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Bollettino ADAPT 15 gennaio 2024 n. 2
L’andamento del mercato del lavoro italiano è caratterizzato, ormai da diversi trimestri, da un trend positivo che ha portato a superare negli ultimi mesi diversi record. Primo tra tutti quello del numero di occupati, ma anche il numero di occupate donne, quello degli occupati a tempo indeterminato e altri ancora. Una crescita che, sorprendentemente, non pare intaccata finora (abbiamo a disposizione i dati di novembre 2023) dalle deboli performance dell’economia e dal rallentamento degli investimenti. Non esiste una spiegazione univoca a questa apparente anomalia, ma è possibile elencare alcune ipotesi provando a leggere insieme gli elementi quantitativi e quelli qualitativi. Infatti i dati ci mostrano una tendenziale crescita di occupazione a tempo indeterminato, in entrambi i sessi e un numero di ore lavorate che, pur essendo ancora sotto la cifra del 2015, è in aumento. Il tutto in uno scenario generale di conclamata scarsità di offerta di lavoro, frutto delle prime marcate conseguenze del calo demografico che sta rapidamente erodendo la quota di persone in età da lavoro, in particolare i più giovani.
In questo clima di forte preoccupazione per le imprese, sembra che stia cambiando l’atteggiamento nei confronti dell’utilizzo prolungato di rapporti di lavoro temporanei. Pur rimanendo il principale canale d’accesso al mercato del lavoro, infatti, la percentuale di contratti a termine che vengono trasformati (magari anche prima del termine) in contratti a tempo indeterminato è in crescita. Il costo della perdita di una persona è infatti percepito come molto maggiore rispetto al passato, e non solo per l’eventuale investimento formativo fatto, ma proprio per le difficoltà e le lunghe tempistiche alle quali si va incontro per sostituirla, soprattutto per quanto riguarda profili dal difficile reperimento ma non solo. Questa dinamica riguarda principalmente i giovani, il cui numero di occupati è superiore di oltre 300 mila unità rispetto al periodo pre-pandemico.
Ma la crescita occupazione si concentra anche sulle fasce d’età più elevate, soprattutto sugli over 50. Qui incidono ancora gli effetti della riforma Fornero che portano a prolungare la permanenza nel mercato del lavoro di persone che anni fa sarebbero andate in pensione prima, accrescendo quindi lo stock complessivo degli occupati. Sembra invece al momento di difficile conferma la tesi secondo la quale la crescita occupazionale sia determinata dal venire meno del Reddito di cittadinanza, che avrebbe portato gli ex percettori a trovare un lavoro. Da un lato, infatti, i nuovi occupati degli ultimi trimestri si concentrano su chi ha un titolo di studio medio alto, dall’altro proprio il calo dei disoccupati e il contestuale aumento degli inattivi di novembre potrebbe suggerire che queste persone non sono riuscite a trovare un lavoro. Sullo sfondo resta però una preoccupazione relativa ai possibili effetti sulla produttività di una crescita occupazionale senza parallela crescita economica.
Guardando ai dati qualitativi sembra che il mercato si stia polarizzando, con un aumento nei primi trimestri del 2023 sia di professioni qualificate e tecniche (però diminuite di 150 mila unità nel terzo trimestre) sia di quelle non qualificate (al contrario cresciute di 77 mila). Un dato che deve interrogarci, anche a fronte della situazione salariale nel Paese che non potrà che muoversi seguendo questa polarizzazione. Quella dell’innalzamento complessivo della qualità della domanda di lavoro è quindi una delle principali urgenze oggi, sulla quale concentrare le molte risorse potenzialmente disponibili, non ci saranno altre occasioni nel breve periodo.
Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
@francescoseghezz
*pubblicato anche su Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2024