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Bollettino ADAPT 10 ottobre 2022, n. 34
Il 28 settembre la Commissione Europea ha presentato una proposta di raccomandazione del Consiglio relativa ad un adeguato reddito minimo che garantisca l’inclusione attiva. La Commissione, dunque, rivolge un appello agli Stati Membri, invitandoli a modernizzare i propri regimi di reddito minimo nella direzione di una loro maggior efficienza nel combattere la povertà e nell’integrare coloro che sono in grado di lavorare nel mercato del lavoro.
Nello specifico, gli schemi di reddito minimo, svolgono un ruolo particolare nell’ambito del sostegno al reddito monetario complessivo, in quanto mirano a colmare il divario che separa il reddito insufficiente di un nucleo familiare da una soglia di reddito considerata dignitosa. Si tratta di prestazioni di ultima istanza, non contributive e soggette alla verifica dei requisiti, spesso integrate da assistenza personalizzata e incentivi per l’accesso al mercato del lavoro.
Analizzando più approfonditamente l’atto legislativo in questione, che si ricorda essere non giuridicamente vincolante, le principali linee di raccomandazione suggerite ruotano intorno a sette questioni chiave: l’adeguatezza, la copertura e l’effettiva utilizzazione degli schemi di reddito minimo, l’accesso ad un mercato del lavoro inclusivo e a servizi essenziali ed abilitanti, il supporto individualizzato, ed infine la governance, il monitoraggio e il resoconto delle prestazioni di supporto al reddito.
In primo luogo, in merito al tema dell’adeguatezza del sostegno al reddito, la proposta raccomanda agli Stati membri di sviluppare solide reti di sicurezza sociale che garantiscano una vita dignitosa in tutte le fasi della vita, combinando un adeguato sostegno al reddito a prestazioni in natura. Inoltre, per essere adeguato, il sostegno dovrebbe essere fissato attraverso una metodologia trasparente e solida che prenda in considerazione le fonti di reddito complessive, le esigenze specifiche dei nuclei familiari, il reddito di un lavoratore con un salario basso o l’importo del salario minimo, il costo della vita, il potere d’acquisto, i livelli dei prezzi e la loro evoluzione (solamente un terzo degli Stati membri adotta sistemi di indicizzazione automatica che adeguano l’importo del sostegno al reddito su base regolare per tenere conto dei cambiamenti relativi al costo della vita).La Commissione invita, inoltre, gli Stati membri ad adeguare gli importi dei sostegni, mantenendo l’equilibrio delle proprie finanze, alla soglia nazionale di rischio povertà o al valore monetario di beni e servizi considerati necessari da ciascun Stato membro, o a livelli ritenuti equivalenti, entro il 31 Dicembre 2030 (nel 2019 il reddito di una persona beneficiaria di prestazioni di sostegno al reddito era sotto l’80% della soglia di povertà in 22 Stati membri).A tal proposito, gli Stati sono sollecitati a revisionare annualmente l’adeguatezza di tali supporti e a garantire la possibilità che gli stessi possano essere richiesti su base individuale e non familiare.
Relativamente alla copertura del reddito minimo, si raccomanda agli Stati membri di stabilire un reddito minimo che definisca: criteri di eleggibilità trasparenti e non discriminatori (il possesso di un indirizzo permanente dovrebbe essere annullato e la durata della residenza legale, per persone straniere, dovrebbe essere proporzionata);requisiti reddituali e patrimoniali che riflettano il tenore di vita dello Stato membro per le diverse tipologie e dimensioni di famiglie; il tempo necessario per elaborare la domanda, garantendo al contempo che la decisione venga emessa entro 30 giorni dalla sua presentazione; la continuità dell’accesso al reddito minimo a fronte della permanenza di criteri di ammissibilità; procedure di reclamo e di ricorso semplici, rapide, imparziali e gratuite e, soprattutto, accessibili ai beneficiari; meccanismi che provvedono all’allentamento temporaneo dei criteri di ammissibilità o l’estensione della durata delle prestazioni in presenza di crisi socioeconomiche.
La terza questione toccata dalla Commissione è quella riguardante il tasso di take up, ovvero il rapporto tra i potenziali e gli effettivi beneficiari del reddito. La proposta raccomanda agli Stati membri delle linee di azione per far sì che tutti gli individui che rispettino le condizioni di ammissibilità usufruiscano realmente del reddito minimo. Tra i suggerimenti dettati risultano: la riduzione degli oneri amministrativi; l’accesso a informazioni di facile utilizzo, gratuite e aggiornate sui diritti e gli obblighi relativi al reddito minimo; l’adozione di misure per combattere la stigmatizzazione e i pregiudizi legati alla povertà e all’esclusione sociale; la valutazione regolare del numero di persone che non si avvalgono di tali prestazioni, l’identificazione dei potenziali ostacoli e la relativa implementazione di azioni correttive.
In aggiunta, come si è precedentemente detto, uno degli obbiettivi della Raccomandazione è anche quello di promuovere l’integrazione all’interno del mercato del lavoro in linea con l’approccio di inclusione attiva. A tal fine si raccomanda agli Stati membri di: garantire che i requisiti di attivazione forniscano sufficienti incentivi per (ri)entrare nel mercato del lavoro, con una particolare attenzione al reinserimento dei giovani all’interno di percorsi di istruzione, formazione e lavorativi; migliorare gli investimenti in capitale umano; prevedere la possibilità di combinare il sostegno al reddito con il reddito da lavoro durante i periodi di prova, i tirocini e i lavori brevi o sporadici; revisionare regolarmente gli incentivi e i disincentivi derivanti dai regimi fiscali e previdenziali; sostenere le opportunità di lavoro nel settore dell’economia sociale; facilitare la transizione verso l’occupazione attraverso incentivi all’assunzione, sostegno al (post)inserimento, tutoraggio e consulenza.
In riferimento alla garanzia di accesso a servizi essenziali ed abilitanti gli Stati membri sono chiamati ad assicurare un accesso effettivo e paritario ai servizi abilitanti, salvaguardandone, inoltre, la continuità.
Inoltre, nella prospettiva di rimuovere le diverse barriere che ostacolano le persone prive di risorse sufficienti all’inclusione sociale e, per coloro che sono in grado di lavorare, all’occupazione, agli Stati membri si raccomanda di sviluppare un approccio individualizzato, attraverso una valutazione multidimensionale dei bisogni, la stesura di un piano di inclusione che delinei misure di sostegno individuali e il supporto continuo di un case manager.
Infine, l’ultima parte delle raccomandazioni suggerite dalla presente proposta concerne la governance, il monitoraggio e la rendicontazione dei sostegni al reddito. A questo riguardo viene suggerito agli Stati membri di evitare la sovrapposizione e la frammentazione dei vari benefici; di rafforzare la capacità operativa delle autorità responsabili del sostegno al reddito, dei servizi per l’impiego e dei fornitori di servizi abilitanti, migliorando la loro cooperazione, anche attraverso la condivisione dei dati e la promozione di modelli di servizio integrati; di responsabilizzare le parti interessate, come le autorità regionali e locali, le parti sociali, le organizzazioni della società civile e gli attori dell’economia sociale; di garantire un finanziamento adeguato alle reti di sicurezza sociale che sia finanziariamente sostenibile.
A seguito delle raccomandazioni europee sopra elencate, appare utile in tal contesto valutare quali modifiche verrebbero sollecitate all’attuale misura di reddito minimo presente in Italia, ovvero il Reddito di Cittadinanza.
In merito all’adeguatezza del beneficio, è da sottolineare innanzitutto come il suo importo sia calcolato in base all’indicatore ufficiale di povertà monetaria dell’Unione Europea risalente al 2014, quantificato per la persona singola in 780 euro mensili. Stando alle raccomandazioni europee e, soprattutto, alla luce delle attuali tendenze inflazionistiche e dei rincari energetici, l’importo richiederebbe dunque un suo aggiornamento. L’Italia sarebbe chiamata, inoltre, a modificare la destinazione del sussidio a favore del singolo individuo e non del nucleo familiare.
Riguardo le raccomandazioni in merito alla copertura, gli odierni criteri per beneficiare del Reddito di Cittadinanza dovrebbero essere rivisti nell’ottica di una minore discriminazione sia verso i cittadini non italiani, ai quali viene richiesto un periodo di residenza in Italia di almeno dieci anni, sia verso coloro che non godono di un indirizzo domiciliare permanente, attualmente necessario. I requisiti reddituali e patrimoniali richiesti (soprattutto quelli per il patrimonio mobiliare), non sembrano, inoltre, riflettere il tenore di vita italiano per varie tipologie e dimensioni di famiglie, soprattutto quelle monoparentali e numerose.
Relativamente al rapporto tra i nuclei potenzialmente eleggibili ed i nuclei che effettivamente usufruiscono del RdC, il Rapporto Caritas del 2021 individuava il cosiddetto tasso di take up all’80%, sottolineando tuttavia la significativa differenza che contraddistingue i requisiti per ottenere il beneficio e i requisiti che determinano lo status di povertà. Infatti, a causa degli stringenti criteri di accesso e della complessità dell’architettura informativa, che dunque dovrebbero essere soggetti ad una modifica, solo il 46% dei nuclei familiari poveri fruisce della misura.
Per quanto riguarda la funzione di promozione dell’attivazione lavorativa che il reddito minimo dovrebbe assolvere, le raccomandazioni dettate dalla Commissione risultano di particolare importanza per il contesto italiano. Infatti, dalla relazione annuale dell’Inps, elaborata a luglio 2022, si evince che da aprile 2019 ad aprile 2022 soltanto il 20% degli individui in età lavorativa (circa il 40% dei nuclei), con almeno undici mensilità di RdC percepite nel 2021, risulta occupato. Tale dato dovrebbe essere letto congiuntamente al fatto che i percettori “stabili” del RdC che lavorano, nel 2019 circa il 33%, sono titolari, in circa il 60% dei casi, di contratti a termine e a tempo parziale, lavoratori spesso molto deboli e con redditi molto bassi. Le raccomandazioni europee dovrebbero quindi essere accolte nella prospettiva di un significativo intervento in materia di politiche di investimento sociale, che preparino alla costituzione di una forza lavoro qualificata in linea con le domande del mercato del lavoro, di revisione degli incentivi e dei disincentivi derivanti dai regimi fiscali e previdenziali, e di rafforzamento degli incentivi all’assunzione, (post)inserimento, tutoraggio e consulenza.
Le raccomandazioni riguardo la necessità di costruire un approccio individualizzato e garantire l’accesso a servizi essenziali, dovrebbero invece invitare l’Italia a potenziare, soprattutto a livello di personale, e ristrutturare, a livello organizzativo, i suoi Centri per l’Impiego, sovraccaricati ulteriormente dal RdC, poiché incaricati ad accompagnare ab initio l’intero processo di attivazione lavorativa e di inclusione sociale. Alle condizioni attuali risulta infatti molto difficile per i Centri per l’impiego provvedere alla costruzione di un percorso di inserimento lavorativo personalizzato per ogni profilo, sia perché sottorganico, sia per la frequente inadeguatezza della formazione ricevuta dagli operatori, sia per il mancato aggiornamento e reciproco dialogo delle banche dati territoriali.
La riforma dei Centri per l’Impiego sarebbe sollecitata anche dalle raccomandazioni dettate sul fronte della governance, del monitoraggio e della rendicontazione degli schemi di reddito minimo. In particolare, la fitta rete dei soggetti coinvolti nell’integrazione lavorativa e nei piani di inclusione sociale non appare inserita in un contesto di coordinamento e cooperazione, soprattutto a livello informativo, fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Valeria Virgili
ADAPT Junior Fellow