Sicurezza sul lavoro e appalti: a che punto è la normativa italiana?

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Bollettino ADAPT 15 luglio 2024 n. 28
 
Da sempre oggetto di un acceso dibattuto, il tema degli appalti risulta oggi essere al centro di importanti interventi normativi, finalizzati, da un lato, a modificare una disciplina che più volte ha subito derivazioni patologiche nella prassi e, dall’altro lato, diretti a porre un freno al crescente numero di infortuni sul lavoro.
 
Il contratto di appalto, ai sensi della disciplina civilistica, ex artt. 1655 e ss. c.c., è definito come “il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro”.
 
Nel mercato del lavoro attuale, l’utilizzo dei contratti di appalto è sempre maggiore con il risultato di avere nei luoghi di lavoro sempre più lavoratori provenienti da ditte diverse, che devono lavorare insieme e coordinare le varie attività in cui si annidano rischi interferenziali. Tale scenario pone una importante sfida per chi deve occuparsi di salute e sicurezza sul lavoro, trovandosi a gestire lavoratori con diversa esperienza lavorativa e differente cultura della prevenzione nonché con scarsa conoscenza dei luoghi di lavoro e del diverso personale impiegato nell’appalto. In aggiunta alla complessa gestione di tali aspetti prevenzionistici, non possiamo trascurare il fenomeno dei c.d. pseudo-appalti: nella prassi, infatti, non mancano le imprese che ricorrono alle esternalizzazioni inseguendo, in una logica patologica, l’abbattimento dei costi, con conseguente impatto negativo anche in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
 
Proprio per questo motivo e per il suo uso sempre più frequente il legislatore è intervenuto più volte in materia, apportando una pluralità di modifiche alla normativa esistente ed introducendo nuove norme laddove vi erano dei vuoti normativi. Procedendo con ordine, il primo antecedente normativo dell’attuale disciplina della sicurezza sul lavoro negli appalti risale all’art. 5, d.P.R. n. 547/1955, in base al quale il committente aveva l’obbligo di “rendere edotti i lavoratori autonomi dei rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro” e, nel caso di concessione in uso di macchine e attrezzi di lavoro, di garantirne la sicurezza. La disposizione in parola, tuttavia, aveva l’evidente limite di non considerare il lavoro in appalto, in virtù della tradizionale interpretazione basata sull’autonomia organizzativa dell’appaltatore e della conseguente assenza di poteri di intervento del committente. Questo approccio ha però subito nel corso del tempo una progressiva erosione sul piano giudiziale dove ha prevalso un’interpretazione volta a privilegiare regole proprie del diritto penale relative all’applicazione dei principi generali riguardanti le posizioni di garanzia e l’effettività dell’esercizio dei poteri organizzativi. La lacuna normativa del ‘55 viene colmata con circa un quarantennio di ritardo dall’art. 7, d.lgs. n. 626/1994: questa disposizione costituisce la prima norma di carattere generale che prende in considerazione i rischi derivanti dall’esecuzione dei lavori in appalto. Le novità che la riforma del 1994 introduce sono costituite, secondo dottrina e giurisprudenza (cfr. Cass. Pen., sez. III, sent. n. 6829 del 15 dicembre 1988; Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 4940 del 24 aprile 1992; Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 26420 del 18 giugno 2013) dal ruolo essenziale attribuito alle funzioni di coordinamento dei lavori affidate al committente e dalla statuizione espressa di obblighi di informazione reciproca e di cooperazione, posti a carico sia del committente, sia dell’appaltatore per l’apprestamento di condizioni di lavoro sicure.
 
Le successive riforme della sicurezza sul lavoro negli appalti si inseriscono nel più ampio percorso di revisione della disciplina di tutela del lavoro avviato con il d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. decreto Bersani) e proseguito con i commi 910 e 911 della legge finanziaria per il 2007 (l. n. 296/2006), con il quale il legislatore mirava a responsabilizzare il committente rispetto all’intera filiera produttiva. Per quanto riguarda nello specifico la sicurezza sul lavoro, l’art. 3, l. n. 123/2007 riformula complessivamente l’art. 7, d.lgs. n. 626/1994, grazie alle spinte di iniziativa comunitaria e al fine di dare maggiore effettività agli obblighi di cooperazione e coordinamento dei lavori e della sicurezza, introduce il nuovo obbligo di redigere il Documento di valutazione dei rischi da interferenze lavorative (DUVRI). Tale obbligo, tuttavia, risulta essere attualmente escluso ex art. 26, D. Lgs. n. 81/2008 in alcune specifiche situazioni quali: mera fornitura di materiali e attrezzature, servizi di natura intellettuale o nel caso di lavori di entità inferiore ai 5 gg uomo/anno anche non continuativi. Inoltre, l’art. 3, l. n. 123/2007 aveva anche imposto di indicare nei contratti di somministrazione, appalto e subappalto, i costi per la sicurezza sul lavoro (oggi disciplinati, a pena di nullità del contratto di appalto, all’art. 26, comma 5, d.lgs. n. 81/2008). L’intenzione era chiaramente quella di intervenire sulla complessa questione della sicurezza sul lavoro negli appalti immediatamente, senza dover cioè attendere l’emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega contenuta all’art. 1 della medesima legge e volta alla riforma e al riassetto dell’intera normativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
 
Solo con l’introduzione del D. Lgs. N. 81/2008 il legislatore è intervenuto in maniera più ampia. Esso, infatti, con un intervento di tipo compilatorio ha cercato di razionalizzare tutte le precedenti norme frammentate in un unico testo introducendo una normativa di dettaglio volta a regolare in maniera completa la materia prevenzionistica negli appalti.  Il D.Lgs. n. 81/2008, infatti, prevede un più penetrante coinvolgimento del datore di lavoro committente nell’attività di prevenzione a favore, oltre che dei propri dipendenti, dei lavoratori autonomi (contratto d’opera) e dei dipendenti delle imprese appaltatrici. Precedentemente, il committente privato, fermo restando il rispetto nei confronti dei lavoratori autonomi, tra i quali si erano fatti rientrare anche gli appaltatori, degli obblighi di cui all’art. 5, D.P.R. n. 547/1956, poteva invece considerarsi sostanzialmente estraneo ai compiti e alle responsabilità connesse alla sicurezza sul lavoro nella realizzazione dell’appalto.
 
Nonostante ciò, da tempo la giurisprudenza, specie di Suprema Corte (cfr. Cass. Pen., sez. IV, sent. n. 29276 del 4 luglio 2014, Cass Pen., sez. IV, sent. n. 46833 del 22 dicembre 2022) aveva riconosciuto in numerose ipotesi la responsabilità, esclusiva o concorrente, del committente: là dove ad esempio il committente avesse omesso di controllare con oculatezza che l’appaltatore possedesse le capacità tecniche e le attrezzature necessarie per portare a compimento l’incarico affidatogli (culpa in eligendo), qualora si fosse ingerito nell’esecuzione dei lavori o là dove avesse commissionato o consentito l’inizio dei lavori pur in presenza di situazioni pericolose.
 
La disciplina posta dall’attuale art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, come modificata dal D.Lgs. n. 106/2009, estende di gran lunga la responsabilità del datore di lavoro committente, prevedendo che il datore di lavoro-committente che intenda affidare a terzi lavori, servizi e forniture da eseguirsi all’interno della propria azienda, delle singole unità produttive, o nell’ambito del ciclo produttivo aziendale, “sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo”  debba rispettare specifici obblighi previsti nei primi tre commi della disposizione in commento, e cioè: (1) valutare l’idoneità tecnico professionale dell’appaltatore; (2) adempiere agli obblighi informativi attraverso dettagliate indicazioni sui rischi specifici propri dell’ambiente in cui i lavoratori si troveranno ad operare e sulle misure di prevenzione necessarie; (3) preoccuparsi del coordinamento e della cooperazione; (4) redigere il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali).
 
Inoltre, è importante sottolineare come la responsabilità del committente non è concepita come alternativa a quella del datore di lavoro dei lavoratori impiegati nell’appalto, che rimane infatti sempre responsabile della verifica delle condizioni di sicurezza dei propri lavoratori, bensì come solidale, benché non automatica. La giurisprudenza predominante (cfr. Cass. Civ., sez. Lav., sent. n. 2991 del 1° febbraio 2023; Cass. Civ., sez. Lav., sent. n. 29582 del 11 dicembre 2017) infatti, nell’escludere l’automatica responsabilità del committente, la riconduce a quelle ipotesi in cui emergano elementi idonei ad affermarla, partendo da un’analisi dell’effettiva posizione assunta dal committente nella dinamica dell’evento e nell’intero ciclo produttivo. Le novità introdotte con il D.Lgs. n. 81/2008 se pur significative, non sono del tutto originali, essendo state in buona parte introdotte dalle normative di dettaglio, dall’intervento comunitario e dalle norme immediatamente precettive della L. n. 123/2007 nell’ambito della più ampia politica di contrasto del lavoro sommerso ed irregolare che comportano spesso mancanze e criticità nei sistemi prevenzionistici aziendali. Tuttavia, nonostante gli interventi e le modifiche, la normativa non sembrava dare gli effetti sperati; il numero degli infortuni e delle morti sul lavoro negli appalti continuavano ad essere ancora molto numerose. A tal proposito dopo i tragici incidenti recenti dove alcuni operai hanno perso la vita, si è riacceso il dibattito sulla gestione della sicurezza negli appalti, oggetto anche delle ultime novità normative introdotte dal Decreto Legge 19/2024, convertito successivamente in L. n. 56/2024.
 
La recente legislazione ha voluto dare voce agli innumerevoli incidenti sul lavoro, spesso mortali ed ha voluto contrastare il lavoro irregolare negli appalti e subappalti di opere e servizi. Proprio per questo motivo e per evitare che il ricorso all’appalto non genuino diventi un mero meccanismo per abbattere il costo del lavoro ed eludere contestualmente la normativa sulla sicurezza sul lavoro (dinamiche spesso connesse), sono state introdotte importanti modifiche alla normativa privatistica sulla somministrazione illecita di manodopera, riportando in vigore le sanzioni penali che precedentemente erano state abrogate, con l’intento di garantire maggiore protezione ai lavoratori, anche al livello prevenzionistico, ed una concorrenza leale tra imprese. Con l’introduzione del comma 1-bis all’art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003 e con le modifiche apportate ad esso dalla L. n. 56/2024 in sede di conversione del d.l. 19/2024, si è cercato di creare un livello minimo dei trattamenti economici e normativi (in cui spesso di annidano le misure di sicurezza e prevenzione individuate ai livelli settoriali) in quanto si  è voluto stabilire che, al personale impiegato negli appalti e subappalti di opere e servizi spetti un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto.
 
Il legislatore inoltre, per contrastare l’ormai dilagante fenomeno degli appalti non genuini che, come anticipato, sono spesso caratterizzati dall’assenza di presidi necessari in materia di salute e sicurezza sul lavoro, facendo riferimento all’art 18 del D.L. 276/2003,  ha pensato  di reintrodurre il reato di somministrazione illecita di manodopera, che punisce il somministratore e l’utilizzatore con la pena dell’arresto fino a un mese o l’ammenda di euro 60 per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione. Non solo, la  norma prevede anche alcune specifiche circostanze aggravanti che comportano un aumento degli importi, tant’è che l’esercizio non autorizzato delle attività di cui all’articolo 4 comma 1, lettere d) ed e), è punito con la pena dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda da euro 900 ad euro 4.500, se non vi è scopo di lucro, la pena è dell’arresto fino a quarantacinque giorni o dell’ammenda da 300 a euro 1.500.Si aggiunge inoltre una nuova fattispecie penale legata alla somministrazione fraudolenta di lavoro, prevista dal comma 5 ter nei casi in cui si accerti l’intento di eludere norme imperative di legge o di contratto collettivo. In questa circostanza i responsabili sono puniti con l’arresto fino a 3 mesi o con un’ammenda di 100 euro per ciascun lavoratore e per ciascuna giornata; il comma 5 quinquies stabilisce, infine, che la sanzione in ogni caso, non può essere inferiore a 5.000 euro né superiore a 50.000 euro.
 
Ulteriori disposizioni previste nel nuovo decreto-legge dirette a dare maggiore tutela alla materia prevenzionistica, fanno riferimento al sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, disciplinato all’art. 27, d.lgs n. 81/2008, che operano nei cantieri temporanei o mobili di cui all’art 89, comma 1, lettera a). Nel comma 1 viene precisato che a far data dal 1° ottobre 2024 saranno tenuti al possesso della “patente a crediti” le imprese ed i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei e mobili di cui al predetto articolo. La patente viene rilasciata in formato digitale, dalla competente sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro subordinatamente al possesso di determinati requisiti da parte del responsabile legale dell’impresa o del lavoratore autonomo richiedente; la patente inoltre è dotata di un punteggio inziale di trenta crediti e consente ai soggetti richiamati di operare nei cantieri temporanei o mobili con una dotazione pari o superiore a quindici crediti. La patente subisce delle decurtazioni legate alle risultanze degli accertamenti e dei conseguenti provvedimenti definitivi emanati nei confronti dei datori di lavoro, dirigenti e preposti dell’impresa o del lavoratore autonomo (a tal proposito si rinvia, per una prima riflessione a G. Benincasa, I. Tagliabue, “Appalti, contrattazione collettiva e sicurezza sul lavoro: quali novità ha introdotto la l. n. 56/2024 di conversione del d. l. 19/2024?” in Bollettino ADAPT 6 maggio 2024, n. 18).
 
Le nuove disposizioni in materia di lavoro dovrebbero essere un punto di partenza di un piano ancora da migliorare in termini di salute, sicurezza e sostenibilità sui luoghi di lavoro. Tuttavia, gli aspetti – non solo normativi – su cui intervenire sembrano essere ancora molti al fine di limitare infortuni e morti bianche. In tale prospettiva, non da ultimo sembra rilevare il tema della formazione (troppo spesso visto solo come un mero costo per l’azienda o un mero adempimento burocratico per i lavoratori), che dovrebbe essere diretta a creare una cultura della sicurezza partendo dalle persone, dai loro comportamenti e dalla loro visione dell’ambiente di lavoro. Non basta infatti prevedere una pluralità di norme e adempimenti meramente formali a cui le aziende, i lavoratori e i loro responsabili devono attenersi ma ciò che veramente potrebbe fare la differenza è l’effettiva applicazione di tale norme e soprattutto garantire la loro efficacia nella sostanza, mediante processi educativi e culturali ispirati alla valorizzazione del bene (costituzionalmente garantito della) salute. Solo promuovendo una cultura della sicurezza all’interno delle aziende, in cui ogni lavoratore diventi parte attiva del sistema di tutela della propria salute e sicurezza, si potranno creare degli ambienti di lavoro sicuri in una logica win-win.
 

Edoardo Del Sal

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

Sicurezza sul lavoro e appalti: a che punto è la normativa italiana?