Rileggendo Marco Biagi, oggi

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Bollettino ADAPT 18 marzo 2024 n. 11
 
Sono tante le ragioni per rileggere oggi Università e orientamento al lavoro nel dopo riforma di Marco Biagi. A partire dalla collocazione editoriale e cioè la rivista Diritto delle Relazioni Industriali, uno dei progetti più cari a Marco e di cui era diventato direttore responsabile da pochi mesi con l’obiettivo, enunciato nell’editoriale del primo fascicolo del 2002, di “contribuire alla modernizzazione del diritto del lavoro e delle relazioni industriali”. La lettura del saggio aiuta infatti a comprendere pienamente non solo il significato pratico di questa ambiziosa enunciazione, per nulla retorica o di stile, ma anche il suo peculiare modo di intendere il giuslavorismo come giurista di progetto attento sì alla tradizione ma anche tenacemente proteso alla innovazione.
 
Numerose altre sono però le ragioni per riprendere in mano, a ventidue anni dalla sua pubblicazione, questo contributo che peraltro bene indica i principali interessi di studio di Marco (le politiche europee, le politiche attive del lavoro, il ruolo dei corpi intermedi e la concertazione sociale anche a livello locale) e il suo metodo di lavoro (la comparazione giuridica, l’analisi interdisciplinare, l’attenzione al dato di realtà e ai temi di frontiera ancora non esplorati in letteratura). Su tutte – almeno per chi lo ha conosciuto e ha imparato il mestiere presso quella che lui amava definire la sua “bottega artigiana” – va però segnalata la circostanza che questo è, con senza ombra di dubbio, il saggio dove meglio emerge il suo modo di intendere l’Università o, meglio, il suo impegno concreto per un modo “diverso” di fare Università.  E di questo abbiamo parlato a Roma, lo scorso 14 marzo, con un nutrito gruppo di dottorandi e ricercatori che generosamente cerca di offrire ancora oggi un contributo per tenere vivi questo impegno e questa progettualità (vedi Rileggendo Biagi).
 
Quella che, con non poca enfasi e malcelata autorefrenzialità, viene oggi chiamata “terza missione” era infatti, per Marco, un progetto volto a “ripensare complessivamente” la stessa didattica e la ricerca scientifica: non cioè come qualcosa di terzo (o di banale “disseminazione” rispetto alle due funzioni storiche delle Università), ma come qualcosa di necessariamente pensato con (e per) le persone, le istituzioni e il tessuto produttivo locale (p. 344). Con non poco coraggio Marco criticava cioè “la condizione di sostanziale autoreferenzialità in cui sino a oggi ha vissuto il sistema universitario del nostro Paese (p. 344). È in questa prospettiva che Marco guardava con favore l’introduzione dei tirocini formativi e di orientamento (avvenuta pochi anni prima con l’articolo 18 della legge 196 del 1997) e auspicava l’introduzione di un vero e proprio sistema di placement universitario come percorso di occupabilità per gli studenti e occasione per ripensare la ricerca e la stessa didattica attraverso non un banale learning by doing ma un più ambizioso e impegnativo “fare per imparare” così da rimettere al centro dell’Università gli studenti e le loro prospettive occupazionali e professionali future.
 
La bellezza e la potenza di questo saggio vanno comunque oltre queste considerazioni. In esso emerge, a ben vedere, tutto il suo impegno come docente e come ricercatore. La piena assunzione cioè, da parte sua, della responsabilità di formare i nostri giovani, per lui i veri artefici del cambiamento, sempre con un occhio vigile rispetto a quanto avviene fuori dalle aule universitarie. L’idea cioè di una didattica pensata per gli studenti e non per gli interessi dei professori e di una ricerca come come “catena tra generazioni” nella consapevolezza che il passaggio di testimone avviene ogni giorno, con l’esempio e la costanza, e non certo con un atto formale alle soglie della pensione o anche oltre (ne ho parlato in M. Tiraboschi, Le interviste impossibili. Marco Biagi venti anni dopo, Adapt University Press, spec. p. 91 e ss.).
 
Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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