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Bollettino ADAPT 5 dicembre 2022, n. 42
È indubbio come la lotta contro il cambiamento climatico stia sempre più evidenziando la necessità di promuovere azioni a sostegno della decarbonizzazione e della riduzione delle emissioni per passare a sistemi economici e produttivi sempre più verdi e sostenibili. È altrettanto certo come però la transizione verde e giusta comporterà contemporaneamente la necessità di riconversioni dei cicli di produzione, delle fonti energetiche utilizzate, e di trasformazione delle competenze e professioni. Proprio in tal senso, e come peraltro dichiarato dagli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite poi ripresi dalle politiche europee sulla transizione, le istituzioni e le parti sociali si sono mosse cercando di integrare il dettato della Green transition con quello della Just transition, così da concretizzare pienamente l’obiettivo di sviluppo sostenibile (a livello ambientale, economico e sociale).
Invero, la transizione non è esente da rischi socioeconomici, in particolar modo in quei settori, fra i quali il settore energetico, dei trasporti, definiti dalla dottrina come hard-to-abate o energy intensive, e dunque comparti in cui l’impatto occupazione e sociale delle transizioni potrà essere particolarmente oneroso se non saranno adottati idonei interventi correttivi.
Proprio a livello comunitario, negli ultimi anni, sono emersi diversi nuovi strumenti, adottati in altrettanto svariati pacchetti legislativi, espressione di possibili risposte alle sfide socio-economiche, oltre che ambientali, poste dalla transizione ecologica. Fra questi, in particolare, è possibile ricordare il Just transition mechanism, uno strumento che, mobilitando almeno 55 miliardi di euro nel periodo 2021-2027 nelle regioni più colpite, al fine di attenuare l’impatto socioeconomico della transizione, diventa chiave per garantire che la transizione verso un’economia climaticamente neutra avvenga in modo equo e non lasci indietro nessuno. Similmente hanno agito i singoli Stati membri, dedicando specifici finanziamenti atti a sostenere, accompagnare e dirigere i processi di transizione a livello nazionale e territoriale, così da meglio gestire le sfide presenti in ciascun territorio, nonché le esigenze e gli obiettivi di sviluppo da raggiungere entro il 2030.
Se dunque, varie e complesse sono le iniziative introdotte a sostegno dei processi di transizione, è indubbio come tale varietà renda difficile una valutazione sulla generale coerenza e rilevanza del loro valore aggiunto nella gestione dei processi di transizione.
Lo studio Financing the Just Transition: An EU overview, commissionato da IndustriAll a Syndex, di propone quindi di evidenziare casi virtuosi di gestione dei processi di transizione ecologica, mettendo in luce il ruolo delle parti sociali, il livello di dialogo di riferimento, l’oggetto e lo scopo delle pratiche. Obiettivo dello studio è quello di riflettere sul ruolo delle relazioni industriali e dei sindacati che si è già potuto apprezzare in alcuni Stati Europei.
In particolare, qual è il ruolo che i sindacati devono giocare nell’elaborazione e nell’attuazione di una Giusta Transizione? Nello studio sono stati quindi analizzati cinque casi studio corrispondenti a cinque Stati Membri: Germania, Bulgaria, Spagna, Italia, Slovacchia, approfondimenti attraverso cui si sono voluti evidenziare i punti di convergenza e le questioni comuni riguardo i processi di riconversione e transizione, dunque in particolare:
1. Il limite dell’approccio territoriale del finanziamento
Lo studio sottolinea come la scelta della Commissione Europea di focalizzarsi sul livello territoriale pone il problema dell’efficacia dei finanziamenti guardando alle questioni settoriali in gioco. Invero, il meccanismo per una Giusta Transizione è orientato al territorio e si concentra non sulle dinamiche dei comparti produttivi ma sulle regioni ad alta intensità di carbonio e sull’industria mineraria.
2. Il coinvolgimento dei sindacati
Lo studio ha sottolineato le criticità anche in termini di definizione del ruolo che le organizzazioni sindacali devono svolgere nelle procedure di informazione e consultazione dei Piani Territoriali per una Giusta Transizione. È indubbio, infatti, come il coinvolgimento effettivo dei sindacati varia significativamente da un paese all’altro. Virtuosi sono i meccanismi adottati in Germania e in Spagna, paesi nei quali i sindacati sono stati di volta in volta coinvolti nella governance dei Piani Territoriali per una Giusta Transizione, seppur con alcune criticità nella definizione dell’effettivo oggetto delle procedure di informazione e consultazione. Le parti sociali hanno, di fatto, concretamente alla miglior gestione e accompagnamento progettuale dei programmi finanziati nell’ambito della EU Just Transition (in Germania, ad esempio, è stato previsto e attuato il coinvolgimento del German Trade Union Confederation e del Mining, Chemical and Energy Industrial Union nella Zukunftsagentur Rheinische Revier).
Se, quindi, in alcuni paesi si può parlare di gestione virtuosa e copartecipata dei processi di transizione, è indubbio come in altri Stati membri si debba invece parlare di “esclusione”, pressochè totale dei sindacati e delle parti sociali da qualsivoglia decisione. Questo, come evidenziato dallo studio, il caso di Bulgaria e Slovacchia. Nel caso della Bulgaria, il sindacato Podkrepa, nonostante le proteste attuate e le richieste alla Commissione Europea e alle istituzioni pubbliche regionali, non è ancora stato coinvolto in processi di informazione e consultazione con riferimento ai processi e finanziamenti nell’ambito della giusta e verde transizione.
Ancora differente la situazione dell’Italia, che pur presentando talune iniziative virtuose di coinvolgimento delle parti sociali, non pare sufficientemente attuare i processi di coinvolgimento e co-progettazione: il ruolo dei sindacati, di fatto, si è limitato a mera partecipazione “informata” sui progetti per i Piani Territoriali per una Giusta Transizione, mancando totalmente un coinvolgimento attivo, in termini di consultazione, proposte di modifica o integrazione degli stessi. Esempio virtuoso risulta essere invece la consultazione formale e periodica delle parti sociali sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), a dimostrazione di una politica di definizione congiunta delle discipline sia territoriali che settoriali in ambito di Transizione ecologica.
Accanto allo studio sul ruolo delle relazioni industriali nei singoli Stati Membri, lo studio riflette anche sul più generale quadro di gestione sistemica dei processi di green e just transition messo in atto dalla Commissione Europea, finalizzato allo sviluppo, monitoraggio, implementazione e valutazione dei progetti Piani Territoriali per una Giusta Transizione. Come per i casi nazionali, la ricerca evidenzia come la maggior parte delle consultazioni organizzate per la definizione, monitoraggio e implementazione dei Piani Territoriali per una Giusta Transizione, siano state per lo più organizzate da società di consulenza esterne (PWC nel caso della Bulgaria), negando di fatto una attiva partecipazione dei sindacati e invece lasciando quasi esclusivamente la rappresentanza della società civile organizzata alle ONG ambientaliste.
Quale, dunque, la chiave per il coinvolgimento attivo dei sindacati? Partendo dalla valutazione dei casi virtuosi, lo studio evidenzia come in Germania e in Spagna il miglior coinvolgimento del sindacato sia dovuto alla loro presenza iniziale e preesistente all’attuazione dei piani Territoriali, nei meccanismi di progettazione nazionale e/o regionale riguardanti la più ampia questione della Giusta Transizione. Diversamente, la gestione europea è stata caratterizzata da una attuazione dei Piani Territoriali ad opera della Direzione generale della Politica regionale e urbana (REGIO) senza alcun coinvolgimento della Direzione generale della Occupazione, affari sociali e inclusione. Invero, se il primo soggetto EU ha effettivamente esperienza nella gestione dei fondi comunitari regionali, sembra essere insufficiente nella progettazione di percorsi di attivo coinvolgimento dei sindacati nella selezione, realizzazione e valutazione dei progetti.
3. Una moltiplicazione di mezzi
I Piani Territoriali per una Giusta Transizione sollevano infine una ulteriore questione dei limiti del finanziamento progettato con riferimento alla Just Transition, in particolare in termini di governance dei fondi europei interessati, dal momento che sono coinvolti più attori in termini di responsabilità. In effetti, secondo la Commissione europea, la maggior parte dei fondi dell’UE può essere mobilitata per finanziare Just Transizione: questa moltiplicazione di strumenti finanziari, se da un lato quindi si propone di progettare un sostegno economico di più ampio raggio possibile, dall’altro rende difficile la valutazione dell’effettivo e finanziamento su specifici progetti. Più semplicemente, l’indicazione generale (o meglio, generalizzata), di sostegno economico ai processi di Green e Just transition sembra aver fatto sì che, più concretamente, non siano stati promossi progetti specifici sulla giusta transizione. La stessa criticità riscontrata a livello settoriale, nazionale sembra esserci anche in termini di approccio globale.
Lo studio sottolinea, quindi, come in questa fase difficilmente si possa riconoscere come sufficiente ed efficiente il sistema di governance, che invece dovrebbe essere atto a garantire un approccio coerente e coordinato di tutti quei finanziamenti sulla Giusta Transizione. La Commissione europea nella sua raccomandazione per garantire una Transizione giusta ed equa verso la neutralità climatica seppur abbia stabilito linee guida al fine di concretizzare i vari obiettivi, risulta essere carente in termini di effettività delle proposte, essendo molte di queste proposte di soft law.
Ancora, una ulteriore criticità sottolineata dalla ricerca con riferimento all’impatto del finanziamento è il tasso di assorbimento dei fondi dell’UE da parte dei membri Stati, in particolare qualora non venisse messa in atto una governance adeguata. Infatti, la capacità di assorbimento dei fondi comunitari di un paese è legata alla sua capacità di poter impostare in modo tempestivo il programma dell’iniziativa per cui si sta impegnando, determinato dai tempi di progettazione, approvazione e attuazione delle iniziative e dai vari controlli per garantire il corretto utilizzo dei fondi comunitari. Ad esempio, l’Italia e la Spagna, i due maggiori beneficiari attesi del Next generation Eu in termini di importi in euro, sono tra i peggiori risultati in termini di assorbimento dei fondi dell’UE: nello specifico, per il periodo 2014-2020 la Spagna aveva assorbito solo il 39% del denaro che le spettava dai Fondi strutturali europei, similmente l’Italia con una percentuale del 40%.
Se il rapporto mira quindi a fornire una panoramica completa e uno “stato di avanzamento” delle varie fonti di finanziamento e dei modelli nazionali esistenti per finanziare la transizione giusta, è indubbio come le varie criticità sottolineate evidenzino una necessità in termini di implementazione dei processi di informazione e consultazione delle parti sociali, ovvero di una semplificazione e maggiore specificazione delle linee di finanziamento per effettivamente addivenire ad una green e just transition.
Gioele Iacobellis
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena