Il lavoro agile per i genitori di figli under 14 del settore privato nel Decreto Riaperture: diritto a chiedere o diritto ad ottenere?

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Bollettino ADAPT 6 giugno 2022, n. 22

 

La Legge n. 52/2022, che ha  convertito (con modificazioni) il Decreto-legge  n. 24/2022 (cosiddetto “Decreto  Riaperture”) recante “Disposizioni  urgenti  per  il  superamento  delle  misure  di  contrasto alla  diffusione dell’epidemia da Covid-19 in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza”, tra varie altre misure, ha reintrodotto (“rectius”: introdotto “ex novo”) il “diritto” di accesso  allo  smart  working  per  lavoratori  dipendenti  del  settore privato con figli fino a 14 anni, anche in assenza di accordi individuali, compatibilmente con le caratteristiche della mansione (se  nel  nucleo  familiare  non  vi  sia  altro  genitore  che  stia  beneficiando  di  strumenti  di sostegno al reddito, in caso di sospensione o cessazione dell’attività o che non vi  sia  genitore  non  lavoratore).  Tale introduzione è stata operata, con effetti fino al 31 luglio 2022, all’art. 10, comma 2 del testo convertito, con la tecnica del rinvio all’allegato B del medesimo Decreto. 

 

Il Legislatore del Decreto Riaperture compie di fatto un’operazione di reviviscenza normativa, ripristinando una disciplina di favore genitoriale che aveva esaurito già i propri effetti nel tempo. Il Legislatore lo fa, peraltro, in maniera “chirurgica”, con riferimento ai commi 1 e 2 del “vecchio” art. 90 del Decreto-Legge n. 34/2020, commi che pertanto possono essere considerati un complesso normativo tecnicamente “morto”: non prorogato né pertanto ulteriormente prorogabile, e ora reintrodotto, appunto, “ex novo”[1]. Tale scelta di ingegneria legislativa comporta che la norma debba considerarsi a tutti gli effetti “nuova”: significato e implicazioni vanno letti e dedotti nel nuovo quadro di contesto (sanitario e normativo), sostanzialmente diverso da originario e, pur risultando di efficacia temporale limitata (la scadenza è fissata al 31 luglio 2022), dispiegano un potenziale di senso che potrebbe indirizzare le scelte future del Legislatore e delle Parti sociali, in tema di misure di conciliazione familiare, anche nella disciplina strutturale del lavoro agile.

 

Proprio per comprendere la nuova “ratio”, occorre un breve excursus storico-giuridico che ripercorra le scelte e le motivazioni politiche del Legislatore dell’emergenza.  Fin dal primo marzo 2020 un DPCM (art. 4 sub “a”) regolava le modalità di accesso al lavoro agile emergenziale (“anche in assenza degli accordi individuali”, “obblighi di informativa assolti in via telematica”), modalità confermate poi anche dal DPCM del 4 marzo 2020 (art. 1 sub “n”). Nel DPCM dell’11 marzo 2020 si raccomandava altresì (all’art. 1 sub 7 a) che fosse “attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza”. Il Decreto sembrava riferirsi alla più ampia possibilità di adottare tale modalità di lavoro, con l’obiettivo di estenderne il più possibile la fruizione a scopo di prevenzione sanitaria. Successivamente, l’art. 39 del Decreto-legge del 17 marzo 2020 n. 18 introduceva, all’acme di questo processo promozionale in era pandemica, una innovativa, concettualmente dirompente formula di riconoscimento di un vero e proprio diritto al lavoro agile (fino al 30 aprile 2020), per i (soli) lavoratori dipendenti disabili o che avessero nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità. Veniva con l’occasione introdotta una condizionalità che sarà anche in seguito ripresa dal Legislatore dell’emergenza: “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”. Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa, era invece riconosciuta la sola priorità nell’accoglimento delle istanze di accesso al lavoro agile. Successivamente, le incalzanti disposizioni contenute nel Decreto Rilancio (art. 90 del Decreto-legge del 19 maggio 2020, n. 34), avevano sostanziato e corroborato la normativa di favore, introducendo, fino alla cessazione dello stato di emergenza Covid-19, un nuovo diritto soggettivo del lavoratore-genitore al lavoro agile, a date condizioni, una delle quali racchiude l’identica formulazione del precedente Decreto Legge 18 (“a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”) e un correlato obbligo per i datori di lavoro del settore privato di comunicare anche la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile.

 

L’art. 90 (Lavoro agile) così recita, nella sua storica formulazione: “1. Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. 2. La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro. 3. Per l’intero periodo di cui al comma 1, i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 4. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per i datori di lavoro pubblici, limitatamente al periodo di tempo di cui al comma 1 e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all’articolo 22 della medesima legge n. 81 del 2017, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL)”.

 

Le previsioni dell’art. 90 sono indubbiamente interessanti, anche se pongono storiche quanto irrisolte questioni applicative, che tornano di attualità, a due anni dalla sua prima entrata in vigore, solo a seguito della sua reviviscenza. È singolare, oltre che positivo, il fatto che sia stato riconosciuto (non solo al datore di lavoro, ma) esplicitamente anche al lavoratore il diritto a ottenere la modifica del rapporto di lavoro, per il periodo dell’emergenza, anche in assenza di accordo individuale. Se la formulazione non prevedesse condizionalità rimesse alle determinazioni altrui, si tratterebbe di un inedito “potere conformativo” del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro. A ben vedere, però, questa formale esplicitazione di “favor praestatoris” riscontra alcuni limiti pratici, in quanto la stessa norma enuncia una condizione limitativa fortemente limitante: “che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”. Difettando qualsiasi esplicitazione delle concrete condizioni di esigibilità, il diritto del lavoratore rischia di affievolirsi a mero “diritto a richiedere”, lasciando cioè alla discrezionalità del datore di lavoro ogni valutazione di accoglimento della istanza.

 

Le condizioni di compatibilità della prestazione devono, pertanto, essere in qualche modo obiettivate, in modo da rendere certo ed esigibile il perimetro del diritto, nonché tecnicamente e concretamente “conformabile” l’organizzazione del lavoro. Inoltre, in mancanza e/o in attesa di interventi di chiarificazione applicativa a cura di enti terzi (come l’Inps, che potrebbe emanare temi apposite circolari), il fattore tempo gioca a svantaggio dei lavoratori aventi diritto: la norma del redivivo art. 90 comma 1 e 2 vale esclusivamente fino al 31 luglio 2022, e il diritto soggettivo dei genitori-lavoratori rischia di rimanere disatteso, e con esso la sottesa urgenza di ottenere tale misura di conciliazione.

 

Già in vigenza del primo portato applicativo della norma, nel 2020, si registrarono alcune resistenze aziendali, tese a considerare in senso restrittivo la portata della nuova norma.

 

C’è oggi un diverso ragionamento di politica contrattuale da sviluppare, che dischiude nuove potenzialità applicative del diritto. Scaduta l’ultima proroga (al 15 ottobre 2020) dell’art. 90 commi 1 e 2, e quindi durante il tempo successivo alla vigenza del diritto sancito a favore dei genitori, è accaduto che alcune aziende abbiano già esteso l’area applicativa del lavoro in remoto, magari applicando limitazioni di durata del diritto (per alcuni giorni alla settimana o al mese), anziché preclusioni categoriche legate alla natura della prestazione. Tali prassi applicative hanno, di fatto, riconosciuto come “remotizzabili” le attività interessate alla condizionalità, considerando in pratica le stesse come compatibili con il lavoro agile. Sulla scorta di tale estensione fattuale, il nuovo problema che si pone, ora che è stato nuovamente introdotto il diritto soggettivo dei genitori allo smart working, è di comprendere se un’attività che sia stata dall’azienda remotizzata, anche solo per pochi giorni al mese, sia da considerare “ipso jure” compatibile con il lavoro agile, per gli effetti di esigibilità di cui all’art. 90 comma 1 e 2, oppure se la condizionalità debba essere riproposta e oggetto di nuova verifica di esito positivo. Sul tema del riconoscimento della compatibilità del lavoro agile con la natura della prestazione sono possibili almeno tre opzioni interpretative:

 

a) che, qualora un’attività sia risultata interessata ad una generale applicazione dello smart working emergenziale, prevalga il diritto pieno del lavoratore-genitore (in quanto sancito da fonte gerarchicamente superiore e prodotto da norma successiva), superandosi in tal modo gli stessi limiti applicativi stabiliti dalla contrattazione collettiva aziendale o dalle regolamentazioni aziendali (cioè la possibilità di fruirne magari solo per alcuni giorni della settimana o del mese). Insomma, secondo questa opzione interpretativa una volta considerata “smartabile” ex ante, l’attività lo sarebbe in via definitiva e il diritto potrebbe essere fatto valere senza limiti di collocazione nell’orario di lavoro contrattuale (e in ipotesi: anche per tutti i giorni di lavoro fino al 31 luglio 2022);

b) che, nei casi sopra menzionati, prevalga il diritto del lavoratore-genitore, ma condizionato ai vincoli di compatibilità temporale e organizzativa precedentemente stabiliti a livello aziendale. Il che significherebbe che il diritto potrebbe essere fatto valere, ma magari solo per alcuni giorni della settimana o del mese;

c) che non possano essere presi in considerazione i precedenti rappresentati dalla contrattazione collettiva aziendale e dalle regolamentazioni aziendali pregresse. Proprio perché si discetta dell’applicazione di un nuovo diritto soggettivo sancito dalla Legge (potenzialmente esercitabile anche senza rientri in presenza fino al 31.7.2022), occorrerebbe pertanto reiterare la valutazione di compatibilità della mansione con lo smart working.

La prima opzione offre stimolanti suggestioni di tutela individuale ma incrocia le maggiori difficoltà applicative, mentre la terza opzione rischia di inibire la materiale fruizione del diritto per mancanza di una adeguata estensione del relativo perimetro applicativo.

 

Dalla plastica evidenza dei tanti contrastanti possibili scenari interpretativi sopra descritti si comprende quanto sia dirompente il potenziale normativo contenuto nell’art. 10 comma 1 e 2 del Decreto Riaperture, e perché sia indispensabile procedere a un intenso e tempestivo lavoro di contrattazione collettiva in azienda, nella prospettiva emergenziale e post-emergenziale.

 

Sarebbe pertanto importante attivare tempestivamente, su impulso sindacale, le dinamiche negoziali in azienda, perché il diritto soggettivo riconosciuto dalla Legge sia tempestivamente attuato e reso pienamente operativo. È opportuno, inoltre, analizzare gli attuali assetti organizzativi delle aziende anche in una prospettiva strutturale, che coniughi in maniera corretta ed equilibrata flessibilità e conciliazione, lavoro in remoto e in presenza (nei solchi già fissati dalla contrattazione settoriale), presidiando il diritto del lavoratore alla sede fisica, alla socialità e salubrità dei luoghi di lavoro, alla disconnessione (che presuppone anche il diritto alla certezza dell’orario di lavoro).

 

Domenico Iodice

Giuslavorista

Comitato scientifico Fondazione Fiba

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