Bollettino ADAPT 19 giugno 2023, n. 23
Silvio Berlusconi è stato imprenditore di successo ma privo di esperienze nelle relazioni collettive di lavoro. Al più, conobbe i sindacati edili nella sua prima fase di costruttore. Nell’industria dello spettacolo fu riconosciuto come un datore di lavoro generoso al punto che qualcuno potrebbe definirlo “paternalista”. Sta di fatto che non ebbe controversie sindacali e tutti i collaboratori sono sempre risultati soddisfatti, quantomeno fino al giorno delle dimissioni. Perché la parola licenziamento era bandita.
In politica, consapevole della rilevanza delle tematiche del lavoro e determinato a fare più occupazione, si affidò consapevolmente ad esperti provenienti dalla sinistra riformista e dalla destra sociale, financo da organizzazioni sindacali. Accettò immediatamente la collaborazione di Marco Biagi, consigliato a condividerne il progetto di modernizzazione del mercato del lavoro. Purtroppo la assenza nei più di una memoria relativa al nostro terrorismo ideologizzato, portò a subire le sottovalutazioni istituzionali che peraltro non considerarono le segnalazioni di pericolo provenienti dai “servizi”.
La delega per il lavoro a ministri e sottosegretari fu piena e sincera, accettando anche uno scontro sociale di cui non comprendeva l’accanimento sull’art. 18 dello Statuto. Ebbe la soddisfazione del Patto per l’Italia, sottoscritto da 36 su 37 organizzazioni di rappresentanza, e di quella legge Biagi che riscontrò consensi trasversali in Italia e nella stampa internazionale. Con evidenti e immediati risultati nei tassi di occupazione.
Convinto sostenitore del principio costituzionale di sussidiarietà, preferiva il contratto duttile alla legge rigida. E per questo raccolse il consiglio di Biagi a che le relazioni di lavoro si spostassero quanto più da Roma alla dimensione di prossimità. Nel primo consiglio dei ministri del suo quarto gabinetto detassò al 10% definitivo tutte le componenti della retribuzione decise in azienda o nei territori per gli operai e larga parte degli impiegati. Inclusi gli straordinari. Chi lavora di più e meglio, sosteneva, deve guadagnare di più e non essere punito dalla progressività. Quando poi la BCE chiese di correggere l’art. 18 preferì consegnarne la capacità alle parti sociali attraverso l’art.8 della sua ultima manovra nell’agosto 2011.
Ai suoi governi si devono le prime politiche dedicate alla integrazione tra apprendimento teorico e pratico, dall’apprendistato orientato al conseguimento di qualifiche, diplomi, titoli universitari alla ambiziosa riforma Moratti del sistema di istruzione. Le sosteneva l’idea di offrire una pluralità di percorsi di pari dignità in modo da condurre ogni giovane a competenze superiori attraverso la soluzione educativa più idonea ai suoi talenti.
Nel complesso, gli viene riconosciuto dalla cultura politica liberale di avere, soprattutto, evitato all’Italia soluzioni peggiori.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi