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Bollettino ADAPT 27 settembre 2021, n. 33
In un recente contributo, dal titolo “Fissured employment and network bargaining: emerging employment relations dynamics in a contingent world of work”, pubblicato su Industrial and Labor Relations Review, Mark Anner, Matthew Fischer-Dalt e Michael Maffie suggeriscono un nuovo approccio per le relazioni industriali, che focalizzi i rapporti di lavoro diretti e indiretti che si sviluppano lungo e dentro le Catene globali del valore. La “Contrattazione a rete” (“Network bargaining”) nasce a fronte della diffusione crescente della frammentazione, su scala nazionale e internazionale, della produzione e la riorganizzazione globale delle aziende che ne è conseguita. Cambiamenti profondi che sollecitano un adeguato aggiornamento anche delle relazioni industriali i cui paradigmi non possono più essere fondati unicamente sui rapporti diretti e bilaterali tra azienda e lavoratori.
Secondo la ricostruzione operata dagli autori, i principali modelli sul funzionamento delle relazioni industriali consolidatosi nel Novecento si basavano su una concezione delle aziende e delle organizzazioni sindacali come strutture capaci di risolvere i rispettivi problemi di coordinamento attraverso un’organizzazione rigidamente gerarchica della produzione e della rappresentanza. A partire dagli anni ’80, tuttavia, le trasformazioni economiche che hanno dato origine alle Catene globali del valore hanno portato le imprese a concepirsi all’interno di costellazioni più ampie di organizzazioni con cui condividere le proprie decisioni economiche. L’approvvigionamento di manodopera, ad esempio, ha iniziato ad essere esternalizzato a organizzazioni terze, così come la fornitura di materie prime e l’esecuzione di alcune fasi della produzione, comportando complesse dinamiche di potere e forti asimmetrie tra i vari snodi delle singole filiere produttive. Conseguentemente, evidenziano gli autori, l’impresa non costituirebbe più “l’unità centrale di analisi” delle relazioni industriali, perché all’interno delle Catene o Reti del valore, il potere si trova distribuito asimmetricamente tra tutti gli attori coinvolti, con effetti importanti sulla governance collettiva del lavoro.
A fronte di questo rinnovato contesto di azione, alcune organizzazioni sindacali si sarebbero adattate sviluppando e approfondendo coalizioni con vari attori della società civile e non solo (consumatori, autorità pubbliche, organizzazioni non governative, ecc.) per allargare il perimetro del conflitto e trovare nuove leve di potere. In virtù di questi tentativi di espansione del fronte sindacale, si delineerebbero due nuovi modelli di relazioni industriali e confronto tra capitale e lavoro: la “Contrattazione ad Accerchiamento” (“Envelopment bargaining”) e la “Contrattazione a Rete” (“Network bargaining”). La prima evolve nella seconda da un lato, quando la leadership della contestazione non è più in capo a una singola organizzazione sindacale ma è diffusa tra tutti i soggetti che animano la coalizione del lavoro, e dall’altro, quando la controparte non è più la singola azienda ma l’intera organizzazione “a rete” dove datori di lavoro diretti e indiretti intrecciano relazioni. L’obiettivo ambizioso della Contrattazione di Rete, contando sul potere simbolico e associativo che le contestazioni sul lavoro sono in grado di evocare, è quindi la sottoscrizione di accordi vincolanti per tutte le imprese che animano il network.
L’alternativa a questi sforzi, secondo gli autori, sarebbe rappresentata dal modello della “Contrattazione a dispersione” (“Dispersion bargaining”), in base al quale, le organizzazioni sindacali, organizzate verticalmente secondo la vecchia logica fordista, non riescono a raggiungere i loro obiettivi di fronte a un datore di lavoro, che sfugge al controllo delle istituzioni nazionali a tutela del lavoro, sviluppando la propria azione lungo catene organizzative e produttive che fuoriescono dai confini dei singoli stati. Si produrrebbe così una mancata corrispondenza tra il potere contrattuale delle imprese (organizzato e diffuso su reti flessibili nazionali e internazionali) e quello dei lavoratori (fissi nei singoli stabilimenti e limitato a specifici territori dentro i confini nazionali).
Nonostante la mancanza di sostegno statale, il modello della “Contrattazione a rete”, secondo gli autori, avrebbe avuto una buona diffusione negli ultimi anni, affiancando la contrattazione di stabilimento e di settore che sono ancora maggioritarie in Europa e negli Stati Uniti. Un caso in agricoltura sarebbe stato trainato dalla “Coalition of Immokalee Workers” (CIW), che, fondata nel 1993 come una comunità di lavoratori agricoli, ha crescentemente impiegato il linguaggio della protezione dei diritti umani per coinvolgere più persone e organizzazioni della società civile nella sua battaglia per il miglioramento delle condizioni di lavoro nel settore. Così facendo, è riuscita nella costituzione una vera e propria Alleanza di filiera per il cibo equo (“Fair Food Alliance”), unica nel suo genere, nell’ambito della quale sono stati sottoscritti accordi vincolanti che hanno impegnato diverse imprese della distribuzione alimentare ad acquistare prodotti solo da aziende agricole sostenibili e a garantire riconoscimenti economici e tutele collettive per i lavoratori. Nei momenti più intensi della protesta, la coalizione sociale aveva anche condotto boicottaggi contro i ristoranti e i negozi di alimentari che acquistavano pomodori dai datori di lavoro dei lavoratori in sciopero e aveva intrapreso azioni pubbliche contro aziende come McDonald’s, Burger King, Trader Joe, Publix ecc.
Il contributo di Anner, Fischer-Dalt e Maffie contribuisce quindi a fare luce su un ambito della ricerca scientifica sulle relazioni industriali, che merita ulteriori approfondimenti: come cioè i lavoratori e le organizzazioni collettive che rappresentano i loro interessi possano sfruttare il nuovo contesto organizzativo globale per portare avanti le proprie istanze. La “Contrattazione a rete” si dimostra una frontiera interessante e promettente di esplorazione, anche se non mancano limiti e difficoltà, che la rendono ancora inefficace nel controbilanciare appieno il potere datoriale. Molte sperimentazioni non riescono a coinvolgere consumatori, investitori e autorità pubbliche; altre rischiano di dissolversi nel tempo proprio per il loro carattere informale e la mancanza di leadership. Problemi di coordinamento e coesione tra i lavoratori, sono poi favoriti anche dalle barriere etniche, religiose e linguistiche all’organizzazione collettiva e alla condivisione di interessi. Si tratta, infine, di iniziative che lanciano non poche sfide alle organizzazioni di rappresentanza tradizionali, chiamate a fare i conti, oltre che con una dispersione crescente del potere datoriale, articolato in complesse catene di produzione, anche con una diminuzione dei tassi sindacalizzazione in diversi paesi occidentali e l’ascesa di movimenti spontanei di protesta e aggregazione.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
Università degli Studi di Siena