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Bollettino ADAPT 7 marzo 2022, n. 9
Come è ben noto, la pandemia ha messo in evidenza l’importanza della salute mentale per la qualità della vita e il benessere dei cittadini, così come i deficit strutturali di cura dei sistemi sanitari pubblici in Europa. Ciò che spesso viene trascurato è invece che questi aspetti esistevano già prima della pandemia: ansia, depressione, suicidi e altri disturbi mentali sono principalmente associati alla disoccupazione, al basso reddito o al cattivo tenore di vita e, sempre più spesso, messi in correlazione con nuove modalità di lavorare con ritmi sempre più frenetici e in contesti diversi da quelli tradizionali.
A tal proposito, recentemente è stato pubblicato l’articolo “A mental-health strategy for Europe” delle autrici Estrella Durà Ferrandis e Cristina Helena Lago (relativamente membro del Parlamento europeo della delegazione socialista spagnola e della commissione per l’occupazione e gli affari sociali e assistente parlamentare della delegazione socialista spagnola e della commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo) diretto a suggerire una strategia a livello europeo, con un approccio olistico, trasversale e multidisciplinare, integrata nel sistema sanitario pubblico, che dovrebbe favorire la cooperazione tra i paesi, identificando e affrontando soluzioni pratiche per garantire che i problemi di salute mentale siano meglio diagnosticati e trattati. Anche l’MHE (Mental Health Europe), con il documento “An EU Strategy on Mental Health and Well Being” chiede che una strategia UE sulla salute mentale e il benessere sia collegata con il piano d’azione OMS/Euro Action Plan sulla salute mentale e con la rete europea di scuole e ospedali che promuovono la salute dell’OMS (cfr. European Programme of Work – United Action for Better Health in Europe). La strategia dell’UE sembrerebbe voler mettere in atto canali specifici e facilmente accessibili in cui le persone con esperienza di disagio mentale possano contribuire allo sviluppo e all’attuazione di una strategia per la salute mentale. In tal senso appaiono necessarie campagne di sensibilizzazione per ridurre lo stigma e l’immagine negativa delle persone con problemi di salute mentale e disabilità come viene spesso presentata dai media.
In particolare la strategia che propongono Estrella Durà Ferrandis e Cristina Helena Lago è fondata su quattro principali pilastri.
Il primo è l’educazione. Una delle più grandi sfide che la società di oggi deve affrontare è la cura della salute emotiva, fin dall’infanzia. Sempre più paesi investono in progetti pedagogici o incorporano tali metodi nell’educazione tradizionale, per integrare le competenze emotive con quelle accademiche e promuovere le capacità personali, affettive e di comunicazione, occupandosi anche della salute mentale degli insegnanti. È interessante come si possa fare un parallelismo tra le capacità citate e le così dette “soft skills”. Quando si parla di competenze trasversali, come la capacità di lavorare in gruppo, di comunicazione e di ascolto, si pensa ad esse come fondamentali in ambito lavorativo, cioè sono ritenute essenziali per essere produttivi ed efficaci, soprattutto se pensate nei nuovi contesti – sempre più destrutturati – in cui spesso oggi molti lavoratori sono chiamati ad eseguire la propria attività lavorativa (basti pensare allo smart working e a come interagisce sulle tradizionali dinamiche spazio-temporali del lavoro). Intervenire a livello educativo quindi sullo sviluppo di queste capacità può portare un duplice beneficio: da un lato prevenire e garantire la salute mentale di bambini e ragazzi, dall’altro di fornire a quegli stessi ragazzi gli strumenti per diventare adulti in grado di affrontare il mondo del lavoro in modo incisivo.
Sempre secondo le autrici, il secondo pilastro è l’ambiente. Le iniziative ambientali, in linea con il Green Deal europeo sono una priorità. La ricerca ha dimostrato che le persone esposte a certi inquinanti atmosferici hanno maggiori probabilità di soffrire di problemi di salute mentale. Ambienti urbani mal pianificati, con sistemi di trasporto insostenibili e mancanza di spazi verdi, aumentano l’inquinamento atmosferico, il rumore e il calore e riducono le opportunità di attività fisica, influenzando negativamente la salute fisica e mentale degli individui. È necessario passare a una prospettiva incentrata sulla vita che tragga ispirazione e impari dalla natura. La ridefinizione dei piani urbanistici e una nuova geografia del lavoro, possibile anche grazie all’implementazione dello smart working, permette non solo di costruire spazi funzionali e case accessibili ed efficienti, ma anche di promuovere la salute dei loro occupanti, luoghi che sostengono il benessere fisico, mentale e sociale.
Visto che, in quanto esseri sociali abbiamo la necessità di interagire con l’altro, un terzo pilastro da prendere in considerazione è l’impatto della digitalizzazione sui diversi contesti di vita. Secondo le autrici, gli strumenti digitali per il lavoro devono essere usati in modo appropriato e con cura, per evitare qualsiasi violazione dei diritti dei lavoratori e possibili rischi psicosociali derivanti dall’applicazione di sistemi di automazione, sorveglianza o intelligenza artificiale. Infatti uno dei possibili rischi psicosociali è il c.d. technostress. Quest’ultimo è definito da Gaudioso (Gaudioso F., Turel O. & Galimberti C., The mediating roles of strain facets and coping strategies in translating techno-stressors into adverse job outcomes, Computers in Human Behavior, 2017)ome “una moderna malattia dell’adattamento causata dall’incapacità di far fronte in modo sano alle nuove tecnologie informatiche”, quindi si configura come un tipo di stress lavorativo causato dall’uso delle ICT, i cui effetti si riversano su comportamenti, pensieri e atteggiamenti umani. In generale, in letteratura è riconosciuta la necessità da parte delle aziende di progettare e implementare programmi di formazione di base tecnologica al fine di rendere i dipendenti a proprio agio con l’uso delle nuove tecnologie e con i ritmi che le stesse richiedono e permettono. A questo si aggiunge l’esigenza di proteggere la salute mentale dei lavoratori facendo in modo che l’impatto della digitalizzazione non sia nocivo. Inoltre, secondo alcuni studi, dovrebbero essere istituite delle figure specifiche, come tecnici informatici qualificati, che agevolino l’uso delle ICT e forniscano supporto ai lavoratori, evitando il c.d. gap generazionale. In generale, sembra esistere l’urgenza di una regolamentazione più pregnante per proteggere la salute umana da tutti gli impatti della digitalizzazione, sempre più spesso centrale nei contesti lavorativi.
Infine, il quarto pilastro della strategia, sono i sistemi sanitari che devono fornire una adeguata assistenza per la salute mentale a tutti gli individui e promuovere modelli completi che includano l’accesso ai servizi di psicologia e psichiatria. Attualmente, ad esempio, in Italia e in particolare la regione Lazio ha stanziato 10,9 milioni di euro per l’attivazione di un fondo per garantire l’accesso alle cure per la salute mentale e la prevenzione del disagio psichico dei giovani. La Misura integrata della Regione Lazio, è articolata lungo tre direttrici di interventi, che prevedono il coinvolgimento del sistema di istruzione e formazione regionale e del sistema sanitario pubblico. Infatti con la DGR n. 39 dell’8 febbraio 2022, la Regione Lazio ha adottato un poderoso piano di interventi per la tutela della salute mentale e per la prevenzione del disagio psichico di giovani e adolescenti da attuare nel periodo 2022-2025. Le azioni messe in campo dalla Regione Lazio vogliono essere una risposta efficace alle problematiche di tante ragazze e ragazzi fortemente provati negli ultimi anni dalla traumatica esperienza della pandemia da Covid-19, con l’obiettivo di intercettare forme iniziali di disagio psicologico prima di una possibile cronicizzazione in disturbo. Purtroppo però, il percorso verso questi progetti nella maggior parte dei paesi europei è lungo e costoso, anche se con grandi differenze nel punto di partenza. Inoltre risulta che la tendenza generale sia il trattamento preferenziale nel circuito di cura (nella maggior parte degli Stati membri) di disturbi gravi, come la psicosi, la depressione maggiore, i tentativi di suicidio o i disturbi alimentari. Lo stesso non accade con il trattamento di sintomi psichiatrici lievi e i disturbi emotivi minori, questi disturbi, i più comuni tra la popolazione, non ricevono l’attenzione necessaria nel sistema di cure primarie per essere diagnosticati e trattati precocemente, quindi rischiano di aggravarsi o cronicizzarsi. Un problema che, direttamente e indirettamente, incide sempre più spesso, a causa della possibilità di lavorare ovunque e in qualsiasi momento, anche sul tema della salute occupazionale, che richiederebbe dunque una connessione con i sistemi sanitari nazionali per tutelare la salute delle persone che lavorano.
È dunque evidente come le politiche che mirano alla prevenzione siano preferibili ad azioni di cura, assistenza e risarcimento, attuate solo ex post. La sensibilizzazione ai problemi di salute mentale deve avvenire in parallelo allo sviluppo e alla crescita della persona, così come la formazione sulle competenze e sulle capacità per affrontarli e gestirli durante tutto l’arco della vita. Affinché questo avvenga è fondamentale che gli Stati membri dialoghino tra loro per una regolamentazione comune. È inoltre necessario che i singoli Stati operino con politiche interne mirate a una cooperazione efficace dei vari organi (scuole, strutture sanitarie, regioni ecc.).
In conclusione, facendo specifico riferimento al lavoro da remoto, sempre più crescente nei più disparati contesti lavorativi, è opportuno sottolineare come, quest’ultimo, potrebbe avere un ruolo strategico e trasversale nella strategia proposta e descritta poc’anzi. Se dunque, come già sottolineato, l’implementazione delle capacità e delle competenze “soft”, fruibili grazie al primo pilastro (educazione), si rende ancor più necessaria in un ambiente di lavoro sempre più digitalizzato, lo smart working (fermo restando il rispetto di quanto previsto nel terzo pilastro) dovrebbe essere visto altresì come uno strumento che dà alle persone l’opportunità di scegliere di lavorare in un ambiente che impatti positivamente sulla loro salute fisica e mentale, anche grazie alla ridefinizione degli spazi urbanistici (secondo pilastro): dalla creazione di spazi verdi all’incremento di spazi di co-working e hub aziendali vicino alle periferie e alle zone residenziali. Infine, e veniamo dunque al quarto pilastro, la possibilità di lavorare in un ambiente esterno al luogo di lavoro tradizionale, sempre più spesso connesso e interconnesso con il territorio circostante e con gli ambienti di vita privata con la conseguenza di sovrapporre i rischi lavorativi con quelli esterni, richiede una urgente riflessione sul concetto di salute occupazionale, sempre più spesso destinato ad intrecciarsi con quello di salute pubblica.
Clara De Vincenzi
Scuola di dottorato in Lo sviluppo e il benessere dell’individuo e delle organizzazioni
Università Lumsa di Roma
@ClaraDV7
Bruna Ferrara
Scuola di dottorato in Lo sviluppo e il benessere dell’individuo e delle organizzazioni
Università Lumsa di Roma