ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui
Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it
Bollettino ADAPT 12 luglio 2021, n. 27
È iniziata lo scorso 28 giugno la discussione alla Camera riguardante la proposta di legge sulla “Ridefinizione della missione e dell’organizzazione del Sistema di istruzione e formazione tecnica superiore in attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che organizza in un Testo Unico approvato dalla Commissione Cultura sei diversi proposte di legge. Non si tratta quindi di una vera e propria “riforma”, che pure è il termine utilizzato anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per identificare una delle azioni necessarie per lo sviluppo del sistema terziario non accademico italiano, ma di un testo che eleva al rango di norma primaria la disciplina riguardante il sistema di Istruzione Tecnica Superiore italiano, finora frammentata in numerosi decreti che si sono stratificati disordinatamente negli ultimi 13 anni.
Da “semplici” ITS ad Academy?
Proprio un riferimento al PNRR si legge in apertura della relazione alla proposta, che sottolinea l’importanza di disporre di figure tecniche adeguatamente formate e dotate di competenze abilitanti per gestire le trasformazioni in atto, in particolare le transizioni green e digital. Non serve qui ricordare l’importanza ricoperta dai profili tecnici e intermedi quale elemento necessario per la corretta adozione di nuove tecnologie e nuove forme di organizzazione del lavoro, un compito che i percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) e gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) hanno adeguatamente svolto negli ultimi anni, nonostante una loro ancora limitata capacità attrattiva e il conseguente ridotto numero di giovani coinvolti in questi percorsi. Proprio per migliorare l’attrattività e la riconoscibilità del sistema, lo stesso articolo 1 della proposta interviene su un elemento da più voci sottolineato come problematico, in riferimento agli ITS: il nome. Troppo spesso confusi con gli ITIS (anche dallo stesso Draghi durante il suo discorso inaugurale al Senato), gli ITS diventano “Accademie per l’istruzione tecnica superiore (ITS Academy)”. La scelta sembra quindi andare, da una parte, verso la valorizzazione della dimensione terziaria degli ITS, utilizzando il termine “accademia” – che però nell’accezione inglese di academy rimanda a percorsi di formazione esclusivamente aziendale, in ciò potenzialmente generando ulteriore confusione – e, dall’altra, di mantenimento dell’attuale acronimo nell’intento di evidenziare una continuità con il presente. Questa soluzione di mezzo non convince, fallisce nel conseguire entrambi gli obiettivi: da una parte non riesce a trasmettere un messaggio comprensibile a riguardo della natura terziaria (ma non accademica!) del percorso; dall’altra non supera l’ambiguità del riferimento all’istruzione tecnica (scorretta anche contenutisticamente, visto che vi sono ITS in materie che solitamente non rientrano nella classificazione “tecnica”). Più interessante sarebbe stato invece un riferimento ai mestieri, alla professionalità, alla specializzazione (“laboratori di alta specializzazione”, “scuole superiori dei mestieri” etc…), superando infine anche l’identificazione del titolo finale con il “diploma”, che non poco confonde giovani e famiglie.
Le aree tecnologiche
La proposta di legge interviene anche sulle aree tecnologiche, gli ambiti e i profili del sistema ITS prevedendo l’emanazione di un decreto dedicato. Pur dovendo quindi attendere quest’ultimo atto per una valutazione di merito, non si comprende fino in fondo la ragione di una tale innovazione: le attuali sei aree tecnologiche sembrano già coprire, in maniera adeguata, le specializzazioni presenti nel tessuto produttivo italiano: inoltre, è cruciale che tale decreto non vada a togliere la libertà – che pure sembra essere messa in discussione dalla proposta di legge – delle singole fondazioni di personalizzare i profili in uscita in base alle specifiche esigenze del settore con cui collaborano. Il rapporto simbiotico con il mondo del lavoro, presente già nella governance delle fondazioni e operativo in fase di rilevazione dei fabbisogni e loro sistematizzazione nei percorsi formativi, è uno dei punti di forza del sistema ITS che non va assolutamente annacquato con l’adozione di figure standard e immutabili, stabilite a livello nazionale o regionale.
Livelli EQF e filiera dell’alta formazione tecnica
L’articolo 5 interviene sugli standard minimi dei percorsi formativi, ribadendo l’attuale strutturazione in corsi biennali o triennali e il relativo monte ore, specificando però (questa è una novità) che i primi sono percorsi ITS “di primo livello”, mentre i secondi “di secondo livello”. È confermato che i titoli conseguiti al termine dei percorsi biennali sono collocati al 5° livello EQF, mentre quelli dei percorsi triennali al 6°. Attualmente il titolo di studio conseguito è lo stesso: la proposta intende diversificarli, una novazione che andrà approfondita anche con riferimento al fatto che questi titoli saranno riconosciuti come abilitanti per l’accesso al concorso per l’insegnamento tecnico-pratico e, in generale, per l’accesso ai pubblici concorsi, in coerenza anche con le recenti riforme sulla materia del Ministero della Pubblica Amministrazione.
Non si comprende, ad una prima lettura, se la ratio dell’intervento sia quella di marcare maggiormente la distinzione tra percorsi biennali e triennali per favorirne la riconoscibilità (anche in termini di livello EQF) o quello di introdurre una frattura tra i due, ad esempio limitando l’accesso a determinati professioni ai percorsi di secondo livello o indicandoli come di esclusiva competenza di alcune fondazioni. Di certo, qualora la legge fosse approvata, avremmo la (interessante) novità di un titolo di studio terziario non accademico parificato al livello delle lauree triennali.
Come criterio di accesso al sistema ITS viene confermato il possesso del diploma di istruzione secondaria superiore o il certificato IFTS, quest’ultimo non più necessariamente in un ambito tecnologico coerente con quello dell’ITS. Questa è una novità positiva. Ancor più coraggiosa culturalmente sarebbe però stata l’apertura delle porte degli ITS anche ai diplomati quadriennali, funzionale a creare una vera filiera professionalizzante (anche) non scolastica e accademica, accorciando di un anno il percorso secondario superiore e di un ulteriore anno quello terziario (come già accade in altri Paesi). È opportuno anche ricordare che in molte regioni italiane non esiste il canale della Istruzione e Formazione Professionale (erogata in sussidiarietà dalle scuole professionali) e, ancor più, non esiste una offerta di corsi IFTS che permettano di svolgere il quinto anno necessario per l’accesso agli ITS conseguendo un titolo di studio coerente.
In questo processo di equiparazione al sistema scolastico e universitario, viene inoltre previsto che le fondazioni ITS siano autorizzate alla intermediazione, dalla quale fino ad oggi erano escluse – a differenza di scuola e università. Conseguentemente, viene loro imposto di mettere a disposizione, per almeno 12 mesi, i CV dei propri diplomati.
Il dialogo con i contratti collettivi e il mondo del lavoro
Sarebbe stato interessante introdurre all’articolo 5, comma 4, lettera d, dove si prevede un’organizzazione didattica dei percorsi per moduli, “intesi come insieme di competenze, autonomamente significativo, riconoscibile dal mondo del lavoro come componente di specifiche professionalità”, un aggancio o almeno un possibile collegamento con i sistemi di classificazione del personale e di inquadramento realizzati dalla contrattazione collettiva. La didattica degli ITS si contraddistingue infatti per un forte legame con l’esperienza pratica e con i fabbisogni espressi dal mondo del lavoro: “sfidare” le relazioni industriali a portare il livello di collaborazione fino al punto di cogliere questa opportunità per ridisegnare i sistemi di inquadramento – o almeno alcuni profili – ragionando in termini di competenze, ruoli, profili e non solo mansioni sarebbe un’occasione preziosa per l’innovazione del mondo della rappresentanza italiano.
Soffermandoci su quelle che sono le innovazioni in ambito didattico, si conferma che il 30% del monte ore totale deve essere svolto in stage – anche all’estero – e si specifica che questi periodi devono essere “adeguatamente sostenuti da borse di studio”. Anche in questo caso non è chiaro chi dovrà corrispondere queste borse ai tirocinanti e se debbano obbligatoriamente essere riconosciute. L’onere ricadrà presumibilmente sui datori di lavoro, che avranno quindi un aggravio dei costi sostenuti a margine della collaborazione con il sistema ITS, dato che oggi per i tirocini curriculari non vige l’obbligo di corrispondere l’indennità (e non sono certo indennizzati i PCTO scolastici né i tirocini universitari!).
Coerente con la volontà di avvicinamento al mondo del lavoro appare la modifica introdotta a proposito della percentuale minima di docenti provenienti dal tessuto produttivo, che passa dal 50% al 60%, anche per adeguarsi alle premialità corrisposte a fronte di un coinvolgimento minimo pari al 65%, che hanno fatto sì che ad oggi la media di ore di formazione svolte da professionisti si attesti attorno al 71%. Se questo innalzamento è quindi giustificato dalla osservazione della realtà, mal si comprende la contradditoria introduzione di una quota – pari al 20% – di docenti provenienti dal mondo dell’istruzione, della formazione, dell’accademia o della ricerca. Si vuole comunque “preservare” un nucleo minimo di lezioni svolte da professionisti della formazione? Così facendo, sembra tacitamente affermarsi che le ore svolte da docenti provenienti dal mondo del lavoro – che in alcuni casi raggiungono anche il 90% del totale – non siano sufficienti, da sole, a garantire il rispetto degli standard formativi dei percorsi.
Politiche attive e riqualificazione degli adulti
È interessante sottolineare, in più parti del testo, il rimando al legame tra ITS, politiche attive, formazione e riqualificazione degli adulti. Si specifica infatti che la strutturazione oraria dei percorsi può essere modificata così da favorire la partecipazione di lavoratori occupati e viene auspicata “la promozione di organici raccordi con gli enti che si occupano della formazione continua dei lavoratori nel quadro dell’apprendimento permanente per tutto il corso della vita”. Sembra quindi che, da una parte, si preveda la realizzazione di corsi ITS (finalizzati quindi al diploma di tecnico superiore) anche per lavoratori adulti, occupati o disoccupati, attraverso la costruzione flessibile dei percorsi e il riconoscimento delle competenze già acquisite e, dall’altra, lo sviluppo di percorsi di formazione degli adulti realizzati dagli ITS in partnership con altri enti che si occupano della formazione continua. All’articolo 8 viene però specificato che solo attraverso patti federativi con il sistema accademico gli ITS, sentite le parti sociali e quindi tramite ulteriori accordi, possono occuparsi della formazione dei lavoratori, dei disoccupati o dei lavoratori in cassa integrazione. Sembra quindi che, delle due tipologie di percorso sopra ricordate, solo i corsi ITS rimarranno di esclusiva responsabilità delle fondazioni, anche quando riguarderanno gli adulti e gli occupati, mentre per occuparsi di formazione continua gli istituti dovranno necessariamente procedere alla sottoscrizione di patti federativi con le università e coinvolgere (comprensibilmente) le parti sociali nella progettazione dei percorsi e soprattutto nell’individuazione dei destinatari.
L’accreditamento delle fondazioni
Ulteriore novità riguarda il sistema di accreditamento delle fondazioni. Attualmente la procedura avviene attraverso un riconoscimento da parte delle regioni, a seguito dell’emanazione di specifici bandi. La proposta di legge introduce invece un sistema nazionale, con degli standard minimi che saranno dettagliati in un successivo decreto. Non appare però possibile superare la competenza legislativa regionale in materia e quindi l’obbligo di autorizzazione anche locale. Sembra quindi profilarsi un sistema di autorizzazione/accreditamento misto similare a quello che già si osserva proprio nell’ambito delle politiche attive del lavoro. L’accreditamento avrà una durata quinquennale ed è condizione necessaria per il godimento dei fondi pubblici dedicati al sistema ITS, è inoltre vincolato alle performance di ogni fondazione: se almeno il 50% dei corsi valutati dal monitoraggio nazionale nelle rispettive annualità del triennio precedenti ottengono un giudizio negativo, l’accreditamento viene revocato. Questa misura è quindi direttamente connessa al sistema di valutazione e monitoraggio nazionale, a cui è dedicato il capo IV della proposta di legge, e che va ad incrementare le attività poste in capo all’INDIRE in quest’ambito. Un sistema di valutazione che, necessariamente, dovrò riuscire a rinnovare anche i suoi stessi criteri di giudizio, riuscendo ad intercettare le specificità operative di ogni fondazione.
ITS e Università
Il testo in discussione interviene anche su un nodo particolarmente critico, quello del rapporto tra ITS e Università, all’articolo 8. Ad esso andrebbe dedicato un approfondimento specifico, data la molteplicità di temi e di problematiche che solleva. Sostanzialmente si prevede la possibilità per ITS e Università di stipulare “patti federativi” ai sensi della legge 240/2010, per il conseguimento di “lauree ad orientamento professionalizzante”, con un sistema di passarelle che permetta ai giovani diplomati di “transitare” nel sistema terziario accademico. Non si comprende se qui il riferimento è generico o all’istituto delle lauree professionalizzanti. Il grande rischio sotteso a quest’articolo, così come è attualmente formulato, è quello di rendere i percorsi ITS “propedeutici” all’ingresso nel mondo dell’università, minandone alla base la riconoscibilità e l’autonomia. Una gerarchizzazione culturale, prima che tecnica, che potrebbe incoraggiare scelte opportunistiche verso gli ITS nella attesa di compiere il passaggio alla formazione terziaria universitaria, con relativo riconoscimento dei crediti. Ovviamente, così come altri passaggi dell’attuale proposta di legge, molti dipenderà dal contenuto dei decreti adottati.
L’esclusione del sindacato dalla governance micro e macro
Viene inoltre previsto un Coordinamento nazionale del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore (che quindi ricomprende sia ITS, che IFTS), dal quale è escluso il sindacato. Fino ad oggi il Decreto interministeriale 713/2016, che introduceva la Commissione nazionale per il coordinamento dell’offerta formativa del sistema ITS coinvolgeva invece, direttamente, le parti sociali. L’attuale proposta invece si limita a considerare le associazioni datoriali e gli organismi paritetici. Quella del sindacato, già non presente come protagonista obbligatorio delle fondazioni, è una assenza ingiustificata: se si vuole caratterizzare questi percorsi per la vicinanza al mondo del lavoro, è doveroso aprirne almeno il monitoraggio e coordinamento alla rappresentanza dei lavoratori. Il ruolo del nuovo Coordinamento è cruciale per l’affermazione del sistema, perché oltre a doversi occupare del raccordo con il mondo delle politiche attive, di rilevare i fabbisogni espressi in termini di competenze innovative e di professionalità richieste per la “messa a terra” degli investimenti tecnologici legati al PNRR, promuoverà anche azioni di orientamento di orizzonte nazionale, finalizzate a migliorare la conoscenza del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore e dei suoi strumenti, tra cui l’apprendistato duale.
Infine, ulteriore novità presente nel testo di legge è la realizzazione di campus multiregionali – che raggruppano ITS della stessa area tecnologica, ma di regioni diverse – o multisettoriali – cioè di aree tecnologiche differenti, per provare a realizzare delle reti di collaborazione sia a livello territoriale, che settoriale. Viene poi specificato, in merito al sistema di finanziamento del sistema, che risorse saranno specificatamente dedicata alla realizzazione di nuove sedi, di nuovi laboratori all’avanguardia e di campus: investimenti infrastrutturali per un sistema che ancora poggia, nei casi di eccellenza, sulla sola disponibilità del mondo delle imprese. Non vi sono invece indicazioni in merito alle risorse del PNRR, perché quelle stanziate dalla proposta si riferiscono a quelle già previste dalle precedenti leggi di bilancio. Viene confermato l’obbligo regionale del cofinanziamento di almeno il 30% delle risorse destinate al sistema ITS, il quale riceverà direttamente dal livello centrale i finanziamenti, “saltando” la spartizione su base regionale dei fondi ancora oggi operativa.
Non sono presenti novità significative in merito ai percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore, ai quali la proposta di legge dedica scarsa attenzione, nonostante siano diverse le esperienze interessanti e realmente innovative realizzatesi nelle (poche) regioni che hanno deciso di scommettere su questo canale. Non sembra più prevista la necessaria costituzione di un Associazione Temporanea di Scopo per gli enti formativi che vogliano offrire percorsi ITS, i quali dovevano necessariamente coinvolgere un determinato numero di soggetti esterni, realizzando uno sforzo non banale organizzativamente. Rimane invece confermato che le fondazioni ITS, nella loro autonomia, possono da sole erogare anche percorsi di IFTS.
Le reazioni al progetto di legge
I primi commenti a proposito di questa proposta di legge non si sono fatti attendere. Confindustria, con le parole del suo Presidente Carlo Bonomi ha dichiarato che “la riforma del Parlamento sull’Its tutto è tranne che una riforma. Auspico che il dibattito parlamentare si fermi, rifletta e faccia una riforma che pensi ai ragazzi”. Toni simili sono stati utilizzati da Gianni Brugnoli, Vicepresidente di Confindustria per il Capitale Umano. La Conferenza delle Regioni ha espresso, per voce del suo Presidente Massimo Fedriga e del Coordinatore della commissione Istruzione Claudio Di Berardino “preoccupazione” per una riforma non condivisa con le regioni, chiedendo l’apertura di un confronto. CGIL, CISL e UIL hanno condiviso un documento unitario, con osservazioni e proposte per il migliorante del testo presentato. Se i primi interventi alla Camera attestano un consenso politico trasversale, fuori dalle mura dal Parlamento le prime osservazioni sono fortemente critiche.
Prime considerazioni di metodo e di merito
La proposta in oggetto è complessa, prevede l’emanazione di ben 14 decreti che dovranno essere adottati, nei prossimi mesi, per implementare le novità introdotte dalla “riforma”, e su di essa non è ancora intervenuto lo stesso Ministro Bianchi: ciò nonostante possono essere avanzate, in questa fase embrionale, un’osservazione di metodo e una di merito.
Per quanto riguarda la prima, attualmente la proposta sembra scontentare tutti, tranne i parlamentari che l’hanno presentata: è plausibile prevedere, quindi, che il testo sarà modificato, auspicabilmente anche cogliendo i suggerimenti dei soggetti determinanti per il successo del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore, Regioni e Parti Sociali su tutti. Non è nemmeno da escludere la possibilità che vengano presentate delle controproposte, pur essendo quello in commento già un testo che unisce e media tra diversi disegni di legge: sembra però necessaria un’ulteriore fase di ascolto e valorizzazione del ruolo degli stakeholder che, nei più di 10 anni di sperimentazione del sistema ITS, hanno contribuito al raggiungimento degli importanti risultati – soprattutto in termini di placement – annualmente certificati dal monitoraggio INDIRE. Certo, questi dati non possono essere sempre e ricorrentemente utilizzati dalle fondazioni per giustificare le proprie azioni o per nascondere ciò che non funziona. È d’altra parte statisticamente più semplice ottenere performance occupazionali positive quando il numero degli studenti coinvolti in tutto il Paese è minore di quello degli iscritti a una manciata di poli scolastici delle grandi città. La sfida è proprio questa: traghettare gli ITS fuori dalla marginalità istituzionale nella quale sono ora confinati. Un isolamento che da una parte può diventare una ottima comfort zone, ma dall’altra non permette a migliaia di giovani di conoscere un canale formativo che pure sarebbe fondamentale per un Paese come il nostro. Perché gli ITS diventino sistema c’è bisogno di una reimpostazione normativa, a patto che questa sia costruita senza veti ideologici.
Per quanto invece riguarda invece il merito, la tentazione nella quale è fondamentale non cadere è quella di piegare il sistema ITS (e gli IFTS) alle esigenze delle singole imprese: questo sistema deve essere al servizio dei mestieri, delle professionalità, con figure di riferimento costruite su base settoriale o intersettoriale ma comunque grazie ad un attento lavoro di sintesi e armonizzazione dei fabbisogni espressi dal mondo produttivo, promuovendo così l’occupabilità dei giovani – ben oltre i bisogni delle singole imprese – e la collaborazione, ad ampio raggio, tra sistema formativo e produttivo.
ADAPT Senior Research Fellow
Presidente ADAPT
Associazione per gli studi sulle relazioni industriali e di lavoro