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Bollettino ADAPT 28 febbraio 2022, n. 8
Il decreto-legge n. 1 del 2022 ha introdotto una significativa novità per quanto riguarda la gestione del COVID-19 all’interno dei luoghi di lavoro. Ormai dal 15 febbraio del 2022, i lavoratori ultracinquantenni non possono infatti accedere ai locali aziendali senza il c.d. “Green Pass rafforzato”, ossia la certificazione di avvenuta vaccinazione o di avvenuta guarigione dal Covid-19 attualmente necessaria per svolgere la maggioranza delle attività culturali e sociali all’interno del territorio nazionale (art. 4-quinquies, decreto-legge n. 44 del 2021), fatta eccezione per coloro che sono esenti dalla vaccinazione contro il Covid-19 (da oggi necessariamente in possesso del certificato di esenzione ex art. 3, DPCM 4 febbraio 2022 in formato digitale). Il lavoratore ultracinquantenne che non esibisce la certificazione rafforzata al momento dell’ingresso in azienda sarà considerato assente ingiustificato (con conservazione del posto di lavoro e senza conseguenze sul piano disciplinare), mentre, se tale mancanza fosse scoperta durante la presenza in azienda, gli sarà comminata una multa da 600 a 1500 euro, fermo restando la possibilità di disporre di sanzioni disciplinari (per una panoramica più ampia relativamente alle nuove misure per il contrasto alla pandemia da COVID-19, vedi G. Benincasa, G. Piglialarmi, Le nuove misure di sicurezza per la gestione del Covid-19: molti dubbi e poche certezze, Bollettino ADAPT 10 gennaio 2022, n. 1).
Sul punto, merita effettuare una riflessione su almeno due ordini di problemi, che stanno affiorando in queste settimane: il controllo dei lavoratori agili e i profili di privacy.
In primo luogo, appare necessario evidenziare che, nonostante l’adibizione al lavoro agile (o smart working emergenziale) l’obbligo di vaccinazione ai sensi dell’art. 4-quater, decreto-legge n. 44 del 2021 introdotto per i soggetti c.d. “over 50”, trova comunque applicazione in quanto non dipende dallo status di “lavoratore” ma opera per tutti i cittadini (e stranieri ad alcune condizioni disciplinate dalla normativa di riferimento). Pertanto, il cittadino, anche lavoratore – sebbene in modalità agile – potrà essere controllato dall’Agenzia delle Entrate tramite incrocio dei dati previsti dalla legge ed essere sanzionato per l’eventuale inadempimento.
Un discorso diverso lo dobbiamo fare, invece, per l’obbligo del Super Green Pass (art. 4-quinquies del d.l. richiamato), che opera su un piano diverso, all’interno ambiente lavorativo, e costituisce lo strumento grazie al quale il datore di lavoro può verificare il rispetto della disciplina da parte dei lavoratori. Infatti, la disposizione in parola stabilisce che “per l’accesso ai luoghi di lavoro nell’ambito del territorio nazionale, devono possedere e sono tenuti a esibire una delle certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione di cui all’articolo 9, comma 2, lettere a), b) e c-bis) del decreto-legge n. 52 del 2021”. Non solo. Viene inoltre specificato che i datori di lavoro “sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni di cui al comma 1 per i soggetti sottoposti all’obbligo di vaccinazione di cui all’articolo 4-quater che svolgono la propria attività lavorativa nei rispettivi luoghi di lavoro. Le verifiche delle certificazioni verdi COVID-19 di cui al comma 1 sono effettuate con le modalità indicate dall’articolo 9, comma 10, del decreto-legge n. 52 del 2021”.
E dunque, dato che le modalità di verifica con cui il datore di lavoro deve controllare il possesso del Super Green Pass (e non della effettuazione della vaccinazione!) da parte dei lavoratori sono quelle note ai sensi dell’art. 9, comma 10, dl 52/2021 (cioè mediante l’App del Governo “VerificaC19” e/o tramite le piattaforme individuate dal Governo), sembrerebbe ragionevole ritenere che tale verifica possa essere fatta soltanto per l’accesso ai luoghi di lavoro (da cui dovrebbero essere esclusi residenza e domicilio o comunque abitazioni private). Pertanto, il datore di lavoro non potrebbe verificare il possesso del Super Green Pass per i lavoratori in modalità agile, fermo restando che tale istituto non potrebbe altresì essere utilizzato in via elusiva e strumentale.
E ancora, non appare nemmeno praticabile l’ipotesi di fruire di assenza ingiustificata in alcuni giorni, nei quali il lavoratore dovrebbe recarsi in azienda per poi, successivamente, tornare in regime di lavoro agile. Se infatti il contrario – fermo restando che l’istituto del lavoro agile, come già ricordato, non può essere utilizzato in via strumentale per evitare di adempiere alla normativa richiamata – appare oggi possibile (e cioè restare in regime di lavoro agile senza essere sottoposti al controllo sul possesso del Green Pass fino a quando accedendo al luogo di lavoro non si accerti la mancanza della certificazione verde e dunque, di conseguenza, la assenza ingiustificata), non pare praticabile tornare in modalità agile dopo aver accertato la suddetta condizione di assenza ingiustificata. Ed invero, l’art. 4-quinquies, comma 4 prevede che tali lavoratori “sono considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, fino alla presentazione della predetta certificazione, e comunque non oltre il 15 giugno 2022”. Pertanto, anche in linea con la ratio della normativa emergenziale diretta a incentivare la vaccinazione delle persone, pare ragionevole sostenere che, nel momento in cui viene constatata l’assenza ingiustificata, il lavoratore interessato dovrà essere considerato tale fin quando non presenterà l’avvenuta certificazione di vaccinazione o, ad oggi, fino al 15 giugno 2022.
In secondo luogo, una riflessione a parte deve essere effettuata sui profili di privacy. Ed invero, il datore di lavoro, deputato al controllo delle menzionate certificazioni, sarà dunque certo che tutti i lavoratori ultracinquantenni (fatta eccezione per alcuni settori in cui l’obbligo di vaccinazione è previsto a prescindere dall’età dei lavoratori) presenti all’interno dei propri locali aziendali siano in regola con le vaccinazioni da COVID-19 o siano recentemente guariti dall’infezione. Tuttavia, così come avveniva quando la certificazione necessaria per l’accesso ai luoghi di lavoro era il cosiddetto Green Pass “base” (potenzialmente derivante anche da tampone molecolare o antigenico), è da notare come le modalità di controllo da parte del datore di lavoro possano facilmente consentirgli di verificare qualora il lavoratore abbia completato o meno il ciclo vaccinale.
L’articolo 9-quinquies, comma 5, del decreto-legge n. 52 del 2021, attualmente infatti prevede che i lavoratori possano scegliere di consegnare il Green pass al datore di lavoro, al fine di essere esonerati dagli “ordinari” controlli periodici sulla propria certificazione verde, effettuati tramite l’app VerificaC19 o l’apposita piattaforma INPS, per tutta la durata della stessa. Ed è proprio la durata della validità della certificazione (che tuttavia non è riportata all’interno della certificazione verde ma che potrebbe essere evinta, giorno dopo giorno, dai controlli effettuati) che potrebbe facilmente rivelare al datore di lavoro lo status vaccinale del lavoratore: sebbene in seguito all’emissione del decreto-legge n. 5 del 2022, la durata del Green Pass rafforzato derivante da guarigione da COVID-19 sia stata parzialmente uniformata a quella del certificato derivante da vaccinazione, sussistono ancora alcune differenze, principalmente legate al completamento o meno del ciclo vaccinale. Ad esempio, se il Green Pass rafforzato rilasciato in seguito alla somministrazione della dose di richiamo attualmente non ha alcuna scadenza (art. 9, comma 3, decreto-legge n. 52 del 2021), quello rilasciato al soggetto non vaccinato che però abbia contratto l’infezione da COVID-19 ha invece durata semestrale (art. 9, comma 4, decreto-legge n. 52 del 2021), equiparando dunque soltanto chi ha ricevuto la c.d. dose booster a chi, completato il ciclo di vaccinazione primario, è successivamente guarito dall’infezione da Covid-19.
Tutto ciò potrebbe creare significativi problemi in termini di protezione dei dati personali, come già segnalato a suo tempo da una nota del Garante della privacy emessa nel novembre 2021. Innanzitutto, deve essere specificato che i dati sanitari appartengono a quelle “categorie particolari di dati personali” elencate dall’articolo 9 del GDPR (Regolamento 679/2016), i quali, data la loro particolare sensibilità, necessitano di un elevato livello di protezione, soprattutto nel contesto dei luoghi di lavoro: questo, data l’intrinseca disparità di potere contrattuale sussistente tra datore e lavoratore, la quale potrebbe inficiare la genuinità del consenso dato dal lavoratore al loro trattamento. Inoltre, è da considerare come ai sensi della vigente normativa giuslavoristica, al datore di lavoro dovrebbe essere preclusa la conoscenza di condizioni soggettive peculiari dei lavoratori se non attraverso la figura del Medico Competente, come ad esempio, la loro situazione clinica, perché non rilevante al fine della valutazione della loro attitudine professionale (art. 5, art. 8 Statuto dei Lavoratori).
Anche prima dell’introduzione del Green Pass come requisito di accesso ai luoghi di lavoro, peraltro, il Garante si era più volte pronunciato per quanto concerne l’accesso dei dati personali dei lavoratori connessi alle misure di prevenzione del contagio da COVID-19 da parte del datore di lavoro, in particolare la vaccinazione, al fine di evitare che si potessero creare situazioni potenzialmente discriminatorie (per ulteriori informazioni sul punto, vedi G. Benincasa, D. Porcheddu, Vaccinazione nei luoghi di lavoro: qualche chiarimento in materia di privacy e trattamento dei dati personali, Bollettino ADAPT 17 maggio 2021, n. 19).
Di conseguenza, è naturale che nel contesto appena descritto, la salvaguardia dei dati personali del lavoratore necessiti di un rafforzamento delle misure già adottate in azienda a tale scopo. Ad esempio, il datore di lavoro dovrà aggiornare l’informativa sul trattamento dei dati personali del lavoratore ex art. 13 del GDPR (Regolamento 679/2016) così da avvertire quest’ultimo del fatto che, nel contesto della prestazione lavorativa, saranno trattati dati potenzialmente legati alla sua situazione sanitaria, nonché alla validità o meno della certificazione verde. Allo stesso tempo, sarà necessario un parallelo aggiornamento del Registro dei trattamenti (art. 30 GDPR), e l’adozione, da parte del datore di lavoro, di misure organizzative per assicurare la sicurezza dei dati dei lavoratori, come ad esempio la loro pseudonimizzazione.
Infine, merita domandarsi se, al fine di evitare di comminare sanzioni disciplinari, il datore di lavoro possa indagare o meno la data di somministrazione del vaccino (o di guarigione dal Covid-19). È questo un caso che potrebbe doversi configurare a seguito della asimmetria rilevata nella durata del certificato verde rilasciato a seguito di vaccinazione (all’interno del ciclo primario) o di guarigione (senza una precedente vaccinazione) che, ai sensi dell’art. 9, d.l. 52/2021, è di 6 mesi, mentre, stando al controllo effettuato mediante l’App VerificaC19 o tramite la piattaforma dell’INPS, è di 180 giorni. Tale condizione potrebbe avere la conseguenza per cui un lavoratore che in attesa di effettuare la terza dose di vaccino – pur essendo in possesso di una certificazione verde valida ex lege ma non riconosciuta, sebbene per qualche giorno, dai meccanismi di controllo – risulterebbe inadempiente e passibile di sanzioni disciplinari in quanto presente sul luogo di lavoro senza un Green Pass apparentemente valido. In tal senso, una possibile soluzione al problema potrebbe consistere nell’applicazione, in via analogica, della disposizione di cui all’articolo 9-ter.1, comma 4bis, del DL 52/2021, il quale prevede che, nel caso di mancato rilascio del Green pass a studenti o lavoratori del settore scolastico, educativo e formativo, l’accesso ai locali possa avvenire dietro presentazione di “un certificato rilasciato dalla struttura sanitaria ovvero dall’esercente la professione sanitaria che ha effettuato la vaccinazione o dal medico di medicina generale dell’interessato”, il quale attesti che il lavoratore o lo studente soddisfi i requisiti per l’ottenimento della certificazione verde. Chiaramente, nel caso del lavoratore ultracinquantenne, i requisiti che dovrebbero essere soddisfatti dalla certificazione in oggetto dovrebbero essere i medesimi previsti per il rilascio del Green Pass rafforzato.
Giada Benincasa
Assegnista presso il Dipartimento di Economia Marco Biagi
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
@BenincasaGiada
Diletta Porcheddu
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena