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Bollettino ADAPT 4 marzo 2024 n. 9
Dal 1° marzo è stata abolita l’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro istituita dal Jobs Act nel 2015. Una agenzia che nasceva con lo scopo di accentrare a livello nazionale le competenze in materia di politiche del lavoro che fino a quel momento erano in capo alle venti regioni italiane. Il problema però è che non bastava il Jobs Act per fare questo, occorreva un esito positivo della riforma costituzionale che lo stesso governo stava portando avanti. Esito che si è rivelato negativo dopo il referendum del dicembre 2016 e che ha lasciato Anpal, e con essa le politiche attive del lavoro, in mezzo al guado.
Si tratta quindi di uno stallo che ci accompagnava da anni e che si sintetizzava in una agenzia nazionale che non aveva le competenze per esercitare pienamente il suo ruolo. Ed è difficile addossare le colpe unicamente alla gestione (pur ampiamente discutibile) di uno dei suoi presidenti, che l’ha gestita dal 2019. Ed è anche difficile posizionarci in un dibattito senza minimo di bilancio dei primi anni di vita dell’ANPAL (quali risultati dal 2015 a tutto il 2018? vogliamo parlare di “Garanzia Giovani”, per esempio?).
La palla è sempre più in mano alle regioni, la cui autonomia dell’esercizio delle proprie competenze dovrebbe essere potenziata fornendo alle regioni la dotazione in termine di capitale umano in grado di far davvero funzionare i Centri per l’impiego, pur sapendo che senza un vero ruolo (in tutta Italia) delle agenzie per il lavoro poco si potrà fare.
Oltre a questi argomenti c’è un motivo più profondo per mettere in discussione la natura stessa dell’Anpal e riguarda la struttura dei mercati del lavoro contemporanei sempre più caratterizzati da transizioni tra periodi di lavoro (con diverse tipologie contrattuali), di non lavoro, di formazione. Chiaro che la stessa concezione delle politiche attive del lavoro sottesa al Jobs Act, come intervento pubblicistico di ricollocazione da posto a posto, è destinata a non funzionare nei mercati transizionali del lavoro che richiedono, se mai, un ripensamento del lavoro oltre il concetto di impiego e un rinnovato protagonismo degli attori della rappresentanza (o, meglio, una loro rifondazione) superando i vecchi steccati che ancora separano i territori del lavoro dipendente da quelli del lavoro autonomo professionale.
Accompagnare le persone durante queste transizioni, senza che diventino una condanna, è la sfida che il sistema di politiche del lavoro deve affrontare.
Per far questo occorre muoversi nei territori coinvolgendo attori come sindacati, imprese, scuole e università, attività difficilmente coordinabile a livello nazionale.
L’abolizione dell’Anpal non porterà certo in automatico a questo, e proprio ora il silenzio sul tema delle transizioni, del ruolo dei territori, dei mercati del lavoro, della formazione dei lavoratori è quanto mai assordante.
Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
@francescoseghezz
Università di Modena e Reggio Emilia