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Bollettino ADAPT 6 maggio 2024, n. 18
Il tema delle sanzioni, in relazione all’ipotesi del distacco, è di stringente attualità, considerate le recenti modifiche legislative – introdotte con la Legge n. 56/2024 di conversione al D.L. n. 19/2024 – le quali hanno inasprito, in modo significativo, le sanzioni (anche di natura penale), per l’appaltatore ed il committente. Gli accessi ispettivi, ultimamente, si sono concentrati proprio sulle imprese che ricorrono al distacco; si parla in questi casi, infatti, di “visite di iniziativa programmata”.
Le conseguenze di un’indagine, svolta dagli ispettori dell’INPS (che, assieme agli altri Enti, dal 2015, agisce sotto l’«insegna» dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro), nei riguardi di un’impresa operante, ad esempio, nel settore dell’installazione e manutenzione di impianti – la quale, giocoforza, ricorra (diffusamente) ai contratti di distacco – offrono lo spunto per un’ampia riflessione, in ordine alla portata del verbale unico di accertamento: il peggior epilogo, con cui si possa concludere l’ispezione. Esso, peraltro, potrebbe, contemporaneamente, espandere i suoi effetti, da un lato, anche in ambito tributario – persino in assenza di un autonomo controllo da parte degli organi preposti (i militari della Guardia di Finanza o i funzionari dell’Agenzia delle Entrate) – e, dall’altro, interferire nelle relazioni industriali, andando (virtualmente) a “sostituire”, sotto l’aspetto contributivo, il contratto collettivo adottato, con quello “maggiormente rappresentativo, a livello nazionale”. Ciò, secondo l’interpretazione offerta, ad esempio, dalla Circolare INL n. 3/2018, con cui viene attribuito all’art. 1, comma 1, D.L. 9 ottobre 1989 n. 338 (convertito nella L. n. 389/1989), in concreto, l’effetto di una norma imperativa, quantomeno in tema di base imponibile contributiva “minima”.
L’analisi che qui si intende affrontare riguarda il trattamento previdenziale e fiscale delle indennità riconosciute ai lavoratori distaccati, analogamente a quanto accade per i lavoratori in trasferta. L’argomento è assai delicato, sia per la singolare “vaghezza” dei confini degli istituti in esame (distacco e trasferta), sia per l’impatto economico e finanziario, che potrebbe derivare all’impresa datrice di lavoro, in conseguenza di un accertamento ispettivo. Ove, infatti, il Libro Unico del Lavoro (LUL) fosse compilato in modo approssimativo e/o non coerente al dato fattuale (quello emerso in seguito accertato dagli ispettori), i contributi (e le imposte) potrebbero essere rideterminate, sotto il profilo impositivo, con “riprese” contributive e/o fiscali, e comminate sanzioni (da omissione, attesa la gravità della condotta contestata) sia sul versante previdenziale, sia su quello tributario.
Sotto questo profilo, emerge in tutta la sua dirompenza, il principio del cd. doppio binario punitivo, generalmente applicato quando, per un medesimo fatto illecito, vengano comminate, coi due distinti accertamenti, sanzioni tributarie e penali; il principio (con le sue implicazioni) vige anche per questa fattispecie, ovvero quando vengano contemporaneamente violati precetti previdenziali e tributari. Ciò, malgrado il (potenziale) reciproco condizionamento dei giudicati. Come l’ipotesi di assoluzione, nel penale, infatti, non priva automaticamente di efficacia la sanzione tributaria (e viceversa), nel caso, venisse annullato il verbale unico di accertamento, l’effetto salvifico non andrebbe ad influenzare (automaticamente) anche l’avviso di accertamento. L’analogia è uno strumento interpretativo complesso ed al contempo delicato. Difficilmente potrebbe replicarsi, nel dualismo sanzionatorio previdenziale e tributario, la condizione di quel contribuente che – per contenere le conseguenze di una futura ed incerta sanzione penale (anche detentiva) – si avvalga di uno dei vari riti alternativi: strumenti che mitigano od estinguono la pena (talvolta anche il reato), ma che implicitamente riconoscono la responsabilità. Scelte personali, talvolta indotte, dall’incertezza e dalla durata (spesso incontrollata) dei procedimenti penali. Se, da un lato, quella determinazione, pragmaticamente, risolve un problema, dall’altro, potrebbe acuirne un altro: quello tributario. Nel contegno remissivo, infatti, si potrebbe ravvisare la conferma della condotta illecita.
Non disponendo di corrispondenti strumenti deflattivi, stante il carattere impugnatorio, sia in ambito tributario, che previdenziale, il contribuente dovrà valutare – ricorrendone, beninteso, i presupposti – l’opportunità di assumere una tempestiva (visto i differenziati termini; per proporre ricorso: 90 giorni, nel primo – ex art. 14 L. 689/1981 – e 60, nel secondo) iniziativa tanto per il verbale unico di accertamento, dinnanzi il Tribunale Ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro (competenza funzionale), quanto per l’avviso di accertamento, dinnanzi la Corte di Giustizia Tributaria.
Sullo sfondo – occorre ricordarlo – permane il vincolo di solidarietà delle imprese “distaccatarie”, secondo lo schema di cui all’art. 29 D.lgs 276 del 2003. Una norma concepita per garantire soddisfazione sia agli enti previdenziali ed assistenziali, sul versante contributivo e assicurativo, sia ai lavoratori, sotto il profilo retributivo, per tutte le ipotesi dell’appalto e quindi anche del distacco. Sul punto, anche per le considerazioni che seguono, occorrerà valutare l’impatto del comma 1-bis dell’art. 1 del D.lgs 276/2023, così come novellato dalla Legge n. 56/2024, pubblicata in G.U., lo scorso 30/04/2024, la quale prevede di riconoscere “Al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona”.
Gli effetti di questa norma (il D.lgs 276/2023, concepita con nobili scopi), tuttavia, hanno spesso – per inciso – generato effetti diversi rispetto alla tutela del lavoratore e/o dei crediti previdenziali ed assistenziali. È accaduto, infatti, che (1) il committente/distaccatario, assolta la propria obbligazione, nei confronti dell’appaltatore/distaccante, venisse chiamato a pagare (atteso il vincolo di solidarietà), somme non corrisposte (o successivamente accertate) da quest’ultimo risultato insolvente nei confronti dell’INPS o dei lavoratori; oppure, è accaduto anche (2) in danno dell’appaltatore/distaccante, che, in assenza di un DURC regolare, si vedesse trattenere, dalla sua controparte contrattuale, il corrispettivo, per anni (i 2 indicati dall’art. 29 D.lgs 276/2003 od i 5 della prescrizione previdenziale, come da ultimo ricordato dalla Suprema Corte, nella recentissima ordinanza del 21/03/2024).
Malgrado le evidenti distinzioni tra trasferta e distacco (in questo secondo caso il potere direttivo sul lavoratore viene esercitato dall’impresa distaccataria), la remunerazione compete sempre al datore di lavoro distaccante. Può, tuttavia, accadere che nel contratto di distacco, il distaccatario s’impegni a sostenere gli oneri (anche previdenziali) dei lavori distaccati, per la prestazione effettivamente resa in proprio favore, rimborsandole al distaccante. L’ipotesi è considerata legittima (ex multis, Cass. Civ. Sezioni Unite, n. 1.751 del 13/04/1989), nella misura in cui non ecceda le somme a qualunque titolo erogate (13^, 14^, ferie, ratei del TFR, ecc.) al lavoratore da parte del distaccante, come conferma anche l’interpretazione ministeriale (circolare n. 3 del 15/01/2004 del Ministero del Lavoro); la stessa circolare, inoltre, precisa che le somme erogate dal distaccatario debbano, comunque, essere registrate nel cedolino paga del lavoratore distaccato. Per contro, ove dovesse essere accertato un rimborso eccedente l’onere economico sostenuto dal distaccante, si potrebbe delineare l’ipotesi di illecita somministrazione e come tale sanzionata.
In questa digressione, appare, tuttavia, superfluo addentrarsi nella ricerca delle sfumature dell’illecito, in tema di appalto o di somministrazione, e, nello specifico, quelle declinate dall’art. 30 del D.lgs 276 del 2003, che definisce il distacco, nella sua concreta applicazione. È, invece, più opportuno soffermarsi sul modo in cui, anche l’ipotesi lecita del distacco possano verificarsi situazione tali da comportare violazioni idonee ad attivare recuperi e sanzioni (da omissione o da evasione).
Al lavoratore (trasferito o distaccato), dunque, sono dovute le «indennità» ed i «rimborsi» (termini spesso erroneamente confusi come sinonimi), da escludere (in tutto o in parte), dalla base imponibile del reddito da lavoro dipendente, sia sotto il profilo fiscale, che contributivo.
È, dunque, l’art. 51 del D.P.R. n. 917/1986 (il T.U.I.R) – norma tributaria – a stabilire che le indennità di trasferta (al di fuori del Comune della sede datoriale), quelle di prima sistemazione, od altre indennità connesse, siano sottoposte, per il primo anno, ad un regime speciale (il cd. rimborso forfettario, che si distingue da quello analitico). Esse, infatti, non concorrono alla determinazione della base imponibile (fiscale) per il 50% fino al limite massimo di €. 1.549,37, per i trasferimenti in Italia (l’importo è pressoché triplicato, qualora il lavoratore venga applicato all’estero). Quella soglia di “non imponibilità” vale, dunque, anche per l’aspetto contributivo. Sotto questo profilo, occorre richiamare il D.lgs n. 314 del 02/09/1997 (titolato: “Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro”), e in particolare il suo art. 6, attraverso il quale viene confermata la circostanza per cui il criterio di assoggettamento al trattamento fiscale assuma rilievo anche per l’aspetto previdenziale. È, quindi, la norma tributaria a condizionare quella previdenziale e non viceversa.
Potrebbe, dunque, accadere (e quanto descritto non è un esercizio di fantasia) che in esito ad una verifica degli ispettori del lavoro: le (a) informazioni contenute nel Libro Unico del Lavoro (LUL) del distaccante, non coincidano (completamente) con le risultanze del/i distaccatario/i (in particolare con le “presenze di cantiere”) – che abbia/no la propria sede al di fuori del Comune del distaccante – oppure che (b) il datore non applichi il CCNL maggiormente rappresentativo (violando così la soglia del minimo imponibile), od ancora che, in ipotesi di trasferta (c), venga contestato il superamento dei limiti di esenzione, e dunque, considerata (talvolta erroneamente) l’intera somma erogata a tale titolo, come imponibile (sia sotto il profilo previdenziale, che fiscale).
Violazioni che, in relazione al numero degli addetti ed in ragione della mole di lavoro, potrebbero portare al collasso dell’impresa distaccante, compressa dai maggiori oneri contributivi accertati e dalle comminate sanzioni da evasione (quelle più aspre di cui all’art. 116 c. 8, lett. b della L. 388/2000, pari al 60% della contribuzione) – e di omessa o infedele registrazione (ex art. 39 D.L. n. 112/2008, convertito con L. n. 133/2008) – e travolgere, in modo significativo, anche il distaccatario, in ragione del richiamato rapporto solidale (ex art. 29 D.lgs 276/2003).
Perché si possa realizzare l’ipotesi di infedeltà delle registrazioni sul Libro Unico del Lavoro, è necessario che ricorrano due condizioni: (1) una registrazione non veritiera; (2) un’incidenza della stessa sotto l’aspetto retributivo, fiscale o previdenziale. Secondo quanto previsto dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 20 del 21/08/2008, in relazione all’art. 39 D.L. n. 112/2008, convertito con L. n. 133/2008, precisa: “Le registrazioni sono da intendersi infedeli quando il dato registrato risulta gravemente non veritiero, e perciò infedele, rispetto alla effettiva consistenza della prestazione lavorativa con riguardo ai profili retributivi, previdenziali e fiscali”.
L’identificazione del CCNL cd. “leader” (o maggiormente rappresentativo) – ai fini della determinazione della soglia del minimo imponibile, ex art. 1, comma 1, D.L. 9 ottobre 1989 n. 338 (convertito nella L. n. 389/1989) – non è per nulla agevole, neppure per gli ispettori del lavoro. Occorre, infatti, affrontare una comparazione (secondo le indicazioni contenute nell’allegato C della circolare INL n. 2 del 28/07/2020), con tutte le voci che compongono il salario, assoggettato a contribuzione e non solamente in relazione alla paga oraria; circostanza sulla quale, per contro, in sede di impugnativa – considerando il fatto che l’attendibilità di un verbale di accertamento può essere invalidata solo da una specifica prova contraria (cfr. Cass. Civ. n. 15.161/2005) – si dovrà concentrare il contribuente. Una prova di resistenza notevole, considerando che la giurisprudenza (anche recente, ex multis, Cass. Civ., ordinanza n. 13.840/2023), ha confermato il principio dell’«autonomia dell’obbligazione contributiva da quella retributiva, in virtù delle esigenze diverse a cui esse si ispirano, e, maggiormente, all’esigenza di salvaguardia dell’unitarietà e della tenuta del sistema previdenziale».
In concreto, salvo rare (ove non occasionali) eccezioni, è difficile rinvenire situazioni nelle quali venga applicato, per l’aspetto retributivo il trattamento previsto da una contrattazione collettiva (anche nazionale) e, invece, per la parte di contribuzione l’entità prevista dalla contrattazione cd. leader. Ragioni pratiche, ma anche di natura sindacale, escludono o rendono complicata questa eventualità.
L’indennità di trasferta, infatti, ove non opportunamente documentata ed annotata nel Libro Unico del Lavoro potrebbe comportare una differente quantificazione dell’imponibile anche fiscale e, dunque, con un’unica azione, plurime violazioni, come ad esempio:
– la mancata effettuazione di ritenute alla fonte su compensi corrisposti ai dipendenti (art. 14 D.lgs n. 471/1997 ed art. 23 D.P.R. 600/1973);
– l’omesso versamento di ritenute alla fonte su compensi corrisposti ai dipendenti (art. 13 D.lgs n. 471/1997 ed art. 3 D.P.R. 602/1973);
– la presentazione della dichiarazione annuale infedele da parte del sostituto d’imposta (art. 8 D.lgs n. 471/1997 ed art. 4 D.P.R. 322/1998).
L’accertata contrazione dell’imponibile previdenziale – determinato, in ipotesi, dall’applicazione di una contrattazione collettiva ritenuta inidonea – o, peggio, il superamento della soglia di esenzione, potrebbero sottendere anche l’omesso versamento di imposte (IRPEF, IRAP ed IVA). In questo contesto, il verbale unico di accertamento, curato dagli ispettori dell’INPS, potrebbe essere accompagnato (o, meglio, seguito) da un processo verbale di contestazione (PVC), in questo caso, dopo una verifica ad opera dei militari della Guardia di Finanza o dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate, oppure, semplicemente, essere assunto come elemento di presunzione, per l’emissione di un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate. La giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, Cass. Civ. n. 7.832/2001, Cass. Civ. n. 17.222/2006, Cass. Civ. n. 13.027/2012), infatti, ritiene legittimo l’accertamento tributario, che trae spunto da un accertamento di un ente non tributario, qual è, appunto, l’INPS.
A margine di queste preoccupanti riflessioni si segnala la sentenza n. 42 del 09/02/2023 della Corte d’Appello di Milano (da leggere integralmente), la quale – con una corposa e puntuale motivazione, ripercorrendo l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, in ordine al trattamento fiscale e previdenziale delle remunerazioni dei lavoratori in trasferta, dei trasfertisti e dei distaccati – ha azzerato le pretese contributive fatte valere dall’INPS, tramite il verbale ispettivo.
Andrea Migliavacca
Avvocato