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Bollettino ADAPT 7 giugno 2021, n. 22
Il c.d. «Decreto Reclutamento» (allo stato in cui si scrive in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) introduce una importante novità per le pubbliche amministrazioni italiane: la possibilità di stipulare, seppure in deroga al regime ordinario, contratti di apprendistato, destinati a giovani neo diplomati e studenti universitari compresi i dottorandi di ricerca. L’art. 2 del Decreto-Legge (nello schema entrato nel Consiglio dei Ministri del 4 giugno) prevede infatti la possibilità di attivare, in relazione a specifici progetti di formazione e lavoro, contratti di apprendistato professionalizzante (c.d. “secondo livello”) e di alta formazione e ricerca (c.d. “terzo livello) per coinvolgere in percorsi di formazione e lavoro giovani già in possesso di diploma secondario superiore, e studenti iscritti a percorsi terziari accademici, dalla laurea fino a master e dottorato di ricerca. Gli obiettivi che il Governo intende raggiungere con questa novità sono molteplici: dall’aumento dell’attrattività della pubblica amministrazione nei confronti dei giovani, alla costruzione di percorsi di inserimento basati sulla crescita professionale delle risorse umane grazie ad un investimento sulla loro formazione e sulle loro competenze – elementi assolutamente innovativi, almeno per il lavoro pubblico italiano. L’attivazione di questi apprendistati è subordinata alla emanazione di un decreto del Ministro della funzione pubblica, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della istruzione e il Ministro della università e della ricerca e previo passaggio in Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo. 28 agosto 1997, n. 281 ed è resa possibile da uno stanziamento iniziale pari a 700 milioni.
Abbiamo dunque atteso ben dieci anni da quando, per la prima volta, il legislatore aveva previsto la possibilità di attivare contratti di apprendistato anche all’interno del lavoro pubblico, con il Testo Unico dell’apprendistato del 2011 (D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167). Quest’ultimo specificava, all’articolo 7, comma 8, che la disciplina dell’apprendistato per i settori di attività pubblici sarebbe stata contenuta in un DPCM ad hoc, su proposta dei ministeri competenti e sentite le parti sociali e la conferenza unificata Stato-Regioni, entro 12 mesi dalla entrata in vigore dello stesso Testo Unico. Nei mesi e negli anni successivi questo DPCM non ha mai visto la luce, bloccando quindi di fatto la possibilità di attivare l’apprendistato nella pubblica amministrazione. La previsione del Testo Unico del 2011 è stata replicata anche nel c.d. Jobs Act (D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81) che, all’articolo 47, comma 6, ha ripreso testualmente quanto disposto dalla precedente disciplina, eliminando però il vincolo di 12 mesi entro i quali emanare il DPCM. Anche in questo caso, la disciplina attuativa del contratto di apprendistato per il pubblico impiego non è tuttavia mai stata resa operativa.
Una occasione a lungo mancata (vedi U. Buratti, Apprendistato e PA, un’occasione mancata, in Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24 Ore, aprile 2013) che sembra finalmente essere arrivata ad un punto di svolta. Nonostante l’immobilismo che (finora) ha contraddistinto l’azione del legislatore su questa tema, era da tempo che da più parti si sottolineava l’importanza strategica di un ripensamento dei canali di accesso al pubblico impiego, un’importanza accresciuta a fronte delle sfide legate alla gestione dei progetti (e dei fondi) connessi al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: recentemente ad esempio Luigi Oliveri aveva definito l’apprendistato lo “strumento principe” (vedi L. Oliveri, Pubblica amministrazione, un reclutamento per la “next generation”, in phastidio.net, 20 gennaio 2021) su cui scommettere per modernizzare il reclutamento dei giovani nella pubblica amministrazione.
L’apprendistato non sarebbe, infatti, solamente una ulteriore fattispecie contrattuale a cui eventualmente ricorrere: esso porterebbe con sé una nuova e diversa valorizzazione della formazione e delle competenze possedute dai lavoratori della pubblica amministrazione secondo quando del resto annunciato da «Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale» dello scorso 10 marzo 2021 che dedica ampio spazio alla formazione e ai nuovi fabbisogni professionali delle amministrazioni pubbliche. La costruzione dell’apprendistato professionalizzante impone in effetti la necessità di una rinnovata attenzione alla costruzione dei profili professionali e dei sistemi di classificazione del personale operanti all’interno del pubblico impiego e delle competenze ad essi connesse, accompagnata da una necessaria strutturazione di percorsi di formazione on the job per il raggiungimento di tali qualificazioni. L’attivazione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca impone, per contro, la strutturazione di innovative sinergie tra enti pubblici e istituzioni dell’alta formazione italiana per la progettazione dei profili formativi e la gestione della alternanza tra la formazione svolta sul lavoro e quella erogata dalle Università, aprendo così le porte anche ad ulteriori e feconde contaminazioni per favorire processi di formazione continua e di ricerca.
Tutto questo per non parlare degli evidenti benefici connessi ad un ricambio generazionale di cui la pubblica amministrazione ha particolare necessità e che potrebbe così poggiare su un solido investimento sulla formazione dei giovani e sulle loro competenze, prima ancora che sul possesso di determinati titoli di studi o sul superamento di esami e prove. Infine, la presenza di questi giovani impegnati in percorsi di apprendimento duale potrebbe anche favorire una maggiore e migliore circolazione delle conoscenze all’interno dei luoghi di lavoro, data la necessaria presenza, sia nel caso dell’apprendistato professionalizzante che di quello di alta formazione e ricerca, di un robusto monte di formazione svolta direttamente sul lavoro.
Non siamo ancora alla messa a regime dell’istituto. Il Decreto Reclutamento, sul punto, opera infatti in via derogatoria e straordinaria, nelle more cioè della attuazione dell’articolo 47, comma 6, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, per il quale si dovrà aspettare il DPCM dedicato e che presuppone un non banale coinvolgimento del sindacato e, a regime, della stessa contrattazione collettiva. Anche le risorse stanziate sono, ad oggi, ancora insufficienti per favorire la definitiva affermazione di questo istituto anche nella pubblica amministrazione. Ciò nonostante, è questo un importante passo – il primo, in dieci anni – verso l’introduzione di quello che, come si è visto, non è solo un contratto tra gli altri ma un vero e proprio strumento per il ripensamento delle modalità con cui selezionare e formare i giovani in ingresso nel mondo del lavoro, per incrementare l’attrattività della pubblica amministrazione nei loro confronti, e soprattutto per investire sulle competenze e sulle professionalità dei lavoratori del pubblico impiego, un elemento cruciale e necessario sia per la ripresa economica e sociale, che per la buona gestione e messa a terra dei progetti e delle risorse del PNRR. L’augurio è che a questa, prima, sperimentazione possa far presto seguito il DPCM richiesto, che dovrà necessariamente adeguare la disciplina dell’apprendistato al lavoro pubblico, e che potrà finalmente dare alla pubblica amministrazione uno strumento formidabile per innovare (e rinnovare) la sua organizzazione e il suo ruolo all’interno della società.
ADAPT Senior Research Fellow
Ordinario di diritto del lavoro
Università di Modena e Reggio Emilia