Intervento di Michele Tiraboschi al seminario AIDLASS sulle tecniche di scrittura (Napoli, 16 aprile 2024)
ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
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Bollettino ADAPT 3 giugno 2024 n. 22
UNA PREMESSA: PERCHÉ SCRIVERE UNA MONOGRAFIA?
Nel chiudere i lavori del primo seminario metodologico sulle tecniche di scrittura, dedicato alla pubblicazione sulle riviste giuslavoristiche, SILVIA CIUCCIOVINO sottolineava come in realtà di “tecniche di scrittura” in senso stretto si fosse paradossalmente parlato molto poco.
Parto da qui perché, come molti hanno già fatto notare, in 15 minuti è impossibile sviluppare una vera e propria riflessione sulle tecniche della scrittura in generale e in ambito giuslavoristico in particolare. Vale per i contributi sulle riviste vale, a maggior ragione, per “prodotti” molto più complessi e ambiziosi come le monografie scientifiche. Per esercizi di questo tipo servono formule laboratoriali e probabilmente anche luoghi diversi. Perché, detto che ognuno ha un suo stile e una sua personalità, la tecnica di scrittura – la bella scrittura, la scrittura giuridica, l’argomentazione giuridica – non si insegnano a parole ma richiedono un costante affiancamento tipico del modo di lavorare e apprendere dentro una “bottega artigiana” che, forse, è ancora oggi il lato più affascinante del nostro mestiere. Quindi, se un consiglio posso dare, è quello di cercare guide che abbiano davvero voglia e soprattutto il tempo per accompagnarvi nel vostro percorso.
Anche le domande dei nostri giovani non aiutano molto, nel senso che vi si trovano giustamente, dal loro punto di vista, molte “informazioni di servizio” (procedure di referaggio, temi e filoni di ricerca privilegiati, taglio metodologico, lunghezza della monografia, uso delle note, …) e anche la richiesta di qualche consiglio che, però, è una cosa diversa dalla tecnica di scrittura. Per questo, credo, quasi tutti hanno rinviato a un testo scritto dove fornire risposte puntuali sui singoli punti. E così farò anche io, con un “allegato” alla presente riflessione.
Rispetto al tema delle tecniche di scrittura uno dei nodi centrali è sicuramento quello relativo alla capacità – e a volte al coraggio – di fare delle scelte nette perché è nelle scelte che si manifesta e sviluppa la personalità e autorevolezza del ricercatore: nella capacità di individuare un tema non solo originale ma che consenta di esprime la nostra natura e le nostre inclinazioni; nella consapevolezza sul metodo da applicare (e su questo punto tornerò in seguito, con riferimento alla importanza delle Scuole di dottorato); nella effettività disponibilità a selezionare le fonti bibliografiche, orientandosi nella quantità di materiali oggi disponibili, in funzione del merito e della utilità rispetto alla domanda di ricerca piuttosto che alla convenienza accademica o, peggio, alla apparenza accademica con inutili e spesso dannosi riferimento alle opere del Maestro di riferimento che finiscono con mettere nell’ombra la personalità del ricercatore e l’originalità del suo pensiero.
Nel sollecitare la capacità dei giovani di fare scelte nette non posso dunque esimermi dal fare altrettanto. Ragione per cui, nel poco tempo a disposizione, ritengo opportuno concentrare l’attenzione su un solo punto che può, meglio di altri, contribuire a spiegare le ragioni – e forse i tratti distintivi – della collana di materiali di diritto del mercato del lavoro e delle relazioni industriali.
Mi riferisco a quello che è stato, almeno nei fatti se non nelle intenzioni degli organizzatori, il filo conduttore del primo seminario metodologico sulle tecniche di scrittura, che si è focalizzato tanto nell’intervento iniziale di GIAMPIERO PROIA che nell’intervento conclusivo di SILVIA CIUCCIOVINO sul “perché si scrive”. Vale per le riviste, vale a maggior ragione per un’opera così impegnativa come può essere la realizzazione di una monografia di qualità destinata a restare nel tempo.
“Rumore”, ovvero come la pseudoscienza stia soffocando la scienza vera. In questi termini apriva i lavori del precedente appuntamento GIAMPIERO PROIA riportando le parole di un recente studio di Floriano d’Alessandro, civilista emerito della Sapienza, molto incentrate sui “danni” delle riforme del sistema universitario e dei relativi percorsi di carriera: la “follia” del meccanismo dei concorsi universitari, il tema delle mediane, l’eccesso di pubblicazioni, ecc. Insomma, mai prima nella storia della umanità “così tanti hanno scritto così tanto, avendo così poco da dire, a così pochi”. In realtà il riferimento, anche per spiegare che il problema non è solo italiano (anche se noi italiani ci mettiamo sempre del nostro), è a libro pubblicato alcuni anni fa per Oxford University Press da Mats Alvesson, Gabriel Yiannis, Roland Paulsen dal titolo: “Ritorno al significato: per una scienza sociale con qualcosa da dire”. L’introduzione di questo volume si intitolava appunto: “So Much Noise, So Little to Say”. È la denuncia di una “ricerca accademica spesso rivolta all’interno della comunità scientifica, una ricerca rivolta a piccole tribù di colleghi ricercatori sviluppata col solo scopo essere pubblicata su una rivista prestigiosa”. Una pesante critica alla “inaccessibilità del linguaggio utilizzato dai ricercatori accademici” e alla “qualità stereotipata” della maggior parte delle pubblicazioni innescata dal gioco dei referaggi e delle pubblicazioni editoriali che finisce per dare luogo a “un ampio e insostenibile divario tra le preoccupazioni esoteriche dei ricercatori di scienze sociali e le questioni urgenti che le società di oggi devono affrontare”.
E sostanzialmente negli stessi termini chiudeva i lavori del seminario SILVIA CIUCCIOVINO quando, tirando le fila di quanto emerso, poneva il problema dei problemi – perché scriviamo? per chi scriviamo? – aggiungendo una riflessione sul ruolo del ricercatore nell’era dell’open access e in una società dove le informazioni sembrano alla portata di tutti grazie alla rete internet.
Insomma, scriviamo per i concorsi? scriviamo per le mediane? scriviamo per noi stessi? Soprattutto: scriviamo perché abbiamo qualcosa di significativo e originale da dire? E, se la risposta è positiva, il nostro riferimento è limitato alla comunità scientifica o allargato alla società intera?
Non sono domande banali e tanto meno domande retoriche. Ricordiamoci della lezione di Thomas Kuhn (The Structure of Scientific Revolutions, The University of Chicago, Second Edition Enlarged, 1970) che era netto nel collegare la ricerca scientifica a una comunità di pari composta esclusivamente da scienziati, la cui pratica perde inevitabilmente di valore nel momento in cui sia comprensibile a chiunque risulti interessato all’argomento. La legittimazione stessa di una scienza viene primariamente dal suo non essere accessibile, escludendo così la possibilità di concepire la ricerca in modo sistemico, come processo che include soggetti provenienti da ambienti distinti (imprese, istituzioni, professionisti, cittadini).
Ricordiamo anche che per Thomas Kuhn le comunità di scienziati che si occupano di uno specifico tema devono preservare la propria inaccessibilità non solo rispetto a un pubblico generalista, ma anche al pubblico colto non specializzato, che include scienziati che si occupano di altre specializzazioni. Questo al punto di escludere o comunque mettere in dubbio l’efficacia di qualunque collaborazione di natura interdisciplinare.
Per certi versi è un po’ quello che di dice il professor MATTIA PERSIANI quando ci sollecita a prestare certamente attenzione al “diritto vivente” che per lui è però rigorosamente un dialogo con i giudici e con le loro sentenze, non con i sindacalisti e la contrattazione collettiva (ammesso che ancora qualcuno lo faccia o, meglio, lo faccia bene almeno stando alle severe notazioni di TIZIANO TREU in generale ma anche su quello che proviamo a realizzare con l’esperienza di DIRITTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI).
Da qui il punto di ricaduta è evidente ed è cioè una riflessione sul metodo che è centrale quando si scrive una monografia e che è stato anche il motivo trainante degli interventi che si sono succeduti nel corso dello scorso seminario dedicato alle riviste della nostra disciplina.
Ora, non è mia intenzione addentrarmi, a questo punto del ragionamento, in uno sconfinato tòpos della letteratura giuridica che, ciclicamente, si interroga – mettendosi così in questione come scienza – sulla opposizione e relazione tra la teoria e la pratica.
Mi basta ricordare quanto suggeriva ancora SILVIA CIUCCIOVINO, di guardare a cosa avviene nelle altre discipline che, per esempio, partono sempre da una domanda di ricerca ovvero che gestiscono il problema delle citazioni e delle note attraverso quel fondamentale esercizio che è la Literature review. Ebbene, ricordiamoci che altre discipline abilitano regolarmente ricercatori anche se non in possesso di monografia (pensiamo a tutti i settori bibliometrici come l’economia, la medicina, la psicologia e l’ingegneria, ma anche a settori non bibliometrici come la sociologia) e che in altre discipline non solo non esistono penalizzazioni per lavori di gruppo ma questi sono anzi incentivati nella consapevolezza che la ricerca necessita oggi di un minimo di massa critica e quindi di esercizi di gruppo.
Come chiave interpretativa di questi orientamenti (che a noi parrebbero inaccettabili) possiamo ricordare che, sempre per Thomas Kuhn, nella ricerca scientifica le monografie sono opere che hanno un senso soprattutto nei primi stadi di sviluppo delle varie scienze, nelle fasi cioè anteriori allo stabilimento di paradigmi ovvero nelle fasi di crisi e rifondazione del paradigma, là dove brevi articoli scientifici specialistici o iper specialistici rappresentano il principale mezzo per la comunicazione e il confronto dentro una determinata comunità scientifica cioè tra persone “che si può ammettere conoscano il paradigma comune e che si dimostrano gli unici in grado di leggere le riflessioni a loro indirizzate”.
In conclusione, e al di là delle motivazioni personali ovvero dei parametri attuali per i percorsi di carriera in ambito giulavoristico, ha ancora senso scrivere monografie ovvero riservare alle monografie il peso che diamo nelle valutazioni?
MATTIA PERSIANI segnalava, giustamente, di non scordare di leggere la dottrina del passato. Ecco, io penso che una lettura delle opere monografiche della dottrina del passato, quando i testi di riferimento stavano tutti su un ampio tavolo di lavoro, e un confronto con le opere monografiche più recenti, su temi che occupano interi scaffali se non stanze, potrebbe aiutare a comprendere l’urgenza di riflettere sul valore e sul peso di una monografia nella attuale evoluzione o involuzione della scienza giuslavoristica italiana.
PERCHÉ MATERIALI DI DIRITTO DEL MERCATO DEL LAVORO E RELAZIONI INDUSTRIALI: ORIGINI E FINALITÀ
Quanto discusso in precedenza mi aiuta a spiegare, andando al nocciolo di questione molto complesse e che non è possibile sintetizzare in questa sede, le ragioni più profonde e direi anche alcuni dei tratti distintivi della collana “Materiali di diritto del mercato del lavoro e relazioni industriali” edita da ADAPT University Press. Ragioni e tratti che credo consentano ora di rispondere alle questioni di fondo che “intravedo” nelle domande che ci hanno formulato i giovani della nostra materia.
Può essere che nella idea di una nuova collana ci sia stato anche un inconscio desiderio di rispondere a quello che FRANCO CARINCI, in più interventi e anche nel corso del primo seminario metodologico, ha definito nei termini di un “problema psicologico” e il bisogno di rispondere a una esigenza di “sicurezza” di alcuni dei miei più giovani allievi del tempo.
E, tuttavia, credo che i numeri della collana stiano un po’ a dimostrare il contrario. Solo quattro dei diciotto volumi sin qui pubblicati sono stati infatti espressamente pensati per portare un giovane alla abilitazione nella nostra disciplina e solo tre di queste (quattro) opere monografiche rappresentano uno sviluppo (aggiungo, uno sviluppo corposo e sostanziale) delle basi gettate con la loro tesi di dottorato.
La storia della collana credo sia infatti un’altra e cioè il bisogno – direi esistenziale, arrivato a una certa maturità o anche solo invecchiando – di difendere (ma anche di sviluppare e perfezionare) un certo modo di fare ricerca e, più in generale, di intendere e vivere il giuslavorismo.
Ne ho in parte “parlato” nella Intervista impossibile a Marco Biagi a venti anni dalla sua scomparsa. Perché sono ben consapevole – nonostante i recenti e, a mio avviso, non sempre riusciti tentativi di “normalizzazione” di una vicenda che ha non poco segnato la nostra comunità scientifica – di aver ereditato e praticato se non anche accentuato un modo di fare ricerca non da tutti apprezzato e forse neppure fino in fondo compreso. Un modo di fare ricerca che portava il giovane Marco Biagi a sviluppare, nella sua prima monografia apparsa nel 1978 nella prestigiosa collana di diritto del lavoro promossa da Giuseppe Pera, un metodo di indagine che Biagi stesso definiva come un consapevole tentativo di “affrancarsi” da una ricerca scientifica eminentemente “libresca” scegliendo come interlocutori, di una esplorazione di territori sino ad allora largamente inesplorati come quelli della impresa minore, colleghi (più che libri) di altri Paesi e, soprattutto, operatori sindacali e dirigenti di associazioni datoriali con cui misurare la legge in azione nella prassi delle dinamiche della contrattazione collettiva e delle relazioni industriali. Una linea di ricerca poi sviluppata in dialogo col Legislatore e i principali protagonisti del nostro sistema di relazioni industriali e, dunque, con l’obiettivo di scrivere per incidere sulla realtà secondo assumendo il ruolo di “giurista di progetto”.
Questo si ritrova anche nella scelta del titolo della collana che, un po’ ambiziosamente e comunque con molto affetto, si richiama ai “Materiali di diritto del lavoro e relazioni industriali” ordinati dallo stesso Marco Biagi e da Luigi Montuschi per Maggioli Editore. Questo però con l’enfasi sulla parola diritto per rimarcare l’impegno, nel complesso dei contributi, a una ricerca giuridica nel campo del “diritto del mercato del lavoro” e nel campo del “diritto delle relazioni industriali”. Non certo per voler individuare nella dimensione giuridica una “cappello che sta sopra tutto” (per riprendere le parole di TIZIANO TREU nel primo seminario metodologico) ma semplicemente per sottolineare l’importanza per la scienza giuslavoristica di fare appunto i conti con il dato di realtà offerto dai mercati del lavoro e dai sistemi di relazioni industriali che, a ben vedere, sono in realtà la stessa cosa (basta leggere con sguardo aperto e non formalista il campo di applicazione di un contratto collettivo nazionale di categoria o settore per rendersene facilmente conto).
A questo punto ci sarebbe tantissimo da dire e da precisare ma, come anticipato, non è questa la sede.
Mi limito a dire, per completare il ragionamento avviato in premessa, che la collana è di proprietà di ADAPT che, per natura e finalità associativa si propone programmaticamente di aprire spazi di dialogo e confronto con gli attori del nostro sistema di relazioni industriali incardinando la ricerca su quella che Tullio Ascarelli definiva nei termini di “realtà giuridica fattuale” e cioè, nella nostra disciplina, lo studio diretto e sistematico dei contratti collettivi di lavoro. Un metodo tipicamente antiformalista che volutamente non parte dai concetti e dalle categorie astratte, ma dai problemi e dalla analisi del dato empirico (rinvio sul punto al bellissimo saggio di Tiziano Treu su diritto del lavoro e analisi sociale apparso nel primo fascicolo del 2024 della rivista Labor).
Nel 2017, quando è nata la collana “Materiali di diritto del mercato del lavoro e relazioni industriali”, ADAPT era indubbiamente una esperienza di successo paragonabile, nei numeri e nelle finalità, a quello che rappresenta Lavoce.info nelle analisi economiche. Sempre tanto “rumore”, per stare alle considerazioni iniziali dei nostri seminari metodologici. Ma comunque una testata con numeri impensabili per una rivista o collana scientifica, capace di incidere sul dibattito pubblico e sulle politiche sindacali e del lavoro anche grazie alla scelta dell’open access e di una comunicazione finalizzata a portare la ricerca e la ricerca di progetto al largo pubblico.
Eppure, una volta chiusa la lunga parentesi della “riforma Biagi”, ho quasi subito iniziato a capire come questa dimensione della ricerca non fosse sufficiente per poterla definire scientifica. Per due principali ragioni: perché, per essere tale, la ricerca ha sempre bisogno di una comunità di riferimento che non può essere quella degli operatori e dei pratici; e perché, in questo modo, avrei finito per tradire l’idea più profonda di università che è quell’idea così bene espressa da Natalino Irti quando parla della “catena delle generazioni” cioè del maestro come un allievo che consegna ai giovani ciò che ha ricevuto dal proprio Maestro.
Senza un salto qualitativo avrei cioè continuato a perseguire una finalità di custodia del passato ma mi sarei precluso una apertura sul futuro.
L’idea della collana “Materiali di diritto del mercato del lavoro e relazioni industriali” nasce appunto così. Mi tornano in mente, a questo proposito, le parole di MATTIA PERSIANI in apertura del suo intervento ai seminari metodologici: “prima ancora di insegnare ai giovani a scrivere bisognerebbe insegnare ai Maestri di seguire i giovani, lasciati senza una guida”. Tralasciando per un momento l’opportunità o meno dell’utilizzo nel mio caso della parola “Maestro”, l’esigenza che sta alla origine della collana è stata, appunto, quella di difendere un certo modo di fare ricerca ma anche quella di assumersi, allo stesso tempo, una responsabilità verso i giovani che studiano le tematiche del diritto del lavoro e che praticano quell’incrocio di discipline che sono le relazioni industriali.
Come suggerisce anche una analisi di dettaglio dei diciotto volumi pubblicati in poco più di sette anni tre sono state le direzioni di questo impegno.
In primo luogo, il tentativo di replicare un metodo di cui ho grandemente beneficiato da giovane, nei primi anni di carriera, sotto la guida di Luciano Spagnuolo Vigorita quando si presentavano, sull’asse Milano – Napoli e attorno alla rivista Diritto delle Relazioni Industriali, occasioni costanti di confronto tra allievi e Maestri, questa volta quelli con la M maiuscola, proprio sulle tecniche di scrittura non in termini teorici ma discutendo collettivamente i nostri primi lavori. Tentativo che la collana promuove annualmente con appositi call for paper volti a selezionare un numero significativo di contributi attorno a tematiche aggreganti e con la disponibilità, soprattutto in tempi più recenti, a mettere a disposizione la banca dati di ADAPT sui contratti collettivi. I giovani studiosi selezionati sono invitati a discutere i loro elaborati con un Comitato scientifico trasversale alle varie Scuole, che viene di volta in volta individuato in ragione dei temi trattati, così da restituire ai partecipanti suggerimenti, critiche costruttive e correzioni. I testi rielaborati dai partecipanti, a seguito di successivo controllo qualitativo incrociato da parte del Comitato scientifico, vengono poi pubblicati tempestivamente nella collana.
In secondo luogo, il tentativo di indicare ai giovani esempi attraverso interviste ai Maestri, anche questa volta quelli con la M maiuscola, come nell’intervista a Manfred Weiss sul metodo comparato e la dimensione internazionale della ricerca e come nelle interviste raccolte in termini di bilancio di riforme controverse come accaduto in occasione dei venti anni di legge Biagi. Chi segue il bollettino ADAPT avrà poi capito che è in corso di preparazione una terza intervista su uno degli altri “eretici” della materia come Pietro Ichino e cioè a chi si è fatto carico, sin dai suoi primi studi giovanili, di mettere in discussione il paradigma fondativo originario della nostra disciplina.
In terzo luogo, il tentativo di accreditare nella nostra comunità scientifica la peculiare e anche discussa esperienza del “dottorato industriale” interdisciplinare avviata nel 2007 da ADAPT con l’Università di Modena e Reggio Emilia e poi rilanciata nel 2011 con l’Università di Bergamo. Non a caso due delle prime tre opere monografiche pubblicate nella collana premiano il percorso di ricerca di un funzionario dell’area education di Confindustria nazionale e del responsabile dell’ufficio legale dell’ispettorato lavoro di Como. La terza, che è forse il fiore all’occhiello della collana rispetto alla idea di praticare per davvero l’interdisciplinarità, è la monografia sulla nuova grande trasformazione del lavoro di Francesco Seghezzi, un ricercatore che nasce come filosofo politico e che poi prosegue il percorso, sempre sotto la guida di un giurista, fino a ottenere l’abilitazione alla seconda fascia in sociologia dei processi economici e del lavoro.
Questo essenzialmente è quanto la collana “Materiali di diritto del mercato del lavoro e relazioni industriali” offre ai giovani e alla nostra comunità scientifica: uno spazio aperto di sperimentazione – e possibilmente anche di innovazione – dove formazione (dei giovani) e ricerca cercano di procedere di pari passo e di integrarsi. In questi termini la collana si rivolge prioritariamente alle Scuole di dottorato o, quantomeno, ai contesti frequentati dai giovani studiosi dove la didattica è, al tempo stesso, essenzialmente una lezione sul metodo e una lezione sulle tecniche di scrittura e ricerca. Una didattica dove invece, rispetto ai contenuti e ai percorsi individuali, si insegna e si studia quello che ancora non si sa perché questo è fare ricerca.
Da questo punto di vista – e per rispondere a una delle domande più delicate che ci hanno posto i nostri giovani – non si può allora che confermare, rispetto ai percorsi di dottorato quanto già raccomandava ai maestri Gino Giugni, con le sue pagelle annuali sulla dottrina pubblicate sul Giornale di Diritto del lavoro e di Relazioni industriali, e cioè l’estrema cautela nel trasformare la tesi di dottorato in una opera monografica considerata la diversa finalità e impostazione dei due “prodotti”. Si tratta di tentativi che, per quanto istintivi, si rilevano il più delle volte scorciatoie che non portano il giovane molto lontano nel suo processo di maturazione.
ALLEGATO
A) Origini
La collana nasce nel 2017 su iniziativa dei professori Michele Tiraboschi e Maurizio Del Conte a cui si è poi aggiunta, a partire dal 2023, la professoressa Valeria Filì.
B) Profili di ricerca della collana
Aperta alle diverse declinazioni della riflessione giuslavoristica, la collana ha come ambiti di ricerca privilegiati il diritto del mercato del lavoro e il diritto delle relazioni industriali.
L’obiettivo scientifico e culturale della collana è quello di rivolgersi alla comunità scientifica, con particolare attenzione ai temi innovativi e di frontiera, anche attraverso contributi di taglio interdisciplinare e comparato.
Particolare attenzione viene prestata al “diritto vivente” inteso dai promotori della collana come la realtà giuridica effettuale in relazione soprattutto alle dinamiche dei sistemi di relazioni industriali e contrattazione collettiva
C) Accesso e referaggio
Il lavoro monografico viene inviato alla attenzione dei direttori della collana che ne valutano l’adeguatezza tematica rispetto alla collocazione e l’invio a referaggio. Più precisamente, sono individuati due referee (doppio cieco) in ragione delle competenze tematiche rispetto allo specifico oggetto tematico e alla metodologia adottata nel lavoro monografico.
Il referaggio (vedi in dettaglio il punto che segue) si struttura su una valutazione analitica dell’elaborato rispetto ai seguenti indici e criteri di riferimento:
(a) grado di originalità e rilevanza scientifica della tematica trattata;
(b) adeguatezza della metodologia adottata e del percorso argomentativo;
(c) chiarezza e completezza espositiva;
(d) coerenza interna;
(e) completezza e pertinenza dei riferimenti bibliografici.
Per ciascun elemento è espresso un giudizio (insufficiente, sufficiente, buono o ottimo), motivato estensivamente.
Ad esito di tale valutazione, il referee esprime un giudizio di pubblicabilità, non pubblicabilità o pubblicabilità con revisioni.
La monografia si considera pubblicabile se riceve entrambe le valutazioni positive, eventualmente anche a seguito delle revisioni proposte dai referee.
Nel caso di una risposta positiva e di una risposta negativa, è prevista la revisione del contributo da un terzo referee/la decisione è presa dai direttori.
D) Tecniche di scrittura della monografia
Oggetto della ricerca
Nella selezione del tema dell’approfondimento monografico i primi elementi da valutare attengono alla coerenza della tematica trattata con il settore concorsuale di riferimento e alla rilevanza rispetto al dibattito scientifico. Il tema oggetto della monografia, quindi, purché rilevante, può riguardare diversi aspetti della materia, da quelli relativi al rapporto di lavoro a quelli inerenti alle dinamiche del diritto delle relazioni industriali o al diritto del mercato del lavoro.
La rilevanza può essere valutata sulla base di plurimi fattori, come la pertinenza del contributo rispetto ad una lacuna nel dibattito scientifico, la riconducibilità del tema trattato al sistema o alla teoria generale del diritto del lavoro, l’attinenza della ricerca rispetto a fenomeni sociali ed economici in emersione che suggeriscono l’urgenza di nuove riflessioni progettuali.
L’originalità rappresenta un prerequisito fondamentale affinché l’elaborato possa considerarsi rilevante ai fini della pubblicazione all’interno della collana. Non sono idonei ad essere pubblicati, ad esempio, lavori meramente ricostruttivi o con una matrice marcatamente operativa, poiché non apportano un contributo originale al progresso della riflessione scientifica del settore di riferimento. L’originalità, inoltre, non si esaurisce nell’attualità della tematica all’interno del dibattito pubblico o scientifico, ma può essere valutata anche in relazione alle metodologie utilizzate.
La monografia non dovrebbe mai rappresentare la mera riproposizione di quanto sviluppato all’interno della tesi di dottorato. Fatte salve alcune ipotesi particolari, infatti, la tesi di dottorato dovrebbe avere una essenziale funzione formativa nella costruzione di un profilo di ricercatore universitario, ragion per cui non pare particolarmente adatta a una trattazione monografica, dovendosi concentrare lo sforzo del dottorando essenzialmente sulla comprensione del/dei metodo/metodi della ricerca scientifica sulle tematiche del diritto del lavoro e delle relazioni industriali e sulla conoscenza delle fonti normative e bibliografiche di riferimento.
Lunghezza della monografia
Ferma restando l’esigenza di un lavoro che sia completo e sufficientemente ampio nel suo percorso argomentativo, la lunghezza della monografia non assume una particolare rilevanza. Sono, invece, sconsigliate monografie molto corpose se composte – in misura rilevante – da ampie ricostruzioni del dibattito scientifico sulla tematica in termini generali senza una adeguata interazione tra la “voce” dell’Autore e la dottrina richiamata, o da lunghe digressioni non coerenti con il tema oggetto della monografia.
Importanza del dialogo con la giurisprudenza
A seconda della tematica trattata e della metodologia adottata il dialogo con la giurisprudenza può acquisire un ruolo più o meno centrale all’interno del percorso argomentativo. Certamente, però, non è possibile prescindere totalmente dal confronto con le interpretazioni della giurisprudenza relative ai principali nodi ermeneutici affrontati all’interno dell’elaborato, pena una riflessione che – pur potenzialmente rilevante sul piano teorico – rischia di risultare completamente disallineata dal diritto vivente sviluppatosi sulla stessa materia.
Stile citazionale/rapporto con la dottrina precedente
In termini di adeguatezza della bibliografia e delle citazioni occorre evitare la sovrabbondanza delle citazioni di stile, funzionali solo ad infoltire la bibliografia senza che il contenuto dei testi richiamati sia stato effettivamente esaminato e posto in dialogo con le tesi di chi scrive; all’opposto parimenti problematica è l’assenza/parzialità dei riferimenti bibliografici o l’adozione di citazioni selettive (particolarmente grave la selezione dei soli Autori a supporto delle proprie tesi), senza tenere conto delle diverse prospettive esistenti in merito alla tematica trattata.
Particolarmente apprezzato è lo studio dei classici e il confronto con la dottrina di altri Paesi anche per cogliere le tendenze di lungo periodo e le questioni di rilevanza globale e non meramente locale.
E) Esempio di scheda di referaggio della collana
TITOLO DELLA MONOGRAFIA: ____________________________________________ _______________________________________________________________________ VALUTAZIONE: |
Grado di originalità e rilevanza scientifica della tematica trattata: esprimere un giudizio (insufficiente, sufficiente, buono, ottimo) e motivare il giudizio.
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Adeguatezza della metodologia adottata e del percorso argomentativo: esprimere un giudizio (insufficiente, sufficiente, buono, ottimo) e motivare il giudizio.
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Chiarezza e completezza espositiva: esprimere un giudizio (insufficiente, sufficiente, buono, ottimo) e motivare il giudizio.
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Coerenza interna: esprimere un giudizio (insufficiente, sufficiente, buono, ottimo) e motivare il giudizio.
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Completezza e pertinenza dei riferimenti bibliografici: esprimere un giudizio (insufficiente, sufficiente, buono, ottimo) e motivare il giudizio.
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GIUDIZIO FINALE |
Pubblicabile X Pubblicabile con revisioni X Non pubblicabile X |
Motivazione sintetica:
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Università di Modena e Reggio Emilia