Prove di dialogo tra il ministro del lavoro Giuliano Poletti e la segretaria generale della Cisl, Susanna Camusso. A offrire l’occasione è stato un incontro organizzato ieri a Milano dalla Fondazione Corriere della Sera. «Confrontarsi con Maurizio Landini è più facile che avere a che fare con Camusso, come sostiene il presidente del consiglio Renzi?», ha cercato di mettere un po’ di pepe Dario Di Vico, moderatore della mattinata. Il ministro –tutt’altro che arrendevole, in realtà ha sfoderato bonomia e diplomazia: «Non ci scegliamo gli interlocutori ha detto Poletti – il segretario di una grande sindacato come la Cgil ha un molo fondamentale». A far partire il confronto con il piede giusto è stata la possibilità di illustrare un risultato apprezzato sia dalla Cgil che dal governo come la recente intesa lombarda per il lavoro legato a Expo.
In un clima generale improntato alla volontà di dialogo, Susanna Camusso ha comunque voluto segnare il territorio con due paletti. Il primo: il sindacato rosso vuole riaprire il dossier pensioni. «Caro ministro ha detto la sindacalista temo che le daremo dei dispiaceri. Lei ha detto che ritiene chiuso il capitolo pensioni. Mentre invece noi lo vogliamo riaprire». Il secondo: il giudizio della Cgil sul decreto lavoro (quello che rende più facili contratti a termine e apprendistato, per intenderci) resta durissimo. «Una schifezza», ha detto senza mezzi termini Camusso. Ultima criticità: il rifinanziamento della cassa in deroga (l’ammortizzatore per le piccole e medie imprese, ndr;). «Il governo deve trovare i soldi in fretta. Le aziende hanno già cominciato a licenziare. A rischio ci sono alcune centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Dal canto suo il Ministro Poletti ha evitato accuratamente lo scontro. Al contrario, ha valorizzato i punti di partenza di un possibile dialogo con il sindacato sui contenuti del cosiddetto Jobs Act. Prendiamo il salario minimo, generalmente osteggiato dalle tre confederazioni per il timore di uno svuotamento di significato dei contratti nazionali. «Il mio problema non è fare saltare il contratto nazionale di lavoro ha rassicurato Poletti – piuttosto mi piacerebbe evitare trattamenti indegni per lavoratori pagati una miseria». «Se il salario minimo serve a contrastare il lavoro sommerso, allora siamo disposti a fare un ragionamento serio», ha aperto Camusso. «Mio figlio è stato costretto ad aprire una partita Iva ma in realtà il suo è un lavoro da dipendente ha raccontato a un certo punto una spettatrice dal pubblico – Cosa potete fare per lui?». Qui la risposta di Poletti ha strappato un sorriso a Camusso. «Noi crediamo che quello delle partite Iva false sia un problema. Stiamo valutando l’idea di tirare una riga netta tra le professioni che possono scegliere la strada della partite Iva e quelle che invece per definizione appartengono alla platea del lavoro dipendente. Scontenteremo qualcuno. Ma serve un po’ di chiarezza. D’altra parte, come si dice da noi in Romagna, non si può essere un po’ incinta: o lo sei o non lo sei». Vista la carne al fuoco della delega del Jobs act, anche una battuta può servire se rasserena il clima.
Riguardo al contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti, Camusso ha ribadito che questo contratto andrebbe affiancato soltanto da apprendistato e part time. Un menù troppo scarno per il Ministro del lavoro. Che però non ha evitato contestazioni e ha preferito rassicurare. Anche su un punto caro alla Cgil, l’articolo 18: «Non è la riforma della normativa sui licenziamenti individuali che può basarsi il rilancio dell’imprenditoria italiana».
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Prove di dialogo tra Poletti e Camusso (con qualche dispiacere sulle pensioni)