico come quello contemporaneo caratterizzato da pesanti restrizioni alle libertà e ai diritti fondamentali dei cittadini.
Tra le libertà “mutilate” dalla normativa emergenziale, infatti, figura anche l’iniziativa economica privata, ovvero la libertà d’impresa consacrata a livello costituzionale dal nostro art. 41 Cost., ma prerogativa dell’intera comunità europea in quanto valore comune condiviso dalle tradizioni costituzionali dei Paesi europei. Tale libertà, come oramai noto, ha subito pesanti limitazioni a partire da marzo scorso, quando il governo italiano, anticipando i propri “colleghi” europei che da esso prenderanno poi spunto, ha intrapreso una forte politica di contenimento della diffusione del contagio, la cui punta di diamante, sul piano occupazionale, può essere individuata nel generalizzato divieto di licenziamento per ragioni economiche a partire dal 17 marzo scorso.
La misura, inizialmente destinata a perdere di efficacia verso la metà di maggio 2020, è stata più vote reiterata o, meglio, prorogata, in Italia come in altri ordinamenti, e, ad oggi e limitatamente ai nostri confini, resterà in vigore fino al 31 marzo 2021, nonostante uno scetticismo abbastanza diffuso riguardo alla sua tenuta costituzionale, proprio rispetto alla succitata disposizione. Un andamento simile si è avuto in Spagna, ove il Real Decreto-Ley n. 9 del 27 marzo 2020 ha introdotto la prohibición de despido che ricalca, in sostanza, il divieto imposto pochi giorni prima dal governo italiano, col quale condivide, oltre che natura e portata, anche il fine e la continua reiterazione nel tempo.
Ed è proprio quest’ultimo elemento che suscita, tra studiosi e non, i maggiori dubbi di costituzionalità, posto che, nella prima fase di gestione e reazione alla pandemia, poteva ritenersi più che giustificata una misura di tale portata, tale da sacrificare non poco le libertà e i poteri degli imprenditori, ma con la “promessa” politica di ritornare presto alla normalità una volta superato il drastico lock-down della prima metà della primavera 2020. Gli eventi e la “potenza” del Coronavirus hanno però superato di gran lunga le aspettative e le previsioni iniziali, motivo per il quale, a distanza di undici mesi dalla loro introduzione, le stesse misure sono ancora in voga.
E in Spagna, in effetti, la tenuta costituzionale del divieto in questione ha subito un duro colpo da parte della giurisprudenza ordinaria: il Juzgado de lo Social n. 1 de Barcelona, infatti, dopo aver esaminato i motivi del recurso n. 581/2020, si è pronunciato su tale proibizione, giungendo a conclusioni di non lieve portata che potrebbero dispiegare i propri effetti anche in altri ordinamenti giuridici, in primis quello italiano.
Chiamato a giudicare rispetto a un licenziamento intimato per ragioni economiche in data 03.07.2020, il Tribunale del Lavoro di Barcellona, dopo aver approfonditamente sviscerato i motivi che hanno condotto a tale decisione aziendale e averne quindi riconosciuto la legittimità della medesima rispetto al diritto positivo ordinario, ovvero non emergenziale, si sofferma appunto sul rapporto tra il recesso della società convenuta e il diritto positivo straordinario, con specifico riferimento alla prohibición de despido sancita dall’art. 2 del su richiamato Real Decreto-Ley.
Riconosciuta la piena legittimità, oltre che necessità, della misura in questione nei suoi primi mesi di vita, il tribunale spagnolo si sofferma sull’inefficacia della medesima: se infatti le disposizioni emergenziali e i sacrifici che dai medesimi sono derivati per la comunità tutta sono finalizzati al mantenimento della pace sociale e dei livelli occupazionali in essere, la continua reiterazione nel tempo delle stesse misure deve ritenersi quale rivelatrice della loro insufficienza rispetto al perseguimento dell’obiettivo prefissato, dalla quale scaturisce, a detta del giudicante spagnolo, l’inefficacia delle conseguenti e restanti decisioni aziendali escluse dalle limitazioni governative. Secondo un percorso argomentativo dettato da una logica semplice quanto incontrovertibile, il tribunale afferma in estrema sintesi che, se le limitazioni sono state prorogate, ciò vuol dire che le medesime si sono rivelate insufficienti, e insufficienti devono pertanto ritenersi le restanti strategie imprenditoriali volte a contrastare i tragici effetti della pandemia.
Ma ciò non sarebbe comunque abbastanza per abbattere un divieto, quale quello di licenziamento per ragioni economiche, metabolizzato dall’ordinamento in termini di diritto positivo, se non fosse che nella continua reiterazione del medesimo il giudice ravvisa non soltanto l’inidoneità della misura stessa rispetto ai fini prestabiliti, bensì persino la contrarietà della medesima con riferimento al quadro costituzionale spagnolo ed europeo. E infatti tanto l’art. 38 della Constitución Española quanto il diritto costituzionale europeo, ovvero l’articolo 3, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione Europea (TUE) e l’articolo 16 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali (proclamata nel 2000 e anche nota come “Carta di Nizza”), consacrano senza mezzi termini la libertà d’impresa, alla quale fanno da corollario le classiche prerogative dell’imprenditore, ovvero il potere di direzione e controllo dell’impresa, nel cui ambito si colloca appunto la facoltà di ridurre l’organico, il tutto entro i limiti di legge nazionali ed europei.
Quale fisiologica conseguenza del proprio percorso argomentativo, quindi, il giudice spagnolo disapplica il diritto nazionale emergenziale in quanto contrario al diritto europeo, dichiarando, con sentenza n. 283 del 15.12.2020, la legittimità del licenziamento intimato dalla società spagnola per ragioni economiche rappresentate dal calo del fatturato e delle vendite, oltre che dall’inadempimento per forza maggiore di molti contratti da parte di fornitori e clienti.
La pronuncia giurisprudenziale in questione, quindi, sembra confermare le perplessità, sempre più diffuse, rispetto alla costituzionalità del divieto in questione e della sua reiterata prorogazione, già messi in luce in A. Tundo, L’impresa italiana ai tempi del Covid: tra divieto di licenziamento e cassa integrazione, Bollettino ADAPT n. 47/2020. Induce altresì a chiedersi se la roboante sentenza del Tribunale di Barcellona possa influenzare, in un certo senso, anche l’evoluzione giurisprudenziale italiana, considerato che la stessa sembra cominciare a muovere i passi su questo scivoloso terreno, seppur in una direzione apparentemente opposta rispetto a quella incanalata dal tribunale spagnolo.
E infatti, anche in Italia i tribunali cominciano ad occuparsi del tema del divieto di licenziamento, seppur enza indagare a fondo la spinosa questione relativa alla continua reiterazione nel tempo degli effetti di tale misura, trascurando così l’insegnamento espresso dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 106 del 19 dicembre 1962, aveva “bocciato” la L. n. 1027/1960 per aver ecceduto nella proroga dell’efficacia delle disposizioni straordinarie contenute nella c.d. “Legge Vigorelli”, derogatrice dell’art. 39 della Costituzione (per un parallelismo tra tale sentenza e la questione “Covid” si rimanda a a M. Olgiati e F. Torniamenti, Nuova proroga del blocco dei licenziamenti: la Costituzione è rispettata?).
Il Tribunale di Mantova, ad esempio, con sentenza n. 112 del 11.11.2020, ha senza dubbio alcuno rilevato la nullità del licenziamento per ragioni economiche intimato con lettera del 09.06.2020, coevo quindi ai fatti del giudizio spagnolo: il giudice italiano, infatti, qualificando il divieto in commento non solo come «una tutela temporanea (…) per salvaguardare la stabilità del mercato e del sistema economico», bensì anche quale «misura di politica del lavoro e di politica economica collegata ad esigenze di ordine pubblico», ha dedotto il carattere imperativo della relativa norma, asserendo quindi la nullità del licenziamento intimato e disponendo perciò, oltre al risarcimento del danno, la reintegra del lavoratore illegittimamente receduto, salva la facoltà di opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra stessa.
Sembrerebbe pertanto che la sensibilità della magistratura italiana rispetto al tema in oggetto si discosti e non di poco dalle valutazioni fatte proprie dal tribunale di Barcellona, se si considera che, a parità di quadro normativo nonché a fronte di fattispecie sostanzialmente coincidenti anche dal punto di vista temporale, le conclusioni tratte sono decisamente distanti. Certamente il quadro giurisprudenziale sviluppatosi sulla questione, seppur variegato negli esiti, risulta al momento piuttosto scarno, per la spontanea prudenza che caratterizza la maggior parte delle imprese, poco inclini ad assumersi un rischio simile a quello poi concretizzatosi nelle aule del tribunale di Mantova.
Pur tuttavia, la sentenza spagnola è destinata ad acquisire centralità crescente nell’ambito del forte dibattito che, oramai da maggio all’epoca della prima reiterazione, circonda la questione relativa al divieto di licenziamento da Covid-19. Risulta quindi spontaneo domandarsi se le imprese e gli operatori del diritto, “forti” dell’esperienza iberica, si “ribellino” alle limitazioni governative riacquisendo la piena libertà di iniziativa economica di cui sono da sempre detentori; non si dimentichi, infatti, come aziende destinate alla chiusura già prima dell’esplosione della pandemia sono state costrette a “trascinarsi” per un tempo indefinito, mentre altre orientate verso piani di ristrutturazione o riorganizzazione hanno dovuto rinviare a tempi migliori l’attuazione degli stessi.
Altrettanto interessante, poi, sarà scoprire, una volta che tali eventualità si materializzino nelle aule giudiziarie, se i giudici italiani, riprendendo il suddetto principio della Corte Costituzionale, intraprendano il cammino tracciato dal precedente spagnolo, disapplicando la norma italiana in favore della prevalente disposizione europea, sottraendosi, in tal modo, al lungo e tortuoso giudizio di costituzionalità, oppure continuino ad assecondare le pur condivisibili priorità definite dalla normativa emergenziale.
L’epoca della resilienza, però, pare esser finita; le imprese sembrano ormai mature per la reazione!
Andrea Tundo
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo