La legge sull’equo compenso non è equa

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 8 maggio 2023, n. 17
 
La legge sull’equo compenso approvata in via definitiva il 13 aprile 2023 è l’evoluzione di un progetto di legge presentato nel 2017 a firma Sacconi (Disegno di legge 2858), più volte modificato e integrato, ma che mantiene un’impostazione che è figlia dell’obiettivo originario: ripristinare i vecchi sistemi tariffari degli ordini professionali, eliminati nel 2006.
 
Il disegno di legge Sacconi nasceva in seguito a un’importante sentenza della Corte di Giustizia Europea (relativa alle cause riunite C-532/15 e C-538/15, depositata l’8 dicembre 2016) che stabiliva la conformità al diritto UE sulla concorrenza (art 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea) della determinazione di tariffe fissate per legge per i servizi prestati da procuratori legali senza possibilità di negoziazione tra le parti.
 
Nella prima versione il disegno di legge si rivolgeva solo ai professionisti ordinisti, ma quasi subito lo stesso Sacconi allargò nominalmente l’ambito della legge ai professionisti di cui legge 4/2013. Successivamente altre integrazioni hanno contribuito a definire il perimetro della nuova legge, che però mantiene i limiti di un provvedimento pensato per i soli professionisti ordinisti, senza l’attenzione a coprire le situazioni più deboli, anche degli stessi ordinisti.
 
Ci sono almeno cinque aspetti della legge, che ne riducono l’applicazione e/o che la rendono non equa.
 
1. La definizione dello squilibrio contrattuale
 
Esso è identificato dalle situazioni in cui i committenti sono imprese bancarie o assicurative, imprese con ricavi annui superiori a 10 milioni di euro o con più di 50 dipendenti oppure appartengono alla pubblica amministrazione (con la strana esclusione delle aziende di riscossione che potranno continuare a sottopagare).
 
In questo modo da un lato non sono tutelate situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e piccole imprese, dall’altro lato le norme sull’equo compenso interesseranno anche i grandi studi consolidati di professionisti, spesso contrattualmente più forti delle imprese committenti.
 
La valutazione invece dovrebbe riferirsi a entrambi i contraenti e valutarne il rapporto di forze.
 
Un utile rifermento per l’ambito di attuazione poteva essere fornito dalle nuove linee guida per la contrattazione collettiva dell’Unione Europea. Esse escludono l’applicazione del diritto nazionale della concorrenza ai “solo self-employed” (quindi esclusivamente ai lavoratori autonomi senza dipendenti, non agli studi strutturati) in tutte le situazioni di squilibrio contrattuale, individuando come limite per la controparte un fatturato superiore ai 2 milioni di euro o più di 9 dipendenti (microimpresa).
 
2. il riferimento alla legge 4/2013
 
La legge 4/2013 non include e non potrà mai includere tutti i professionisti non ordinisti.  Essa ha dato origine ad associazioni a cui si può aderire su base volontaristica e pluralistica.
 
Volontaristica in quanto iscriversi a una associazione ex lege 4/2013 non è obbligatorio per esercitare una professione non ordinistica. Né poteva essere differente, dato che si tratta di professioni per le quali non esistono specifici requisiti e non è previsto il superamento di un esame che autorizzi legalmente ad esercitare.
 
Pluralistica in quanto queste associazioni possono essere costituite senza vincolo di rappresentanza esclusiva; quindi, possono convivere più associazioni nell’ambito della medesima “categoria”, ciascuna con proprie regole.
 
Moltissimi professionisti hanno scelto di non aderire ad alcuna associazione e d’altra parte molti professionisti operano in ambiti in cui non esistono associazioni professionali di categoria o associazioni che hanno chiesto il riconoscimento della legge 4/2013.
 
Una legge inclusiva avrebbe dovuto applicarsi a tutto il perimetro individuato dalla legge 81/2017, solo così avrebbe così avuto carattere universale.
 
3. La mancanza di parametri per le professioni non ordinistiche rende inattuabile la legge per questo importante segmento del lavoro autonomo professionale
 
Per la definizione dei parametri la legge sull’equo compenso rimanda a un decreto attuativo del Ministero delle imprese, da emanare entro 60 giorni dalla pubblicazione, ma non sono ancora stati individuati neppure i metodi e le procedure che dovranno portare a questa definizione.
 
La mancanza di parametri rende la legge non applicabile e di fatto esclude dalla tutela dei compensi tutti i lavoratori non ordinisti, che rappresentano la parte più dinamica del mondo professionale (dal 2015 al 2021 sono cresciuti del 35%, contro il 2,4% degli ordinisti), ma anche la più esposta alle pressioni di un mercato del lavoro che chiede totale flessibilità in cambio di compensi iniqui e spesso irrisori.
 
I dati sui redditi disponibili per i professionisti iscritti alla gestione separata INPS segnalano che il reddito medio nel 2021 era pari a 15.129 euro, in diminuzione del 12,7% rispetto al 2015, quando era pari a 17.047 euro. Per un confronto coi redditi dei professionisti ordinisti, sono disponibili i dati ADEPP: per essi il reddito medio nel 2021 era di 35.989 euro, in crescita del 5,8% rispetto al 2015 (quando il reddito era di 33.955 euro).
 
4. Non ci sono norme che regolano la sub-committenza
 
La pubblica amministrazione e le grandi imprese dovranno rispettare equi compensi nei confronti dei fornitori, ma non c’è nessuna norma che imponga di controllare che gli stessi criteri siano rispettati in tutta la catena di subfornitura.
 

5. I professionisti, anche ordinisti, non sono tutelati nei confronti degli studi professionali con cui collaborano
 
È una situazione che interessa soprattutto i più giovani, anche avvocati, come dimostrano i dati sui redditi forniti dalla Cassa Forense. Nel 2020 il reddito medio di un avvocato era pari a 37.785 euro (50.933 gli uomini e 23.576 le donne), ma 13.274 per gli avvocati con meno di 30 anni e 16.123 per la fascia 30-34 anni.
 
Le grandi società di professionisti potrebbero aumentare i propri profitti grazie alla combinazione dell’equo compenso delle prestazioni con l’iniquo compenso dei propri collaboratori. Un aspetto questo che rischia di indebolire anche i professionisti singoli che lavorano autonomamente, che difficilmente potranno sostenerne la concorrenza.
 
In conclusione, è una legge che non tutela i più deboli, perché esclude le categorie professionali che più ne avrebbero bisogno, perché non protegge nelle situazioni di sub-committenza e non garantisce alcun minimo contrattuale ai collaboratori di studi professionali. Tutti questi professionisti potranno continuare a percepire compensi irrisori e restare nell’area dei working poor.
 
È una legge che invece risponde a interessi corporativi grandi e piccoli.
 
Tra i grandi quelli degli ordini professionali e in particolare dell’ordine degli avvocati (non è un caso che 121 parlamentari siano avvocati, oltre il 20% dell’intero parlamento!).
 
Tra i piccoli quelli delle associazioni che si sono battute per la legge 4/2013 e che ora cercano di dare sostanza ad una legge che non ha mai avuto senso e utilità. Entreranno a far parte dell’Osservatorio nazionale sull’equo compenso, a cui invece non parteciperanno le altre organizzazioni di rappresentanza del lavoro professionale non ordinistico, e potranno utilizzare la legge 4/2023 come un recinto per escludere dai dritti chi è fuori da essa.
 
Anna Soru

Ricercatrice economica e fondatrice di ACTA in rete

@annasoru

.

La legge sull’equo compenso non è equa