Il mio canto libero – Tutela dei beni pubblici e libertà di produrre

Bollettino ADAPT 12 dicembre 2022, n. 43
 
Lo Stato non deve disturbare chi ha voglia di fare. Questo il motto della Presidente del Consiglio. Analogo a quello ricorrentemente affermato dalla popolarissima presidente della Comunidad di Madrid Isabel Ayuso. Si presume che le due donne intendano dire che lo Stato non deve molestare con norme inutili o eccessive chi vuole responsabilmente lavorare e produrre. Si tratta di un impegno non banale nel momento in cui decisori di diverse latitudini geografiche e politiche si sono illusi di perseguire obiettivi di “zero COVID” o di “zero illegalità” o di “rischio zero” vincolando pesantemente i comportamenti delle comunità amministrate fino a rattrappirne la naturale vitalità. In Italia, in particolare, si è prodotta dai primi anni ‘90 una lunga deriva nel segno della ipertrofia regolatoria recependo perfino le direttive europee con un ulteriore sovraccarico di divieti e sanzioni.
 
Eppure dobbiamo constatare la conclusione della fase del denaro a buon mercato e dei facili incrementi della massa monetaria per cui nessuna economia potrà crescere ricorrendo all’ulteriore indebitamento pubblico e privato. Tantomeno la nostra. La futura crescita economica e sociale si lega necessariamente a un nuovo equilibrio tra, da un lato, essenziali norme e istituzioni dedicate a beni pubblici come la salute, la sicurezza, l’ambiente, la leale concorrenza, l’equità sociale e, dall’altro, libere condizioni che creano imprese e lavoro. Vi sono modi di legiferare, fondati sulla antropologia negativa, che stabiliscono regole tarate sulla volontà di impedire le patologie più rare ed estreme. Con il risultato di inibire le persone per bene e di favorire i malintenzionati usualmente attrezzati ad aggirarle.
 
Vi sono poi regole che sono disegnate su un vecchio mondo cancellato dal salto tecnologico. Basti pensare a tutti quegli adempimenti formali prescritti nella illusione di prevenire con strumenti cartolari la violazione della riservatezza dei dati personali o gli infortuni nel lavoro o gli abusi di mercato. Per non dire della propensione a proibire la libera circolazione di cose o persone con pesanti ripercussioni sul benessere materiale e psicofisico di moltitudini per contenere pericoli immanenti per i quali occorrono moderne modalità di ordinaria convivenza.
 
Emblematica diventa a questo proposito la politica del lavoro nella grande trasformazione in corso. Abbiamo recentemente celebrato il più alto tasso di occupazione ma perfino nel contesto di un forte declino demografico e di lavori irreperibili restiamo il fanalino di coda in Europa. Giovani che non studiano né lavorano, adulti disoccupati di lungo periodo, donne costrette a scegliere tra lavoro e maternità, lavoratori poveri o irregolari, imprenditori bloccati dalla carenza di personale non trovano risposte in regole più rigide. Il formalismo dei divieti richiederebbe almeno un mondo statico. Il che non è. Non si tratta quindi di ridurre le tutele ma, al contrario, di renderle effettive attraverso strumenti sostanziali come gli incentivi alla modernità del nostro terziario, enti bilaterali che governino i mercati del lavoro fragili, intermediari capaci di organizzare percorsi di collocamento mirati ai lavoratori e ai datori di lavoro, gestioni del personale attente al materno e tante opportunità educative e formative, tali da incontrare i talenti e le capacità che sono in ciascuna persona.
 
Ecco, l’alternativa non è solo o tanto tra più e meno regole ma tra vecchie e nuove politiche pubbliche ove le seconde coniugano libertà e responsabilità.
 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

Il mio canto libero – Tutela dei beni pubblici e libertà di produrre