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Bollettino ADAPT 27 settembre 2022, n. 32
Numerose ricerche mettono in luce la sempre maggiore integrazione fra le questioni ambientali e la gestione aziendale, in termini di rilettura e ridefinizione dei vari interessi in gioco nei mercati economico-produttivi. D’altra parte, appaiono ancora inesplorate le numerose sfide che responsabilità sociale e sviluppo sostenibile, congiuntamente, rappresentano per il sindacato, ovvero come lo stesso stia sviluppando strategie in quest’ambito, nonostante sia già chiaro come tale soggetto sia parimenti influenzato e influenzi i cambiamenti in azienda necessitati dalle transizioni.
Cosa s’intende, però, per Sviluppo Sostenibile e Responsabilità Sociale d’Impresa? Il primo concetto si può riassumere con l’obiettivo di una Transizione Giusta per tutti dove nessuno è lasciato indietro, in particolare dove la tutela del lavoro, la tutela dell’ambiente e la crescita economica sono dimensioni interdipendenti, per cui «there are no jobs on a dead planet», così come affermato dall’ILO nel proprio report 2015. Partendo dal presupposto che «lo sviluppo sostenibile è possibile solo con l’impegno attivo del mondo del lavoro» (ILO, Guidelines for a Just Transition towards Environmentally Sustainable Economies and Societies for All, 2015, p. 4), non è quindi sorprendente come le stesse singole imprese e associazioni datoriali si siano sempre più fatte promotrici di idee e iniziative concrete a sostegno dello sviluppo sostenibile. La Responsabilità Sociale d’Impresa, quindi, è proprio espressione di questa nuova sensibilità nella gestione delle politiche aziendali, sempre maggiormente integrate con questioni sociali e ambientali, oltre che economiche.
Seppur la RSI appaia un mezzo atto a coniugare le esigenze economiche e sociali dei mercati del lavoro in transizione, nelle novellate esigenze a tutela dell’ambiente e del soggetto lavoratore che è sempre maggiormente concepito in una dimensione che va oltre i confini della singola fabbrica, è opportuno riflettere sul ruolo e sulla posizione del sindacato nella gestione di questo nuovo strumento.
Una interessante valutazione proviene dal caso studio francese che, per vari fattori caratterizzanti l’ordinamento intersindacale nazionale, riferisce di una strategia e atteggiamento oppositivo del sindacato nei confronti della RSI, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo. In primo luogo, difatti, occorre sottolineare come ordinamento e cultura nazionali si oppongono ad alcuni principi di base della RSI, in particolare il principio di autonomia privata; in secondo luogo, per la necessità del sindacato di essere legittimato nell’operare sia sul piano giuridico che su quello pubblico (da istituzioni e dalla società).
Ne risulta come l’atteggiamento dei sindacati francesi non sia stato favorevole nei confronti della RSI soprattutto nella prima fase di adozione di questo metodo congiunto di tutela di “altri e ulteriori diritti”. Seppur, come già ricordato, si possa descrivere la Responsabilità sociale d’impresa come misura che tiene conto di interessi che vanno oltre quelli dei meri azionisti e che integrano le questioni economiche con quelle sociali e ambientali nella strategia e gestione delle imprese, il sindacato ad inizio anni 2000 si presentava come passivo se non addirittura ostile nell’adozione di accordi di RSI. E le ragioni sono presto dette: l’RSI rappresentava (e per alcuni sindacati rappresenta ancora) una sfida alla tradizionale gestione delle relazioni industriali. Non consistendo, infatti, in uno strumento giuridicamente vincolante, suscitava diffidenza negli attori sindacali poiché veniva applicato in modo arbitrario dalle aziende e con riferimento a soli taluni aspetti del rapporto di lavoro. Proprio la possibilità di scelta, nel se e nel come applicare tali standard di protezione inficiava, inoltre, secondo il sindacato, sull’adozione di standard sociali generali e giuridicamente vincolanti, dunque impattando negativamente sulla tutela dei singoli lavoratori.
Non solo, la dimensione internazionale della RSI, che si pone come strategia per l’intera catena di produzione se da un lato appare come modalità di possibile collaborazione fra parti sociali a livello internazionale e sviluppo di diritti per la totalità dei lavoratori, dall’altro, risulta “freno” di sviluppo per diritti in paesi, come la Francia, già avanzati sotto il profilo delle tutele. Per non parlare di come la stessa cultura e attività dei sindacati siano rimasti, soprattutto in una prima fase -ma ancora-, ancorate a contesti nazionali, tali dunque da non poter essere applicate trasversalmente a protezione dei lavoratori nell’intera catena di valore.
Accanto alla sfida dell’ampliamento dei perimetri territoriali, la RSI sfida inoltre il sindacato anche in termini di ampliamento dell’oggetto di negoziazione. La dimensione trasversale della RSI, meglio definita come “responsabilità globale”, se consiste, da un lato, nell’integrare le questioni sociali, ambientali nella governance aziendale, dall’altro, invero, rappresenta il non prioritizzare i soli interessi dei lavoratori proprio per il prendere in considerazione la totalità dei fattori che concernono i mercati economico-produttivi. È proprio questo aspetto che, fra gli altri, ha sempre più messo in discussione il tradizionale rapporto bilaterale tra sindacati e associazioni datoriali, per il coinvolgimento di tutti gli altri e ulteriori portatori di interesse, richiedendo quindi al sindacato di tutelare il lavoratore in un sempre più complesso e ampliato contesto.
Si nota, perciò, come la RSI non rappresenti solamente una sfida nell’ampliamento dei confini o dell’oggetto d’azione del sindacato, ma metta direttamente in discussione gli obiettivi e i mezzi per raggiungerli, aggiungendo attori nella negoziazione e nel dibattito e richiedendo strategie complesse e a lungo termine. Se taluni sindacati, temendo un indebolimento del loro potere negoziale, hanno rifiutato e tuttora rifiutano l’estensione del dialogo sociale ad altri temi e attori, altri hanno creato e conducono alleanze con stakeholders e attori pubblici, concependo il lavoratore non più come solo soggetto da tutelare nel perimetro della fabbrica, ma in una dimensione sempre più onnicomprensiva di tutte le estensioni che lo compongono.
Chiarito questo complesso quadro di fondo, riferimenti fattuali ci sono consegnati dall’esperienza francese. In parte, i sindacati hanno risposto e attuato strategie propositive e proattive, progressivamente sviluppando competenze sulla RSI, nominando referenti e coordinando attività sul tema. Le stesse autorità pubbliche hanno supportato il coinvolgimento diretto dell’attore sindacale destinando risorse. Questo è il caso di CFDT (Confédération française démocratique du travail), che ha firmato una partnership con l’ONG France nature Environment, così da sviluppare azioni e competenze congiunte, e promuovendo strategie di contrattualizzazione in ambito aziendale, tali da favorire una governance congiunta e di partecipazione attiva, dunque non limitando le proprie richieste al rapporto individuale di lavoro e al salario, ma integrando il dialogo con questioni sociali, ambientali ed economiche. Similmente CGT (Confédération générale du travail) che, dopo un approccio iniziale dibattuto, ha progressivamente ricompreso nella propria strategia d’azione le questioni ambientali e sociali in senso lato.
Ancora, se in sindacati come CFTC (Confédération Française des Travailleurs Chrétiens) ovvero la CFE-CGC (Confédération Française de l’Encadrement – Confédération Générale des Cadres) la RSI si sta progressivamente affermando come punto di incontro, seppur non sempre facile, fra le questioni economiche, sociali e ambientali, sindacati scettici se non ostili nei confronti della RSI sono invece la CGT-FO (Confédération Générale du Travail-Force Ouvrière). Tali casi studio non sono da valutarsi con riferimento alle sigle sindacali quanto per riflettere sulle ragioni dell’opposizione alla RSI. Secondo le interviste condotte, la Confederazione percepisce infatti RSI “nel migliore dei casi, come una strategia di marketing; nel peggiore dei casi, come una volontà delle aziende di minimizzare l’importanza degli interessi dei lavoratori trattandoli come stakeholders, fra i tanti”. Restringendo, quindi l’azione del sindacato e l’obiettivo di tutela del lavoratore e del salario, lo sviluppo di iniziative in ambito RSI è ritenuto da CGT-FO come dispersione di mezzi se non come vera e propria mancata prioritizzazione degli aspetti di tutela del lavoro e del lavoratore, invero “pericolo per l’organizzazione sindacale e per i lavoratori”. È altresì vero come, nonostante questo approccio critico, l’organizzazione partecipi ai forum e ai negoziati di accordi RSI in ambito federale, contestualmente mirando ad una strategia di engagement con i propri iscritti basata sulla difesa dei propri interessi più immediati.
Se, dunque, la RSI è un possibile modo per coinvolgere il sindacato nella governance e nelle scelte aziendali, è altrettanto opportuno considerare sfide e strategie del sindacato nei nuovi perimetri d’azione e d’oggetto della stessa negoziazione. Infatti, se la Responsabilità sociale d’impresa consente di promuovere una dimensione solidaristica del rapporto di lavoro, in chiave di inclusione, partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori e dei portatori di interesse nella totalità (o semi totalità) delle questioni concernenti i processi economico-produttivi, è altresì vero come sia necessario riflettere criticamente su cosa comporta per le parti sociali (in particolare) questo nuovo ambiente interattivo, dove attori, fattori e interessi, fra loro interconnessi, possono essere ostacolo o chiave per l’ottenimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Sara Prosdocimi
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena