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Bollettino ADAPT 26 aprile 2021, n. 16
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che sarà illustrato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi alle Camere nei prossimi giorni rappresenta, da una parte, l’esito di vicende politiche che hanno portato ad un nuovo Governo con una diversa maggioranza parlamentare, e dall’altra un punto di non ritorno per la credibilità del Paese in sede europea e per la direzione intrapresa nelle sei missioni che compongono il Piano. La scadenza del 30 aprile 2021, quale ultima data possibile per presentazione in UE del PNRR, ha imposto alla nuova maggioranza uno sforzo non indifferente nella revisione dell’ultima bozza dello stesso, che era stata approvata dal vecchio Consiglio dei Ministri nella notte tra il 12 e il 13 gennaio 2021.
La Missione 4: Istruzione e Ricerca
Senza dubbio, la missione dedicata a Istruzione e Ricerca è stata oggetto di una significativa attenzione nel processo di revisione e rafforzamento, in quanto il nuovo Piano da 222 miliardi di euro destinerà circa 31 miliardi di euro a tali ambiti, e cioè circa il 17% del totale delle risorse che saranno impiegate rispetto al 12,7% del PNRR predisposto dal Governo precedente. Non è casuale che già fin dal terzo capoverso della premessa del Presidente Draghi sia citato uno dei dati più allarmanti per l’Italia, e cioè il triste primato tra i Paesi dell’Unione Europea per tasso di giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (NEET). Non solo: le Country Specific Reccomendations (CSR) rivolte dalla Commissione Europea ai singoli Stati membri hanno richiesto all’Italia di “migliorare i risultati scolastici, anche mediante investimenti mirati, e promuovere il miglioramento delle competenze, in particolare rafforzando le competenze digitali” e di “rafforzare l’apprendimento a distanza e il miglioramento delle competenze, comprese quelle digitali”.
A partire da tali presupposti, la Missione 4 del PNRR, appunto dedicata a Istruzione e Ricerca, ha individuato due obiettivi generali per guidare gli investimenti dei prossimi anni e per capitalizzare al meglio l’opportunità del Recovery Fund: “colmare in misura significativa le carenze strutturali, quantitative e qualitative, che oggi caratterizzano l’offerta di servizi di istruzione, educazione e formazione nel nostro Paese” e “rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese e delle istituzioni”. All’interno della Missione 4 sono state individuate due componenti – “Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli Asili nido alle Università” e “Dalla ricerca all’impresa” – con le rispettive allocazioni di risorse che ammontano a 19,44 e a 11,44 miliardi di euro. Se la prima componente “mira a realizzare gli investimenti materiali ed immateriali necessari a colmare o a ridurre in misura significativa in tutti i gradi di istruzione le carenze strutturali […]”, la seconda si pone l’obiettivo di “innalzare il potenziale di crescita del sistema economico, favorendo la transizione verso un modello di sviluppo fondato sulla conoscenza” con l’attesa di un significativo aumento di spesa in ricerca e sviluppo e una più efficace collaborazione tra la ricerca pubblica e il mondo imprenditoriale.
Le criticità del sistema di Istruzione, Formazione e Ricerca
La Missione 4 offre un quadro della situazione attuale con il riconoscimento delle maggiori criticità del sistema. In questa sede rilevano, in modo particolare, i temi ricollegabili al mercato del lavoro e al mondo della ricerca. Ad esempio, il riconoscimento di “Gap di competenze di base, alto tasso di abbandono scolastico e divari territoriali” esprime una certa consapevolezza legata al fatto che investire sull’istruzione significhi anche eliminare alla radice le cause di un tasso così elevato di NEET, riconoscendo come il tasso di abbandono scolastico sia spesso correlato alla mancata acquisizione di competenze di base e come il nostro Paese abbia una percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni con un livello di istruzione non superiore a quello secondario di primo grado del 14,5%, a fronte di una media europea del 10%. Non solo: il paragrafo sulla “Bassa percentuale di adulti con un titolo di studio terziario” riconosce il divario tra l’Italia e la media nei Paesi dell’OCSE rispetto al conseguimento di un titolo di studio di livello terziario nella popolazione tra i 25 e i 44 anni (28% in Italia contro il 44% della media OCSE) ed evidenzia il basso numero di dottorati conferiti nel nostro Paese. Tali dati si ripercuotono inevitabilmente su un’altra criticità evidenziata dal Piano, ossia lo “Skills mismatch tra istruzione e domanda di lavoro”: un’impresa su tre lamenta difficoltà di reclutamento e quasi un giovane su tre fino a 24 anni risulta in cerca di occupazione.
Sul fronte della ricerca, invece, si trova, tra le criticità, un “Basso livello di spesa in R&S”, segnalando che in Italia – dati 2018 – la spesa in ricerca e sviluppo nel settore pubblico ammontava all’1,4% del PIL contro una media OCSE del 2,4% e, nel settore privato, allo 0,9% contro l’1,7% della media OCSE. Strettamente correlato a un simile tema si registrano due ulteriori problematiche:“Basso numero di ricercatori e perdita di talenti” e “limitata integrazione dei risultati della ricerca nel sistema produttivo”. Il numero di ricercatori pubblici e privati in Italia per persone attive è pari alla metà della media UE (2,3% contro 4,3%) e, al tempo stesso, si sottolinea come ancora permangano numerosi problemi strutturali e organizzativi che impediscono il trasferimento della ricerca e la sua valorizzazione anche in termini di brevetti, accordi commerciali e nuove imprese.
Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione
Le risposte alle criticità evidenziate emergono in una serie di obiettivi suddivisi secondo le due componenti sopracitate. Per quanto riguarda il potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione, in questa sede trovano una certa rilevanza gli obiettivi generali e i relativi investimenti che fanno capo all’incremento del numero di iscritti e di diplomati negli ITS (1,5 miliardi di euro), alla riforma degli istituti tecnici e professionali, alla semplificazione del passaggio dall’Università al mondo del lavoro e alla riforma e al potenziamento dei dottorati di ricerca (430 milioni di euro). In particolare, se la riforma degli istituti tecnici e professionali avrà l’obiettivo di rispondere al disallineamento tra domanda e offerta del lavoro attraverso un orientamento dell’istruzione tecnica e professionale verso l’innovazione introdotta da Industria 4.0 e verso la digitalizzazione, lo sviluppo degli ITS mira a potenziare significativamente percorsi di formazione terziaria (con l’obiettivo di raddoppiare gli iscritti) per consolidare tali realtà nel sistema ordinamentale e sui territori “attraverso la creazione di network con aziende, università, centri di ricerca tecnologica/scientifica, autorità locali e sistemi educativi/formativi”. Il Piano non dimentica i significativi esiti occupazionali degli ITS – oltre l’80% dei diplomati risulta occupato ad un anno dal diploma – e nemmeno che, ad oggi, soltanto l’1,7% degli studenti terziari si iscriva a tali corsi di istruzione.
Sul fronte delle misure per facilitare il passaggio dall’Università al mondo del lavoro, il documento ha previsto due riforme: la prima, che riguarderà le classi di laurea (con ampliamento di quelle professionalizzanti), avrà l’obiettivo di costruire ordinamenti didattici che rafforzino le competenze multidisciplinari, sulle tecnologie digitali, in campo ambientale e sulle soft skills. La seconda riforma, invece, avrà ad oggetto la semplificazione delle procedure per l’abilitazione all’esercizio delle professioni, “rendendo l’esame di laurea coincidente con l’esame di stato”, con lo scopo di velocizzare l’accesso dei laureati al mondo del lavoro. Accanto a tali previsioni, anche le misure volte all’ampliamento di competenze STEM, multilinguistiche, digitali e di innovazione in tutti i cicli di istruzione risponderanno alle esigenze richieste dalle trasformazioni socioeconomiche in atto.
Per quanto riguarda la riforma e il potenziamento dei dottorati, il Piano prevede un Decreto Ministeriale entro il 2021 che possa semplificare il coinvolgimento di imprese e centri di ricerca per costruire percorsi di dottorato non finalizzati alla carriera accademica (con valutazioni periodiche in termini di placement). I dati riportati dal documento sono chiari: a fronte della riduzione dei dottorati in Italia negli ultimi 10 anni pari al 40%, e considerato il fatto che nel nostro Paese soltanto una persona su mille tra i 25 e i 34 anni completi ogni anno un corso di dottorato rispetto a una media UE di 1,5, quasi il 20% di chi consegue ogni anno il titolo di dottore di ricerca si trasferisce all’estero, mentre “chi rimane in Italia soffre di un profondo disallineamento tra l’alto livello di competenze avanzate che possiede e il basso contenuto professionale che trova sul lavoro”. L’obiettivo del PNRR, in questo ambito, si concretizzerebbe nella riduzione dei divari numerici e anagrafici con gli altri Paesi europei, nell’aumento numerico delle borse di studio per dottorato, nella capitalizzazione di competenze con dottorati innovativi che possano aumentare l’efficacia delle azioni delle Amministrazioni pubbliche e nel finanziamento di cicli di dottorato destinati “all’efficientamento della gestione e dello sviluppo dell’enorme patrimonio culturale del Paese”.
Dalla Ricerca all’Impresa
Se si guarda alla seconda componente della Missione 4, e cioè “Dalla Ricerca all’Impresa”, a fronte di uno stanziamento complessivo di 11,44 miliardi di euro, gli obiettivi generali individuati dal PNRR consistono nel “rafforzare la ricerca e favorire la diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata condotta in sinergia tra Università e imprese” (6,91 miliardi di euro), “sostenere i processi per l’innovazione e il trasferimento tecnologico” (2,05 miliardi di euro) e “potenziare le infrastrutture di ricerca, il capitale e le competenze di supporto all’innovazione” (2,48 miliardi di euro). I target individuati dovranno essere raggiunti grazie alla regia di MUR e MiSE che, nell’ambito delle priorità del Piano Nazionale della Ricerca 2021-2027 e di Horizon Europe, favoriranno con appositi decreti ministeriali la mobilità tra Università, infrastrutture di ricerca e aziende e la semplificazione della gestione dei fondi per la ricerca. In particolare, il Piano affronta le criticità legate al basso livello di spesa in R&S e al basso numero dei ricercatori con la consapevolezza di dover migliorare la sinergia tra pubblico e privato nell’interesse strategico del Paese, attraverso la creazione di partnership di rilievo nazionale o con una vocazione territoriale e un investimento maggiore sui giovani ricercatori.
Oltre a 1,8 miliardi di euro previsti per il Fondo per il Programma Nazionale Ricerca (PNR) e per progetti di Ricerca di Significativo Interesse Nazionale (PRIN), il documento finanzierebbe con 600 milioni di euro i progetti presentati da giovani ricercatori e quasi 3 miliardi di euro per il potenziamento delle strutture di ricerca, per la creazione di campioni nazionali di R&S su alcune Key Enabling Technologies e per l’istituzione di “ecosistemi dell’innovazione” con l’obiettivo di implementare la contaminazione e collaborazione tra Università, centri di ricerca, società e istituzioni locali. Altri investimenti rilevanti (circa 3 miliardi di euro) andranno a sostegno dei processi di innovazione e trasferimento tecnologico, quali l’integrazione del fondo IPCEI per favorire la collaborazione tra pubblico e privato (1,5 miliardi di euro), il finanziamento di partenariati per sostenere progetti nel quadro di Horizon Europe (200 milioni di euro) e il potenziamento dei centri di trasferimento tecnologico per segmenti di industria (350 milioni di euro) con il fine di aumentare i servizi tecnologici avanzati a beneficio delle aziende. Circa 2,5 miliardi di euro, invece, saranno destinati all’implementazione delle condizioni di supporto alla ricerca e all’innovazione per realizzare un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e innovazione, finanziare start-up e introdurre dottorati innovativi che rispondano ai fabbisogni di innovazione delle imprese e promuovano l’assunzione dei ricercatori dalle imprese.
Una grande opportunità?
In conclusione, se da una parte non vi sono dubbi sul fatto che oltre 30 miliardi di euro per Istruzione e Ricerca siano davvero una grande opportunità per il nostro Paese di colmare le carenze strutturali che lo stesso Piano ha evidenziato con una certa chiarezza, dall’altra sarà importante che l’attuazione del PNRR – specialmente in tali settori – possa essere agevolata da una politica che recuperi una visione di lungo periodo in grado di gestire la complessità del sistema e di riconoscere e valutare gli esiti di investimenti che richiedono tempo e perseveranza. Se, per quanto riguarda l’Istruzione, i fattori chiave per migliorare l’accesso al mondo del lavoro potranno essere il potenziamento degli ITS e l’ampliamento delle competenze di base per una riduzione del tasso di abbandono scolastico, sul fronte della ricerca, invece, sarà fondamentale che non ci si limiti a costruire un sistema e un’organizzazione che stimoli il partenariato per la ricerca e lo sviluppo, ma che si affronti anche il tema – ancora senza una risposta all’altezza dell’importanza della questione – della dello status giuridico del ricercatore nelle imprese e nei centri di ricerca del settore privato per i quali lo stesso piano ha previsto un potenziamento. Senza dubbio, la “Introduzione di dottorati innovativi che rispondono ai fabbisogni di innovazione delle imprese e promuovono l’assunzione di ricercatori nelle imprese” auspicata dal documento potrà essere un’occasione per ripensare ad una piena valorizzazione della professionalità dei ricercatori e ad una tutela della professionalità stessa che risponda alle difficoltà – ancora irrisolte – nella mobilità intersettoriale nel settore della ricerca.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena