Bollettino ADAPT 12 luglio 2021, n. 27
L’effetto Covid- 19 sulla contrattazione collettiva – in base a quanto emerge da Report Deposito contratti in data del 14 maggio scorso – ha lavorato per il re di Prussia, nel senso che ha concorso a riportare indietro la politica contrattuale, comprimendo il ruolo della contrattazione decentrata e di prossimità a favore di quella nazionale di categoria. Un esito di questo tipo non ha bisogno di spiegazioni: con le restrizioni imposte dalla crisi sanitaria, con l’esplosione della cig (anche se le stime indicato che sia stato usato solo il 40% delle ore autorizzate), con le incertezze dei mercati sui quali era difficile accedere fisicamente non occorre molta fantasia per capire la situazione; ma, da “uomini di mondo”, non possiamo far finta di dimenticare che esiste all’interno delle organizzazioni sindacali una corrente di opinione, per ora prevalente in ciascuna delle sigle confederali, che ha fortemente rivalutato la contrattazione nazionale e perciò centralizzata, fino al punto che si è riaperto il dibattito sulle modalità di estensione erga omnes del contratto di categoria. Ma vediamo i dati della distribuzione territoriale dei contratti “attivi”.
Alla data del 14 Maggio 2021 sono stati depositati, in totale, 62.421 contratti, Alla stessa data sono ancora attivi 9.439 depositi di conformità di questi, 7.244 sono riferiti a contratti aziendali e 2.195 a contratti territoriali. Degli 9.439 contratti attivi (ovviamente i dati non si sommano perché le medesime tematiche possono essere contenute in più accordi), 7.464 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 5.699 di redditività, 4.428 di qualità, mentre 1.092 prevedono un piano di partecipazione e 5.369 prevedono misure di welfare aziendale. Prendendo in considerazione la distribuzione geografica delle aziende che hanno depositato i 62.421 contratti ritroviamo che il 75% è concentrato al Nord, il 17% al Centro l’8% al Sud. Una analisi per settore di attività economica evidenzia come il 60% dei contratti depositati si riferisca ai Servizi, il 39% all’Industria e l’1% all’Agricoltura. Se invece ci si sofferma sulla dimensione aziendale otteniamo che il 52% ha un numero di dipendenti inferiore a 50, il 33% ha un numero di dipendenti maggiore uguale di 100 e il 15% ha un numero di dipendenti compreso fra 50 e 99. Per gli 9.439 depositi che si riferiscono a contratti tuttora attivi la distribuzione geografica, è la seguente 75% Nord, 16% Centro, 9% al Sud. Per settore di attività economica abbiamo 58% Servizi, 41% Industria, 1% Agricoltura. Per dimensione aziendale otteniamo 54% con numero di dipendenti inferiore a 50, 33% con numero di dipendenti maggiore uguale di 100, 13% con numero di dipendenti compreso fra 50 e 99. Analizzando i depositi che si riferiscono a contratti tuttora attivi abbiamo che il numero di Lavoratori Beneficiari indicato è pari a 2.327.501, di cui 1.913.272 riferiti a contratti aziendali e 414.229 a contratti territoriali. Il valore annuo medio del premio risulta pari a 1.298,88 euro, di cui 1.591,91 euro riferiti a contratti aziendali e 448,38 euro a contratti territoriali.
Alla data del 14 Maggio 2021 sono stati depositati 4.782 contratti di cui 3.036 corrispondenti a depositi validi anche ai fini della detassazione e 1.746 corrispondenti a depositi validi solo ai fini della decontribuzione. 1.282 depositi si riferiscono a contratti tuttora“attivi”, di cui 654 corrispondenti a depositi validi anche ai fini della detassazione e 628 corrispondenti a depositi validi solo ai fini della decontribuzione. Ed è qui che casca l’asino. Come ha fatto notare Il Sole-24 ore se nel 2018 le intese relative alla detassazione dei premi di risultato e la partecipazione agli utili sono state quasi 13mila, più di 11mila nel 2019, nel 2020 il dato si è fermato a 6,7mila, quasi la metà dell’anno precedente (nel 2021, primo semestre, sono meno di 3,5mila). Anche per quanto riguarda le intese riguardanti i premi di risultato ne restano ancora attive nel primo semestre di quest’anno circa 10mila rispetto alle 13mila del giugno del 2019.
In tale poco gratificante contesto il Report si avventura nel campo minato dei contratti di prossimità, dei quali fornisce una definizione: si tratta di Contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, che possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali. Le intese possono riguardare la regolazione di specifiche materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con riferimento a : a) impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie; b) mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale; c) contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) disciplina dell’orario di lavoro; e) modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.
Lo strumento offre alle imprese la possibilità di derogare entro certi limiti alle disposizioni di legge e di contratto collettivo per adeguarle alle condizioni e alle esigenze di organizzazione del lavoro di ciascuna azienda, fermo restando il rispetto della Costituzione, della normativa comunitaria e delle Convenzioni internazionali. I lettori avranno già capito che il riferimento riguarda la contrattazione di prossimità ex art. 8 D.L. 138/2011, convertito in L.148/2011 e s.m.: la “norma Sacconi” sulla quale venne emessa una fatwa della Cgil, a cui si adeguarono sia le altre organizzazioni sia la Confindustria, anche a costo di provocare così l’uscita della Fiat. Anche se la fatwa è ancora operante, quale contratto di prossimità è riuscito a forzare il blocco.
Alla data del 14 Maggio 2021 sono stati depositati 792 contratti. Prendendo in considerazione la distribuzione geografica, per ITL competente, delle aziende che hanno depositato i 792 contratti, questa risulta essere pari al 42% concentrata al Nord, il 18% al Centro, il 40% al Sud. Solo la Lombardia supera il centinaio di contratti depositati. Al Sud rileva il dato della Campania 84 e della Sicilia 76. Al Centro rileva il dato del Lazio 77.
Riguardo al settore di attività economica, il maggior numero dei contratti depositati riguarda aziende operanti nel settore Servizi 64%, a seguire Industria 35% e Agricoltura con l’1% dei contratti depositati.
Membro del Comitato scientifico ADAPT