Processi di esternalizzazione e “lavoro grigio” al centro dell’attività di vigilanza INL: una questione di sostanza

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Bollettino ADAPT 20 maggio 2024, n. 20

 

Come ogni anno, nelle scorse settimane l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha pubblicato il Documento di programmazione della vigilanza per il 2024 con l’obiettivo di tracciare le priorità e gli obiettivi della propria attività ispettiva, prevalentemente rivolta al contrasto dei fenomeni di irregolarità in materia di lavoro e legislazione sociale di più grave allarme sociale e tenendo in considerazione gli obiettivi rimessi all’INL per l’attività di vigilanza dalla convenzione triennale con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

 

Come è possibile leggere dal documento stesso, la programmazione dell’attività di vigilanza – preceduta da una approfondita attività di intelligence, sia a livello nazionale che territoriale, in grado di realizzare accessi ispettivi attraverso l’individuazione di puntuali obiettivi che presentano particolari indici di rischio in modo da orientare l’attività ispettiva esclusivamente nei confronti delle aziende irregolari – “è altresì orientata al contrasto dei fenomeni illeciti di carattere sostanziale che incidono sulle garanzie fondamentali poste alla base del rapporto di lavoro e di una sana concorrenza tra imprese”.

 

Di particolare interesse, in questa prospettiva, risulta essere il focus dedicato al c.d. “Lavoro grigio”, inserito nella sezione dedicata al contrasto al sommerso nell’ambito della c.d. “Vigilanza di iniziativa” in materia lavoristica. Come definito dal documento dell’INL, il “Lavoro grigio”, include “quei rapporti di lavoro che, seppure formalmente regolari, presentano, nel concreto svolgimento, elementi di irregolarità sostanziali e ricomprende i fenomeni dell’appalto e del distacco, anche transnazionale, non genuini e della somministrazione abusiva, cioè effettuata da soggetti privi della necessaria autorizzazione”. Inoltre, l’INL pone particolare attenzione anche a quei fenomeni interpositori illeciti basati sull’uso distorto di altri fenomeni di esternalizzazione, come nel caso del contratto di rete, spesso finalizzato esclusivamente alla creazione di c.d. “serbatoi di manodopera” per la somministrazione illecita di manodopera.

 

Al fine di accertare la genuinità di tali fenomeni, infatti, sembra doveroso, a parere di chi scrive, analizzare i processi di esternalizzazione da un punto di vista sostanziale, indagando le specifiche dinamiche organizzative poste in essere dai soggetti coinvolti, e non soltanto mediante una revisione formale dei contratti, onde evitare prassi distorte e illegittime.

 

Con particolare riferimento ai contratti di appalto (e/o subappalto), forse il principale strumento giuridico tramite il quale le imprese ricorrono ai processi di esternalizzazione e terziarizzazione, la disciplina prevista dagli artt. 1655 c.c. e 29 d.lgs. n. 276/2003 individua espressamente quali sono i principali requisiti di un contratto – genuino – di appalto (e/o subappalto), distinguendolo dalla somministrazione di manodopera: autonomia organizzativa dei mezzi in capo all’appaltatore (sulla quale la giurisprudenza ammette una differenza fra appalti cc.dd. leggeri e pesanti), esercizio dei poteri datoriali (direttivo, organizzativo e di controllo) in capo all’impresa appaltatrice e, sempre con riferimento a quest’ultima, assunzione del rischio di impresa (intendendo il rischio c.d. economico, che deriva dall’impossibilità di stabilire previamente ed esattamente i costi relativi, cfr. Cass. 3 luglio 1979, n. 3754, e, più recentemente, Cass. 27 gennaio 2021, n. 1754). Indici, nel corso del tempo, confermati ripetutamente dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 30 ottobre 2002, n. 15337; Cass. Sez. Un. 19 ottobre 1990, n. 10183, Cass. 20 giugno 2018, n. 16259, Cass. 6 giugno 2011, n. 12201; Cass. 12 aprile 2018, n. 9139).

 

Ciò che dunque, nell’attuale contesto di riferimento, sembra invece destare delle perplessità (che sfociano in preoccupazioni e difficoltà di gestione per gli addetti ai lavori), è piuttosto la concreta applicazione di alcuni dei cc.dd. indici di genuinità individuati dalla normativa di riferimento. È questo il caso, per esempio, degli appalti c.d. labour intensive (appalti ad alta intensità di manodopera) e nei quali, la distinzione con la somministrazione di manodopera, rischia di divenire evanescente. A tal proposito, la giurisprudenza si è pronunciata a più riprese affermando che «se l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro, è sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti» (Cass. 8 luglio 2020, n. 14371).

 

Un altro fenomeno, di recente emersione, che rischia di mettere in crisi, nei diversi contesti lavorativi, l’applicazione della disciplina in materia di appalti declinata attraverso gli indici di genuinità previsti attualmente dalla normativa richiamata, è il progresso tecnologico. Analizzando le dinamiche poste in essere, ad esempio, negli appalti di stoccaggio e movimentazione merci presenti nel settore della logistica (un settore su cui anche l’INL, nel Documento di programmazione della vigilanza per il 2024, ha dichiarato di porre particolare attenzione) sarà possibile evidenziare come nella maggior parte dei casi vengono utilizzati dall’appaltatore software, sistemi informatici e tecnologie di proprietà (o nella disponibilità) del committente (o appaltante).

 

Una dinamica che, ormai da qualche anno, sta emergendo anche nelle aule dei tribunali, nell’ambito dei quali si sta formando un orientamento per cui se il committente, tramite le tecnologie utilizzate dall’appaltatore, è in grado di dirigere ed organizzare la prestazione dei lavoratori impiegati nell’appalto, verrebbe meno la genuinità dell’appalto stesso. E ciò in quanto sembra decisivo valutare se “attraverso il software aziendale la società fosse in grado di gestire singolarmente e nello stesso tempo nel complesso l’attività lavorativa dei lavoratori” (cfr. Trib. Padova 16 luglio 2019, n. 550, Trib. Catania 4 novembre 2021, n. 4553, App. Venezia, 30 marzo 2023). Tuttavia è necessario sottolineare che non tutti gli appalti che muovono dalle stesse premesse sono, di per sé, illegittimi. A tal proposito, come ricordato dalla pronuncia di legittimità della Cass. 2 novembre 2021, n. 31127, ai fini della valutazione della genuinità dell’esternalizzazione nel suo complesso, ciò che rileva sono le modalità con cui il software è concretamente utilizzato, dovendosi verificare se, per il tramite dello stesso, l’appaltatore venga privato o meno della propria autonomia organizzativa. Ed invero, nella pronuncia da ultimo richiamata l’appalto viene ritenuto legittimo in quanto il software utilizzato, seppur di proprietà del committente, provvedeva in via esclusiva a predeterminare le modalità operative del servizio, in funzione di una corretta esecuzione dello stesso. Servizio che però, in concreto, si svolgeva con caratteristiche autonome (per struttura organizzativa e mezzi) e senza ingerenza del committente.

 

A tal proposito, dunque, appare necessario indagare nella sostanza, anche sotto il profilo dell’introduzione delle nuove tecnologie, il concreto funzionamento dei sistemi informatici, analizzando se il conferimento all’appaltatore, da parte del committente, di mezzi tecnologici (software, hardware, palmari etc.), è in grado di compromettere o meno la genuinità dei criteri previsti dalla normativa in materia di appalto e, contestualmente, se all’appaltatore rimangono margini di autonomia organizzativa nello svolgimento del servizio oggetto dell’appalto.

 

Ed invero, quella dei processi di esternalizzazione con particolare riferimento alla disciplina sugli appalti si conferma, in conclusione, una materia contraddistinta da fenomeni di una complessità di livello tale da richiedere una attenta analisi di tipo sostanziale, tanto sul contratto quanto sul modello organizzativo posto in essere, al fine di accertare l’effettiva e concreta applicazione e declinazione dei criteri di genuinità nei singoli contesti lavorativi, anche alla luce del progresso tecnologico che sta investendo specifici settori, nel rispetto della normativa (e giurisprudenza) di riferimento, onde evitare una applicazione meramente formalistica che non tutelerebbe i soggetti interessati da eventuali accertamenti e contestazioni nel merito delle dinamiche poste in essere.

 

Giada Benincasa

Ricercatrice ADAPT Senior Fellow

@BenincasaGiada

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