Il lavoro a chiamata nei pubblici esercizi: spunti a margine di una recente sentenza

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 18 settembre 2023, n. 31
 
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza del 24 luglio 2023 n. 22086, si è espressa in maniera chiara e si può dire ultimativa sulla questione delle ipotesi oggettive e soggettive che consentono la stipula di un contratto a chiamata e, in particolare, sulla non concomitanza delle stesse ai fini della legittimità dello stesso.
 
Del resto, ripercorrendo i commi 1 e 2 dell’art. 13 del d.lgs. n. 81/2015 si riesce ad avere già un quadro letteralmente chiaro, non solo dell’ambito definitorio e cioè di un contratto di lavoro mediante il quale un datore di lavoro “può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente”, ma anche della esplicitazione delle citate ipotesi oggettive o soggettive che ne consentono la stipula.
 
Quindi, le ragioni oggettive sono quelle individuate dai contratti collettivi e in mancanza di contratto collettivo, quelle previste con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e, in ogni caso, per ciò che attiene alle ipotesi soggettive, è possibile assumere a chiamata soggetti con meno di 24 anni e con più di 55 anni.
 
Nelle ragioni della decisione assunta dalla Suprema Corte la ricostruzione logica ruota attorno all’esegesi   della locuzione “in ogni caso” che abilita letteralmente in maniera non congiunta le due tipologie di ipotesi e cioè quelle oggettive di cui al comma 1 e quelle soggettive/anagrafiche di cui al comma 2. A chiudere il cerchio della ricostruzione del significato del testo di legge la Cassazione collega la locuzione “in ogni caso” alla possibilità attribuita al datore di lavoro di assumere a chiamata anche in assenza dei requisiti soggettivi, ma in presenza di quelli anagrafici e, quindi, con soggetti con meno di 24 anni e con più di 55 anni.
 
L’importanza della sentenza in commento è da evidenziare in quanto, richiamando un precedente (cfr. Cass. n. 28345/2020) in cui era stato affermato il principio secondo cui il requisito anagrafico, invece, concorre con le altre condizioni di natura oggettiva, la Corte definisce tale principio come incidentale poiché “non approfondito in quella sede in quanto non ha inciso nella decisione della controversia”.
 
I principi espressi dalla Suprema Corte offrono uno spunto utile per mettere in evidenza la stretta correlazione esistente tra la tipologia contrattuale del contratto a chiamata e i settori economici come quello dei pubblici esercizi in cui, la prestazione discontinua o intermittente è propria dell’attività d’impresa, in quanto evidentemente collegata ai flussi di clientela, ai periodi dell’anno e alla stagionalità.
 
In tal senso, il Decreto del Ministero del Lavoro del 23 ottobre 2004 prevede che è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nel decreto regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657. Per tornare, quindi, all’ambito definitorio dei requisiti oggettivi, il rinvio a tali “occupazioni” tra le quali camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genereè riconosciuto a queste per la natura dell’attività che svolgono, attribuendo, quindi, a queste una oggettiva discontinuità.
 
Non si può che sottolineare il fatto che la ricostruzione della Cassazione è coerente con un dato fattuale osservabile nella realtà economica e organizzativa dell’impresa, oltre che letterale, e, quindi, la legittimità dell’utilizzo del contratto a chiamata è motivata dalla caratteristica del settore e dalle “occupazioni” presenti nello stesso a prescindere dal requisito anagrafico.
 
A completare il quadro normativo, non può che essere citato un’ulteriore previsione contenuta nell’art. 13 del d.lgs. n. 81/2015 che è quella del comma 3, nella quale il legislatore pone esplicitamente un tetto numerico all’utilizzo di tale tipologia contrattuale fissando il limite di 400 giornate nell’arco di tre anni solari che ciascun lavoratore può prestare con il medesimo datore di lavoro, ad eccezione proprio dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
 
I dati relativi all’anno 2022 sul numero di lavoratori intermittenti nel settore dei pubblici esercizi (su un totale di 119.254 lavoratori intermittenti, 102.742 sono a tempo determinato e 16.512 sono a tempo indeterminato1) sono esemplificativi di una realtà tipicamente settoriale che riconosce in tale strumento una risposta funzionale alle esigenze produttive dell’impresa.
 
Il cambiamento dei flussi della clientela, anche con articolazioni della settimana lavorativa che non prevedono solo ed esclusivamente le aperture dei pubblici esercizi 7 giorni su 7 e su doppio turno, la concentrazione a seconda delle stagioni di un maggior presenza di clientela sia in determinati momenti della settimana che della giornata, nonché la necessità di rispondere a flussi connessi ad eventi, fiere e festività, sono solo le principali circostanze che obbligano le imprese del mondo della ristorazione, dell’intrattenimento e del turismo ad utilizzare il contratto a chiamata.
 
Tale esemplificativa rassegna di tendenze del mercato e, quindi, dell’organizzazione del lavoro conferma, come la sentenza della Corte di Cassazione ripercorra in maniera coerente un impianto normativo che riconosce al settore dei pubblici esercizi una sua peculiarità che giustifica e ammette un trattamento legislativo “speciale”.
 
Andrea Chiriatti

Responsabile Lavoro – Area Relazioni Sindacali, Previdenziali e Formazione

Federazione Italiana Pubblici Esercizi

@AChiriatti
 
1 Elaborazione del Centro Studi Fipe-Confcommercio su dati INPS.

Il lavoro a chiamata nei pubblici esercizi: spunti a margine di una recente sentenza