Abbiamo bisogno ancora di un Ezio Tarantelli?

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Bollettino ADAPT 27 marzo 2023, n. 12
 
Il trentottesimo anniversario della barbara uccisione del prof. Ezio Tarantelli non costituisce un evento di per sé significativo, ma cade in un momento in cui il dibattito sui temi del lavoro sta assumendo caratteristiche semplicistiche e tali da far sembrare quella stagione ben lontana.
Il sindacalismo confederale negli scorsi decenni ha affrontato, dopo la gloriosa stagione delle lotte e delle conquiste, sfide critiche (stagnazione della disoccupazione, inflazione e rincorsa prezzi-salari, modernizzazione del mercato del lavoro) nutrendosi del contributo stabile di intellettuali ed economisti che hanno permesso di gestire le stesse con politiche coraggiose e illuminate.
 
Non abbiamo mai riflettuto abbastanza su come sia potuto capitare che solo in Italia il terrorismo politico abbia per lungo tempo potuto prendere letteralmente di mira le migliori menti che hanno voluto aiutare il Paese intero a superare crisi critiche che hanno ingabbiato e ingessato il lavoro. Biagi, D’Antona, Tarantelli, lo stesso Gino Giugni gambizzato sono nomi ormai cari a sempre meno addetti ai lavori. I loro contributi di studi e di proposta non sembrano più essere considerati significativi.
Ezio Tarantelli, uomo mite, che forse oggi non “bucherebbe” in nessun social o talk show, studioso dalla grande esperienza diretta internazionale, ottimo insegnante, noto per la teoria sulla predeterminazione dei salari in epoca di inflazione ma grande elaboratore di politiche per contrastare la disoccupazione, aperto alla cultura sindacale di sinistra ma ascoltato in quella stagione dalla sola Cisl, ha permesso con il suo generoso contributo di sostenere l’azione sindacale e pubblica nel superare lo spettro della stagflazione dei primi anni Ottanta.
 
Il dibattito pubblico e delle parti sociali attorno ai temi del lavoro nel nostro Paese continua a dover affrontare elementi critici e strutturali vecchi e nuovi: bassi salari, scarsa produttività di sistema, basso tasso di occupazione soprattutto femminile e giovanile, a cui si aggiungono peso della demografia e assenza di politiche attive. Quello che stona e che ci allontana ancor di più da quella stagione è che la maggior parte dei protagonisti politici e sociali affrontano oggi questa discussione senza quasi mai pensare a riforme, a nuovi strumenti, e sempre più rivolgendosi ad uno Stato che debba rispondere a tutto.
 
Inoltre le proposte in campo assumono sempre più una forma radicale, attenta più alla comunicazione e al consenso che alla traduzione pratica, magari attingendo senza approfondire a soluzioni di altri paesi. Abbiamo salari bassi? E allora serve il salario minimo per legge, come in Germania, senza valutare lo sconquasso che porterebbe al robusto sistema contrattuale. Abbiamo troppi precari? Facciamo come in Spagna, dove per legge sarebbero stati cancellati, senza approfondire le pieghe di soluzioni complesse.
 
Al lavoro in Italia continuano a servire riforme, non ricette. Modernizzare il mercato del lavoro con riforme contrattuali e legislative che tutelino i lavoratori nelle transizioni, che sostengano tutte le forme di lavoro senza ridurle ad una sola, che alzino i salari in rapporto alla competitività, al valore del lavoro e alla crescente innovazione è l’unica strada che va percorsa per elevare la qualità e la tutela di chi lavora.

Ma per imboccarla con più decisione serve una proposta sindacale non autosufficiente, non legata alle quotidiane interviste sui media o di pura denuncia, ma capace di attrarre i contributi degli Ezio Tarantelli di oggi. Ammesso di sentirsi così umili da averne ancora bisogno.
 
Roberto Benaglia
Segretario generale Fim-Cisl

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