Poche settimane fa qualcosa si è mosso in Italia in materia di alternanza scuola-lavoro.
Abbiamo letto sui giornali e in rete di un decreto interministeriale che ha dato il via all’alternanza, attraverso l’apprendistato, per tutti i ragazzi iscritti all’ultimo biennio dei percorsi superiori liceali, tecnici e professionali.
Sin da piccoli abbiamo sentito parlare di quanto la pratica acuisca l’ingegno, di quanto sperimentare concretamente attraverso una esperienza, tattile, sensoriale, visiva, aiuti a comprendere le dinamiche degli eventi e stimoli l’apprendimento. Tutti abbiamo compreso presto, prima ancora di sedere sui banchi di scuola, le regole di semplici costruzioni, la verticalità delle torri dei lego, la necessità delle prove, infinite, prima di riuscire ad afferrare una palla al volo, il coordinamento necessario per andare in bicicletta senza rotelle.
Allora non potevamo capire il senso dell’esperienza, della pratica, dell’esercizio, ma oggi sì.
Le sperimentazioni a cui venivamo invitati da bambini, crescendo, negli anni diventano sempre meno. Ci viene richiesto più studio teorico, più concentrazione, più silenzio. I banchi di scuola ritagliano il mondo entro cui ci viene chiesto di crescere, andando in profondità nella conoscenza ma a volte diventano anche una siepe che ci limita la vista, ce ci esclude dal mondo reale. Pochi di noi, negli anni della scuola, hanno avuto la fortuna di sperimentare l’alternanza, quel mix di libri e di pratica da cui imparare a conoscere se stessi, le proprie attitudini e propensioni.
Pochi di noi hanno capito che i risultati scolastici non attribuiscono un voto alla persona, ma ad una performance, e che la scelta di un percorso piuttosto che di un altro potrebbe mettere in luce talenti e capacità altrove dispersi. Pochi hanno capito che si può imparare anche facendo, oltre che leggendo e studiando. Che ci sono più strade per giungere alla comprensione e che anche guardando, provando e sperimentando, si giunge alla conoscenza.
Nella mia esperienza di studentessa lavoratrice, credo nell’utilità di fare entrare uno studente nel vero mondo del lavoro sin da quando è sui banchi di scuola, poiché solo una relazione reale con il mondo, con gli adulti, con il futuro che in piccola parte è già dentro ad un adolescente è in grado di motivare lo spirito, di eliminare le false percezioni della realtà che talvolta abbiamo, di anticipare e anche positivamente segnare scelte e percorsi.
Non ci sono rischi nell’alternanza. I giovani non sono mai un rischio, ma una garanzia per il futuro.
Anche per le aziende non vi è rischio alcuno. Accogliere giovani significa insegnare loro fin dai primi anni del loro percorso di studi il senso ed il valore del lavoro, significa far comprendere loro quali competenze richiedano i mestieri, quali specializzazioni richieda una professione.
La relazione tra un giovane ed una azienda, inoltre, crea un patto di fiducia, essenziale alla formazione della personalità del giovane. Chiunque ponga in un giovane aspettative e responsabilità, avrà in cambio attenzione, rispetto e valore.
La scuola è il più bel posto dove essere ragazzi e acquisire conoscenze e sapere.
Il mondo del lavoro, nell’incontro con la scuola, può solo rendere migliore questo percorso, consentendo che quelle conoscenze si trasformino in competenze, in termini di valori e relazioni.
Sonila Daja
ADAPT Junior Fellow