Esternalizzazioni: il labile confine tra l’appalto lecito e la somministrazione irregolare – Le conseguenze di un accertamento ispettivo INL

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Bollettino ADAPT 22 luglio 2024, n. 29

 

Nel corso del tempo, il legislatore ha cercato di contrastare ogni forma di interposizione illecita; più di recente, si è proposto anche di ostacolare il cd. “caporalato industriale”, suggerendo di introdurre norme più stringenti e finalizzate ad impedire l’elusione delle tutele dei lavoratori sia sotto il profilo salariale, che contributivo. Ciò, avendo percepito che il fenomeno, per effetto dello sviluppo tecnologico e della necessità di far fronte alle crescenti iper-specializzazioni, ha interessato tutti i settori produttivi, anche in senso “verticale”; con ciò intendendosi, quindi, non solo la manodopera, ma anche le attività intellettuali.

 

Occorre, tuttavia, ricordare che ora, come allora, la finalità della legge è, da un lato, quella di limitare situazioni di disparità contrattuale tra lavoratori (quelli dipendenti della committente, rispetto a quelli dell’appaltante o della subappaltante) che svolgano le stesse mansioni, all’interno della medesima azienda e, dall’altro, di scoraggiare l’uso di strumenti, che possano far conseguire indebiti risparmi di imposta. Com’è noto, l’impianto sanzionatorio (l’elusione è colpita più severamente dell’evasione), non interessa solo l’aspetto tributario ma, a determinate condizioni, anche quello penale.

 

La normativa degli anni ’60 (L. n. 1.369/1960) è stata profondamente modificata dal D.lgs n. 276/2003, successivamente ed a più riprese corretta (D.lgs n. 251/2004 e D.lgs n. 81/2015), sino ad arrivare ai giorni nostri, col D.L. n. 19/2024, convertito con L. n. 56/2024 (da ultimo, si registrano due Note INL del 18 e del 24 Giugno 2024, proprio sul tema dell’applicazione delle sanzioni, in relazione al tempo in cui sono state commesse le violazioni).

 

Mettendo in sequenza queste norme e facendo un grossolano raffronto, si può sicuramente affermare che la risposta sanzionatoria sia stata sempre più aggressiva – talvolta (come in ultimo) l’illecito penale ha sostituito, per la medesima fattispecie, quello amministrativo – ma questo approccio, tuttavia, non ha consegnato un tangibile risultato dissuasivo, beninteso nelle ipotesi di illiceità.

 

L’effetto da contrastare, dunque, è l’indebita utilità di cui godono (o potrebbero godere), anche sotto il profilo fiscale, il committente e l’intermediario, in danno del lavoratore e/o della previdenza.

 

Non tutte le cd. “esternalizzazioni”, però, sono da stigmatizzare, soprattutto ove rispondano ad esigenze reali e specifiche del committente ed in particolare quando venga rispettato il rapporto di lavoro. Perché il modello contrattuale di terziarizzazione possa essere considerato legittimo, è necessario che vengano rispettati gli indici di genuinità elaborati dalla giurisprudenza (tra le molte, Cass. Civ. Ordinanza n. 4.828 del 16/02/2023): rischio di impresa in capo all’appaltatore, mezzi nella disponibilità giuridica dell’appaltatore ed esercizio dei poteri datoriali (direttivo, di controllo ed organizzativo), in capo all’appaltatore; non deve intervenire alcuna commistione di mezzi o di personale, né la cd. “eterodeterminazione” (salvo, ovviamente, il naturale coordinamento). L’appaltatore, inoltre, deve possedere un comprovato livello di specializzazione ed il personale impiegato nell’ambito dell’appalto contraddistinguersi per elevata professionalità.

 

Prendiamo, ad esempio, un fenomeno diffuso ed in continua espansione, in tutto il mondo (ed anche in Italia): l’«Engineering Service Outsourcing» (in un acronimo, ESO), ovvero l’appalto di diverse funzioni di ingegneria.
 

Lo sviluppo tecnologico ed una crescente specializzazione, che si contrappongono alla carenza di investimenti ed all’incapacità dei reparti tecnici dell’industria (soprattutto italiana), di restare al passo coi tempi e non soccombere alla concorrenza, impongono di affidare determinati servizi a partner esterni.

 

Numerose, infatti, sono le associazioni professionali di ingegneria o le società che offrono questo tipo di servizio. La professionalità e competenza di queste realtà dovrebbe consentire (il condizionale è d’obbligo, per le conseguenze appresso indicate) di evitare le spese di assunzione e di formazione di ingegneri interni e/o di creare di infrastrutture e/o mantenere software ed attrezzature, ma anche di attingere ad un più ampio bagaglio di competenze.

 

È, dunque, nei confronti di queste nuove realtà che si stanno concentrando gli accessi ispettivi.

 

Il progresso, notoriamente, non è accompagnato da un adeguato supporto normativo; questo gap legislativo, tuttavia, è colmato dagli organi di controllo, i quali perennemente alla ricerca dell’illecito, sono talvolta spinti a ravvisare condotte antigiuridiche anche ove il sottile confine non sia stato varcato. E quando questo accade, ovverosia quando un contratto di appalto venga qualificato come somministrazione illecita, gli effetti negativi di un accertamento ispettivo INL, potrebbero diventare ingovernabili; intanto perché, in virtù della solidarietà (art. 29 del D.lgs 276/2003) dell’impresa committente (pure destinataria del verbale), i rapporti contrattuali con l’appaltatrice potrebbero interrompersi, in ragione del venir meno del rapporto fiduciario. Sebbene i contratti di appalto siano stati evidentemente concordati tra le parti, accade spesso, in una puerile logica difensiva (o anche semplicemente per mantenere nelle proprie casse il corrispettivo dell’appalto, ancora non versato), che il committente ritenga naturalmente responsabile l’appaltatore, per l’accaduto. 

 

C’è, poi, l’aspetto previdenziale; in virtù del disconoscimento dell’imputazione contributivo-previdenziale del rapporto di lavoro, coi lavoratori definiti “indiretti” dell’impresa appaltatrice, gli stessi potrebbero essere richiesti alla committente. Con quest’ultima, dunque, il lavoratore avrebbe dovuto instaurare l’effettivo rapporto di lavoro.

 

La violazione dell’art. 18 del D.lgs 276/2003, siccome modificato dal D.lgs 251/2004 e dal D.lgs 8/2016, comporta, poi, l’applicazione di una sanzione amministrativa (parametrata al numero di committenti e di lavoratori somministrati), secondo le regole della L. 689/1981 e successive modifiche, applicate al D.lgs 124/2004. Da ultimo, il D.L. 19/2024, convertito con L. n. 56/2024, ha introdotto anche sanzioni di natura penale. Sarà compito del Ministro del Lavoro, come previsto dal comma 6 del novellato art. 18 del D.lgs 276/2003: “disporre con proprio decreto, criteri interpretativi certi per la definizione delle varie forme di contenzioso in atto riferite al pregresso regime in materia di intermediazione e interposizione nei rapporti di lavoro.

 

L’invio del verbale ispettivo alla Guardia di Finanza, poi, potrebbe determinare violazioni di natura tributaria, ma anche penale, come si legge in una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. Pen. Sez. III, n. 19.595 del 10/05/2023), ove si legge: “L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che dissimulano un’attività illecita di somministrazione di manodopera, mascherata dalla conclusione di fittizi contratti di appalto di servizi, si concreta in un‘operazione soggettivamente inesistente stante il carattere dissimulato del contratto, integrando quella divergenza tra realtà fenomenica e realtà meramente giuridica dell’operazione che, secondo la giurisprudenza consolidata, costituisce l’inesistenza di cui all’art. 1 comma 1, lett. a) D.lgs n. 74 del 10/03/2000, mentre con riguardo all’imposta sui redditi, l’utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione apre la strada alla detrazione di costi anch’essi fittizi perché non correlati alla prestazione reale essendo funzionale ad abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante imputazione del costo dei servizi, rappresentato dal costo del lavoro che altrimenti le società non avrebbero potuto detrarre”.

 

Sullo sfondo, poi, l’ombra cupa del sequestro per equivalente di cui all’art. 12-bis del novellato D.lgs n. 74 del 10/03/2000.

 

C’è da dire, però, che spesso, gli accertamenti ispettivi INL, vengono condotti in violazione dell’art. 7 comma 2, lett. d del D.L. n. 70 del 13/05/2011, convertito con modificazioni, nella L. n. 106 del 02/07/2011, ove si legge: “le disposizioni di cui all’art. 12 della legge n. 212 del 27/07/2000, concernente disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, si applicano anche nelle ipotesi di attività ispettive o di controllo effettuate dagli enti di previdenza e assistenza obbligatoria”.

 

Il comma II dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente, infatti, così recita: “Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche. Sono comunque sempre applicabili l’assistenza e la rappresentanza del contribuente (…)”.

 

Indicazioni, queste, che non comparendo nei verbali ispettivi – concepiti secondo uno standard abbastanza diffuso – confermano come, all’imprenditore sotto accertamento, non siano stati declinati i diritti di informazione, né quelli di assistenza. Un contraddittorio necessario, rispetto al quale, la difesa tecnica avrebbe potuto offrire documenti e/o indicazioni complementari rispetto a quelle raccolte (con finalità accusatorie) dagli ispettori, autonomamente o dietro specifica richiesta.

 

Un vulnus al diritto di difesa, difficilmente superabile, considerato che il verbale di accertamento INL così confezionato, senza la “consapevole” partecipazione dell’imprenditore sotto indagine, una volta notificato, ha già attivato l’innesco: a catena si verificheranno le descritte sciagure e l’impresa (coobbligata), col suo legale rappresentante (trasgressore) potrebbero trovarsi nell’impossibilità materiale (essendo stato privato delle risorse, per effetto del citato sequestro per equivalente) di potersi difendere.

 

Talvolta è difficile conciliare l’esigenza ispettiva, finalizzata a contrastare comportamenti (potenzialmente) illeciti, col diritto di difesa; impedire che quest’ultimo possa essere esercitato, tuttavia, confligge con l’art. 24 della Costituzione. Per questa ragione, il legislatore e con esso gli organi di controllo dovrebbero disciplinare l’indiscutibile attività accertativa, preservando, comunque, il diritto al contraddittorio, in ogni fase, soprattutto in ambito previdenziale, quando ha inizio un’ispezione. Un tema rispetto al quale i Giudici amministrativi si ritengono estranei (ex multis, T.A.R. Toscana Firenze, Sez. II, sentenza n. 1.561/2021), per difetto di giurisdizione, ed i Giudici ordinari, al momento, si manifestano insensibili.

 

Andrea Migliavacca

Avvocato

Esternalizzazioni: il labile confine tra l’appalto lecito e la somministrazione irregolare – Le conseguenze di un accertamento ispettivo INL
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